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I dilemmi di una gentildonna (eLit): eLit
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I dilemmi di una gentildonna (eLit): eLit

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About this ebook

Anche se l'istinto la spinge a fidarsi del capitano Justin Sylvester, Maribel Sanchez non può fare a meno di chiedersi come si possa considerare uomo d'onore un pirata, tanto più dopo essere stati appena attaccati e presi prigionieri. Eppure su quella nave, in mezzo al mare e senza un posto dove andare, curiosamente Maribel si sente libera e felice come non mai. La sola idea di assoggettarsi di nuovo alle rigide regole della società inglese e di ritrovarsi sposata, contro la propria volontà, con un uomo molto più anziano di lei le fa orrore. D'altra parte, se decidesse di rimanere con Justin, sarebbe come cadere dalla padella alla brace, perché il rischio di finire nel letto di quell'affascinante avventuriero è di giorno in giorno più alto e diventare la sua amante non è una soluzione ammissibile. Se solo lui non fosse così attraente!
LanguageItaliano
Release dateApr 28, 2017
ISBN9788858968826
I dilemmi di una gentildonna (eLit): eLit
Author

Anne Herries

Autrice inglese vincitrice di numerosi riconoscimenti letterari, ha iniziato a scrivere nel 1976 e ha ottenuto il suo primo successo appena tre anni dopo. Attualmente vive nel Cambridgeshire con il marito.

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    I dilemmi di una gentildonna (eLit) - Anne Herries

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Pirate’s Willing Captive

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2010 Anne Herries

    Traduzione di Maria Grazia Bassissi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5896-882-6

    Prologo

    Primavera, 1557

    L’uomo si allontanò dalla locanda affacciata sul porto, immerso in profonde riflessioni. Aveva prenotato un posto su una nave diretta in Francia e forse sarebbero passati diversi anni prima che potesse tornare in patria. Le parole amare con le quali lui e suo padre si erano separati lo colmavano ancora di rimpianto e di collera.

    «Preferite credere alla parola degli altri piuttosto che alla mia, padre...» aveva protestato. «Avete più fiducia in uno sconosciuto che in vostro figlio.»

    Un lampo d’orgoglio era balenato negli occhi azzurri di Justin Devere e Sir John, suo padre, aveva sbuffato con impazienza. «Sei stato maledettamente sciocco, Justin. Perdio! Non ci sono giustificazioni per ciò che hai fatto. Sei il pronipote di Robert Melford, il più leale suddito della Corona che sia mai esistito. Tuo nonno era tenuto in altissima considerazione da Re Enrico VIII e la mia famiglia è sempre stata fedele ai nostri sovrani. Lasciandoti coinvolgere in questo complotto per assassinare la Regina Maria e mettere sul trono al suo posto la Principessa Elisabetta, hai deluso tutta la famiglia. Mi vergogno di te!»

    «No, padre. Questa è un’ingiustizia...»

    Justin aveva sollevato il capo con aria di sfida. Era un giovane attraente, con i capelli di un biondo chiarissimo e gli occhi di un azzurro intenso. Impulsivo, superbo e incurante delle regole, superava di tutta la testa e le spalle la maggior parte degli altri uomini, compreso suo padre. Il nonno aveva sempre sostenuto che era il ritratto di suo padre, Robert Melford, per temperamento e corporatura, anche se non nei colori. Era anche estremamente orgoglioso e sentirsi dare dello sciocco dal genitore lo feriva nel profondo.

    «Hai parlato di tradire la regina e questo è intollerabile.»

    «Non ho fatto niente del genere!» aveva protestato ancora Justin, accalorato. «Ammetto di aver udito certe teste calde parlare del complotto, tuttavia sono innocente... e anche la principessa lo è. È stata così generosa da concedermi udienza. Molti di noi volevano assicurarle che la sosteniamo e che se qualcuno cercasse di impedire la sua successione al trono dopo la morte della sorella, ci metteremo al servizio della sua causa...»

    «Zitto!» aveva tuonato John Devere. «Non ti rendi conto che basterebbe questo per farti arrestare per tradimento?»

    «Non starò zitto» aveva ribattuto lui. «Sono un inglese leale alla Corona, come tanti altri, ma non posso amare una regina cattolica che manda al rogo dei buoni sudditi in nome della sua religione.»

    «Fino a non molti anni fa eravamo tutti cattolici e orgogliosi di esserlo» gli aveva rammentato il padre. «Quando Re Enrico volle separarsi dalla Chiesa di Roma, fummo costretti a seguirlo per non perdere il suo favore a corte, ma questo non significa...» Si era interrotto, vedendo la collera che distorceva i lineamenti del figlio. «Fintanto che la regina è in vita, menzionare la sua morte è considerato alto tradimento. Lo sai bene.»

    «Non abbiamo un piano per uccidere lei, ma solo per proteggere Elisabetta.»

    «Non è sufficiente che voci su questa cospirazione siano giunte all’orecchio di Sua Maestà? La regina ha voluto sentire anche la principessa riguardo al tradimento e per fortuna era di buonumore, dal momento che suo marito ha promesso di farle visita presto. Se non fosse stato per questa fortunata circostanza, Elisabetta avrebbe potuto finire di nuovo rinchiusa nella Torre.» John Devere aveva messo una mano sulla spalla del figlio. «Vattene in Francia, Justin, oppure in Spagna. Anche se hai sbagliato, io so che il tuo cuore è puro. Hai la mia benedizione. Fammi sapere dove sei e come ti sei sistemato e non appena capirò che la situazione è di nuovo tranquilla potrai ritornare in Inghilterra.»

    «Volete che me la dia a gambe come un codardo?» Il volto di Justin aveva espresso tutto il suo disgusto.

    «Io ti voglio vivo! Se resterai qui potrei trovarmi senza più un figlio al quale lasciare i miei beni... per non dire che a tua madre si spezzerebbe il cuore.»

    Assorto nel ricordo dell’aspro diverbio con il padre, Justin non si accorse delle ombre che lo seguivano. Solo troppo tardi si rese conto che qualcuno gli era stato dietro fin da quando era uscito dalla locanda. Quando decise di girarsi, sguainando la spada, un violento colpo alla nuca lo fece stramazzare a terra. Privo di sensi, venne trasportato a bordo di una nave, non come passeggero pagante, bensì come l’ultimo dei mozzi.

    1

    Spagna, autunno 1558

    «No, padre, non chiedetemi questo.» Maribel affrontò con aria di sfida l’uomo alto con i capelli del colore dell’acciaio che le stava di fronte. Suo padre era snello, elegantemente vestito di nero, e portava un solo gioiello, un anello d’oro con un’agata nera in segno di lutto per la defunta consorte. «Non sono ancora pronta a riprendere marito. So che soffrite e che desiderate per me una vita migliore, ma io preferisco restare a casa con voi.»

    «È passato quasi un anno dalla morte di Don Pablo.»

    Don Miguel Sabatini guardò con espressione fredda la sua bellissima figlia. Con i capelli neri arricciati ai lati del viso secondo la foggia spagnola, gli ricordava la prima moglie, la donna che era arrivato a odiare quando aveva scoperto che aveva un amante. Aveva avuto gli occhi di una tentatrice, una svergognata che l’aveva tradito, procurandogli una ferita che non sarebbe mai guarita del tutto. Quando guardava il viso di Maribel, vi ritrovava tutto l’orgoglio della madre inglese, un orgoglio che, per quanto ci avesse provato, non era mai riuscito a piegare, e l’odio gli bruciava ancora dentro. La sua prima moglie era stata una sgualdrina e l’aveva tradito con un uomo che lui aveva ritenuto suo amico. Non l’aveva mai perdonata e il freddo disprezzo con cui l’aveva sempre trattata da allora l’aveva condotta lentamente al declino e a una morte prematura. La sua prima moglie aveva giurato che Maribel era figlia sua, ma lui non ne era mai stato convinto del tutto e questo gli aveva impedito di amarla.

    Invece la seconda moglie, Juanita, una donna gentile che aveva già superato la trentina quando si erano sposati, aveva amato la piccola orfana e, non essendo mai riuscita a partorire un neonato vivo, l’aveva trattata come se fosse stata figlia sua, costringendolo, almeno in apparenza, ad accettare la bambina che invece detestava. Era stata lei a volere le nozze di Maribel con un giovane cugino. Disgraziatamente lo sposo era stato ucciso dai briganti sulle colline pochi mesi dopo il matrimonio e Juanita aveva voluto che l’amata figliastra tornasse a vivere con loro. Maribel aveva trascorso quei mesi a piangere il giovane sposo.

    «Devi sposarti, figlia mia» insistette il padre. «È dovere, nonché il destino, di ogni donna.»

    «Non posso scordare così facilmente i miei sentimenti per Pablo. Lo amavo davvero e non desidero sposarmi di nuovo.»

    «Ho scritto a un gentiluomo inglese con il quale sono in affari. Lui importa il vino che produciamo con la nostra uva e un matrimonio tra voi due sarebbe importante per rafforzare le nostre relazioni.»

    «Non lo conosco» protestò Maribel, gli occhi scintillanti di lacrime. «Non mi avete neppure detto come si chiama.»

    «Il suo nome non ha importanza, ma dato che insisti... È Lord William Roberts di Helbourne.» Don Miguel agitò una mano come per congedarla.

    Maribel però non aveva alcuna intenzione di essere liquidata tanto in fretta. «Un lord inglese?» Con le palpebre socchiuse scrutò il padre, vide il suo portamento freddo e orgoglioso e di nuovo si sentì ferita, come del resto era accaduto tanto spesso. Perché era sempre così duro con lei? Che cosa gli aveva fatto perché la odiasse? Maribel aveva compreso da tempo che l’atteggiamento dell’uomo non era semplice insofferenza, bensì qualcosa di più profondo. «Quanti anni ha? Che genere di persona è? Vi prego, ditemelo, padre.»

    «Che cosa conta la sua età?» domandò Don Miguel con occhi gelidi. «È di buon carattere e ricco... Cosa vuoi di più?»

    «Voglio un uomo come Don Pablo. Era giovane e bello e io lo amavo» dichiarò Maribel con orgoglio. «Mi ha lasciato in eredità una fortuna... Perché dovrei fare un matrimonio di interesse, visto che non ho bisogno di denaro?»

    «Una donna sola non può occuparsi delle sue proprietà con profitto. Ho fatto quello che potevo per te, ma devi pensare a risposarti. È la scelta più giusta e naturale. Non desideri forse un marito e dei figli?» La sua voce si raddolcì, assumendo un tono suadente. «Non vorrai passare il resto della vita a portare il lutto per un uomo che conoscevi a malapena? Don Pablo avrebbe voluto che fossi felice.»

    «Sì... forse» ammise lei, esitante. Quando suo padre le si rivolgeva in quel tono dolce, riusciva quasi a credere che le volesse bene, pur sapendo che era sempre stata Juanita a mettersi tra loro due per proteggerla dalla sua ostilità. A volte pensava che avesse cominciato a odiarla quando era nata. Juanita le aveva raccontato che, dietro i modi severi, Don Miguel nascondeva un cuore buono e lei le aveva creduto. Se suo padre era del parere che dovesse sposare quel lord inglese, era probabile che ritenesse il matrimonio la scelta più giusta per il suo bene. Disobbedirgli apertamente proprio adesso che entrambi soffrivano per la morte della donna che avevano amato tanto sarebbe stato come mancare di rispetto alla memoria di Juanita. «Vi prego di concedermi il tempo di riflettere su queste nozze, padre. Vorrei conoscere il gentiluomo, prima di impegnarmi.»

    «Gli scriverò per invitarlo a farci visita. È un uomo molto occupato, però, e potrebbe mandare qualcun altro al posto suo. Un suo ritratto ti farebbe sentire più tranquilla?»

    «Mi piacerebbe vedere che aspetto ha.» Maribel fece un passo avanti, la mano tesa. «Vi prego, lasciatemi un po’ di tempo, non mi sono ancora ripresa dalla morte della matrigna. Le volevo molto bene.»

    «Anch’io, che il Signore possa accogliere la sua anima» replicò Don Miguel con aria devota. «Per amore di Juanita ti concederò ancora qualche mese di tempo, anche se desidero che tu ti prepari. La mia volontà è che tu ti risposi presto.»

    Maribel chinò il capo. Nella voce del padre aveva colto un tono inequivocabile di congedo. Non aveva nient’altro da dirle e per lui la questione era chiusa. Senza dubbio avrebbe scritto a Lord Roberts per invitarlo a fargli visita e avrebbe organizzato le nozze senza più curarsi di ciò che lei desiderava.

    Uscendo dal cortile ombreggiato dovette battere le palpebre per non lasciar traboccare le lacrime. Non voleva lasciare la Spagna per trasferirsi in Inghilterra, un paese che non conosceva. Sua madre era inglese, ma non ne conservava alcun ricordo, dato che era morta di febbre quando lei aveva appena due anni, dopo aver messo al mondo un maschietto nato morto. Forse era per le sue origini che suo padre aveva deciso quelle nozze.

    La gola le si serrò di colpo quando pensò al suo giovane, attraente marito. Entrambi avevano avuto appena sedici anni all’epoca delle nozze. Pablo Sanchez era bellissimo e possedeva anche un animo gentile. Affettuoso e cortese, aveva trattato Maribel come una sorella. Insieme si erano divertiti molto e avevano fatto giochi un po’ infantili. Nessuno era a conoscenza del fatto che il matrimonio non era mai stato consumato e che lei era ancora vergine come il giorno delle sue nozze.

    Forse, se suo padre ne fosse stato al corrente avrebbe avuto più riguardi per lei, ma non voleva dirglielo perché se ne vergognava.

    Il futuro incombeva minaccioso davanti a lei. Le era stata concessa una proroga di alcuni mesi, alla scadenza dei quali suo padre l’avrebbe costretta a sposare l’uomo che aveva scelto per lei.

    «Slegatelo e portatelo sottocoperta» ordinò Justin, rivolto ai marinai. Era appena stato costretto a far frustare un membro dell’equipaggio per insubordinazione e aveva dovuto esercitare un notevole sforzo per non strappare il crudele scudiscio dalle mani del nostromo. «Dobbiamo curargli le ferite.»

    «Già» brontolò Higgins. «Questo povero ragazzo ha già fatto molto a sopportare le frustate senza lamentarsi.»

    «Non c’è bisogno che tu me lo dica.»

    Justin evitò di ricordargli che anche lui era stato frustato, la prima volta che aveva disobbedito a quel mostro del capitano della nave. Dopo l’aggressione, quando aveva aperto gli occhi con un lancinante dolore al capo, e si era ritrovato a bordo di una nave sconosciuta diretta verso l’oriente, sulle prime Justin aveva rifiutato di prendere ordini dal capitano Smythe e dal nostromo. Allora era stato legato all’albero maestro e aveva ricevuto una buona dose di frustate. In quel momento aveva capito che non aveva altra scelta che obbedire. E se le ferite erano guarite era stato soltanto perché il primo ufficiale Higgins si era preso cura di lui.

    A poco a poco, con il passare dei mesi, Justin era diventato un esperto marinaio e si era conquistato il rispetto dell’equipaggio. Sapeva che gli uomini lo consideravano un capo e che la maggior parte di loro pensava a un ammutinamento. Presto sarebbe stato costretto ad agire, ma per il momento doveva occuparsi del ragazzo ferito.

    Quando furono sottocoperta, al sicuro, distesero il giovane su un giaciglio di coperte e sacchi e Higgins lavò via il sangue come meglio poteva. Il ragazzo era svenuto dopo quaranta colpi e rimase privo di conoscenza anche mentre l’uomo gli spalmava un unguento sulle ferite. Quando ebbe finito, Higgins alzò lo sguardo. «Gli uomini non ne possono più della brutalità del comandante, signore» dichiarò. «Vi considerano il loro capo.»

    «Parli di ammutinamento?»

    «Sì, signore. Anche se io la chiamo giustizia. Faremo sbarcare il capitano e il nostromo nottetempo. Alcuni ufficiali sono pronti a unirsi a noi e quelli che si rifiuteranno subiranno la stessa sorte del capitano. Gli uomini vogliono voi al comando della nave. Vi seguiranno... ovunque vogliate portarli.»

    «Ho sentito delle voci e sono onorato per la fiducia che riponete in me. Gli uomini si rendono conto che facendo questo diventeremo dei fuorilegge? Che saremo costretti a guadagnarci da vivere con la pirateria? Se venissimo catturati, finiremmo tutti appesi al pennone più alto, perché questa nave batte la bandiera della Corona inglese. Qualcuno di voi si sarà imbarcato di sua spontanea volontà mentre io sono stato portato a bordo con la forza, ma neppure questo servirebbe a salvarmi la vita. Verrei impiccato insieme agli altri.»

    «Sì, se ci prenderanno penzoleremo tutti quanti attaccati a una corda, ma molti di noi sono convinti che valga la pena di correre il rischio. Un anno o due da corsari e poi camperemo da re fino alla fine dei nostri giorni.»

    «Saremo pirati, mettitelo in testa, Higgins. Un corsaro prende il mare con l’autorizzazione della regina, ma io dubito che l’avremo.»

    «Sì, signore. Gli uomini lo sanno.»

    Justin socchiuse gli occhi. «Se accetto, dev’essere chiaro che non voglio inutili spargimenti di sangue. Non starò in disparte a guardare mentre gli uomini regolano dei vecchi conti. Non farò frustare un uomo per una mancanza da niente, ma se un membro dell’equipaggio ucciderà un compagno, sarà impiccato. È meglio che l’equipaggio sappia fin da subito che non sono un tipo tenero.»

    «Navigheremo secondo le leggi della Fratellanza, con tutto quello che ne consegue... e vi seguiremo tutti, fino all’ultimo uomo.»

    Justin esitò. «D’accordo» accettò poi. «Di’ agli uomini di attendere il mio segnale. Sappiamo già quali ufficiali sono dalla nostra parte?»

    «Il nostromo starà di sicuro con il capitano e forse anche Mr. Hendry. Tutti gli altri non ne possono più della loro brutalità, come il resto di noi.»

    «Mr. Hendry ha le chiavi dell’arsenale. Ci servono, se vogliamo avere la meglio.»

    «Potrebbe opporre resistenza, signore.»

    «Lasciatelo a me.» Gli occhi di Justin scintillavano per l’eccitazione. Non avrebbe mai scelto liberamente di diventare un pirata, ma adesso che quella strada gli si apriva davanti, comprendeva che era la sua unica speranza. Se avesse rifiutato, gli uomini avrebbero massacrato il capitano e gli ufficiali e lui si sarebbe ritrovato con un pugnale piantato nella schiena. E poi pirateria voleva dire una vita avventurosa e libera dal tiranno che aveva reso la loro vita un inferno. «Quando Hendry comincerà il suo turno, gli proporrò di unirsi a noi. Se rifiuterà, sarà imprigionato fino a quando non avremo il controllo della nave e poi li caleremo tutti quanti in mare su una scialuppa. Non siamo lontani dalle coste di Venezia. Il capitano e gli ufficiali aspetteranno là una nave inglese che li riporti in patria.»

    «Chissà cosa racconteranno di noi... Ci daranno la caccia per tutti i mari.»

    «I cacciatori saremo noi, Higgins. Ci dirigeremo a Cipro e là faremo sistemare la nave e le daremo un nuovo nome. C’è bisogno di qualche modifica per farla diventare più veloce. Oppure la venderemo e ne compreremo una più adatta alla nostra nuova attività. Fidati di me, ho imparato parecchie cose in questi mesi e sono bravo con i numeri. So cosa ci vuole per farla filare come il vento.»

    «Sì, signore, lo sappiamo. Sarete un bravo capitano e avrete l’appoggio degli uomini. Quando la ciurma è contenta, il lavoro è più leggero.»

    Justin sorrise. A bordo della nave aveva imparato che gli uomini disobbedivano agli ordini oppure perdevano tempo nel lavoro perché solo così potevano vendicarsi di un comandante che odiavano.

    «Di’ agli uomini di tenersi pronti al mio segnale.»

    «Sì, capitano Sylvester.»

    Higgins lo salutò, prima di allontanarsi, lasciandolo solo con il ferito. La prima volta che era stato chiamato a rapporto, Justin aveva fornito un falso nome. Nessuno era al corrente della sua vera identità e non era neppure disposto a rivelarla. Era Sylvester e avrebbe comandato una nave di pirati, giacché sulla riuscita dell’ammutinamento non aveva dubbi. Non era sicuro che il primo ufficiale Hendry sarebbe stato disposto a unirsi ai ribelli, tuttavia gli avrebbe dato la possibilità di scegliere. Se fosse riuscito nel suo intento non ci sarebbero stati morti, qualche ferito forse sì. Volendo essere pratico, sapeva che il mestiere del pirata avrebbe comportato talvolta l’uso della violenza, però era pronto a prendere a bordo gli equipaggi delle navi che avrebbero abbordato. Se avessero rifiutato... Il viso di Justin assunse un’espressione dura. Avrebbero fatto il necessario, niente di più.

    Non aveva chiesto di essere imbarcato su quella nave. L’ingiustizia e il pregiudizio l’avevano costretto a fuggire dall’Inghilterra e una banda di criminali l’aveva privato della libertà. A tempo debito avrebbe salutato quella nave e il suo equipaggio e sarebbe andato da suo cugino in Francia, come era stato nei suoi programmi, ma per il momento si era impegnato a comandare gli uomini perché potessero assicurarsi i lauti bottini che tutti auspicavano.

    «Ho ricevuto una lettera da Lord Roberts. Manderà qui suo cugino per scortarti in Inghilterra» annunciò Don Miguel Sabatini alla figlia. «Hai avuto tutto il tempo necessario per piangere tuo marito. Il capitano Hynes arriverà tra pochi giorni. Preparerai i tuoi bagagli e ti farai trovare pronta a partire.»

    «Quindi date per scontato il mio assenso? Supponiamo che lui non mi piaccia.» Maribel alzò il capo di scatto, sfidando il genitore.

    «Obbedirai a tuo marito così come obbedisci a me. Ho deciso così.»

    «E che ne sarà delle proprietà che lascerò in Spagna?» Essendo trascorsi sei mesi da quando aveva parlato di farla risposare, Maribel aveva nutrito la speranza che il padre si fosse dimenticato dei suoi progetti, invece era evidente che si era sbagliata.

    «Le amministrerò io in tua vece. Del resto, quando sarai sposata passeranno a tuo marito e lui potrebbe decidere di vendere tutte le proprietà. Aspetterò le sue istruzioni.»

    «Appartengono a me. Pablo me le aveva affidate. E io non desidero venderle.»

    «Pablo non ha avuto un figlio maschio che potesse ereditarle. Il tuo nuovo marito deciderà cosa fare. Forse, se sarai gentile con lui, ti permetterà di tenerle e manderà di tanto in tanto i suoi agenti a verificare che sia tutto in ordine.»

    Maribel fissò il padre con aria ribelle. Era in collera perché lui aveva rifiutato di ascoltare la sua richiesta, ma anche indecisa sul da farsi. Se il padre di Pablo fosse stato ancora vivo, avrebbe potuto chiedergli aiuto, invece suo marito era rimasto orfano da bambino. Era sola e senza appoggi influenti, del tutto alla mercé del genitore.

    Dopo aver lasciato suo padre, fece una passeggiata sulla collina che guardava il mare, la mente occupata da pensieri tormentosi. Anche se si fosse ribellata, suo padre avrebbe potuto mandarla ugualmente in Inghilterra. C’era ben poco che potesse fare, dato che Don Miguel era stato nominato amministratore del suo patrimonio. Così le avevano consigliato gli avvocati, dicendole che era per il suo bene e lei, stupidamente, aveva firmato. Solo che allora Juanita era ancora viva e suo padre non era stato così severo... così implacabile.

    Dal mare le giunse un rumore distante e Maribel si riparò gli occhi con la mano per guardare. Le navi erano troppo distanti perché potesse vederle bene, ma comprese che una delle due stava prendendo l’altra a cannonate. Che cosa succedeva? Suo padre aveva inveito spesso contro i pirati che attaccavano i mercantili in acque spagnole. Se una delle due era una nave pirata, a chi apparteneva quella che stava subendo l’attacco?

    «Nella stiva c’è un ricco bottino» annunciò Higgins con un ampio sorriso, mentre tornava a bordo della Defiance. «Il capitano non vuole dirci da dove proviene, ma abbiamo trovato delle casse di argento grezzo.»

    «Viene dal Nuovo Mondo, secondo te?»

    «Sembrerebbe di sì, capitano.»

    Justin annuì. Da quando aveva assunto il comando della nave, sbarcando il capitano insieme alla maggior parte degli ufficiali, erano stati fortunati. Avevano già assalito tre mercantili che trasportavano dei carichi preziosi e tutti si erano arresi al primo colpo di cannone della Defiance.

    «Hanno ceduto le armi senza combattere. Johnson mi ha detto che l’equipaggio detesta il proprietario della nave. Li ha costretti a uccidere gli schiavi che lavoravano per lui nelle miniere, prima di portare l’argento a bordo e molti di loro ne sono rimasti disgustati.»

    «È intollerabile!» Justin era furioso. «Perdio, il responsabile si merita una lezione.»

    «Il proprietario della Juanita è Don Miguel Sabatini. Ha al suo servizio degli uomini che dirigono le miniere e che maltrattano gli schiavi. Avevo già sentito parlare di lui da alcuni marinai che ho conosciuto quando siamo sbarcati a Cipro. Il suo nome è molto temuto. Quando saprà che abbiamo assalito le sue navi, ci

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