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L eredità perduta: Harmony History
L eredità perduta: Harmony History
L eredità perduta: Harmony History
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L eredità perduta: Harmony History

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About this ebook

Inghilterra, 1814
Una clausola del testamento del nonno costringe Thea a sposare un aristocratico, rendendola di fatto prigioniera del nobile quanto smidollato Granby Winforde e della sua perfida madre. L'unica alternativa che le rimane è fuggire prima del matrimonio, rinunciando alla ricca eredità e ai privilegi del proprio stato. Così, Thea cambia identità e si fa assumere come domestica nella dimora di Lady Darraine. Ma al cugino della padrona di casa, l'affascinante maggiore Marcus Ashfield, non sfugge il fatto che la nuova arrivata è una domestica decisamente singolare, che passa il tempo libero in biblioteca a leggere i classici latini! E si ripromette di scoprire la verità.
LanguageItaliano
Release dateMar 11, 2019
ISBN9788858994917
L eredità perduta: Harmony History
Author

Elizabeth Beacon

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    L eredità perduta - Elizabeth Beacon

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Housemaid Heiress

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2007 Elizabeth Beacon

    Traduzione di Annalisa Sezzi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-491-7

    1

    «Ora dovrete sposare Granby» osservò Lady Winforde con evidente soddisfazione.

    «Preferirei il lustrascarpe!»

    «I vostri gusti grossolani sono irrilevanti.» Lady Winforde guardò con repulsione la giovane donna in disordine di fronte a lei e Thea si sforzò d’incontrare quegli occhi freddi e vitrei come se non le importasse nulla.

    «Mio figlio dovrà abbassarsi a sposare la nipote di un trovatello.»

    «Vostro figlio è un giocatore e un ubriacone. Nessuna donna sana di mente lo sposerebbe di sua volontà, di qualunque estrazione essa sia.»

    «Ah, una donna così innanzitutto non si chiuderebbe nella camera di un gentiluomo per tutta la notte! Come vi aspettate che creda che una porta possa bloccarsi la notte e che possa aprirsi senza problemi il mattino dopo? Non avete altra scelta se non quella di accettare la proposta di mio figlio. Quel poveruomo è stato intrappolato in modo vile.»

    «Di certo la ricchezza di mio nonno glielo farà sopportare!»

    «Vedo che capite. È giunta l’ora che vi ritiriate nella vostra camera a riflettere sulla vostra immeritata fortuna.»

    «Se ricordate, Lady Winforde, la stanno mettendo a posto. Che sfortuna essere costretta da un’alluvione catastrofica a stabilirmi nelle soffitte proprio in un tale momento» ribatté Thea.

    «Sì, il tetto da quella parte è stato molto trascurato.»

    «Che coincidenza conveniente!»

    «Oh, no, mia cara, direi sconveniente, se vi conduce così lontano dalla mia protezione e dalla mia guida, come ben dimostra la fuga dell’altra notte. Non importa, una volta sposata con Granby, potrete raggiungerlo in maniera rispettabile nella camera padronale.»

    «Preferirei dividerla con i pazzi del manicomio di Bethlehem, milady.»

    «Sul serio, nipote? Sono sicura che capiterà, se vi ostinate a comportarvi in questo modo.»

    «Io non sono vostra nipote!» Thea si era rifiutata in modo categorico di chiamare zia quella donna fin dal giorno in cui lei e il suo ripugnante figlio erano arrivati sotto il tetto della ricca dimora del nonno. «I miei amministratori non crederanno mai a una bugia così vergognosa.»

    «Rifiutare una proposta di matrimonio onorevole come questa, dopo essere stata scoperta nella camera di mio figlio, non li convincerà certo della vostra sanità di mente. Soprattutto quando dei testimoni ineccepibili vi hanno colta in una situazione così compromettente.»

    «E come mai il curato e sua moglie erano lì a due passi?»

    «Che cosa può fare di più naturale una zia preoccupata se non perlustrare la campagna alla ricerca della nipote scomparsa? È incredibile che un uomo in abito talare possa accorrere e offrirmi sostegno e soccorso in una tale circostanza?»

    «E la curiosità della moglie immagino sia la ciliegina sulla torta.»

    «Che espressioni colorite usate, un’eredità della vostra singolare educazione, presuppongo.»

    «Non c’è nulla che non vada nella mia educazione.» Thea non si trattenne e una delle sopracciglia sottilissime di Lady Winforde si sollevò incredula mentre un fugace sorriso le sfiorava le labbra.

    Oh, accidenti, aveva lasciato che quella strega senza scrupoli vincesse un’altra battaglia!

    «Forse non per la figlia di un mercante» osservò la nobildonna altezzosa. «Comunque, sfruttiamo al meglio l’inevitabile. Tornate nella vostra stanza e ricomponetevi per il matrimonio.»

    Thea fu scortata di nuovo nella sua prigione da uno di quei servitori criminali che i Winforde avevano portato in casa quando il corpo di suo nonno era ancora caldo.

    Nella speranza che le fornissero l’occasione di scappare, comunque, dovevano crederla sconfitta. Non che temesse un’altra visita di Granby. Anche la notte precedente l’aveva importunata ma senza entusiasmo, fino a che il violento e palese disgusto di lei non l’aveva ricacciato dall’amata bottiglia di brandy. Che sciocca era stata all’inizio a non prendere sul serio quei farabutti, quando avrebbe potuto ancora avere buone probabilità di fuga!

    Si lasciò cadere sul piccolo letto che era l’unico mobilio in quella soffitta tetra insieme a una panca sbilenca.

    Per quanto tentata di cadere nella disperazione dopo una simile notte, rifiutò di arrendersi. Avrebbe trovato una via d’uscita da quella trappola, anche a rischio della vita. Perlomeno avrebbe ostacolato quei furfanti a caccia di soldi!

    «Al diavolo, avrei dovuto lasciarti a Southampton, Nick!» protestò il maggiore Marcus Ashfield, il nuovo Lord Strensham, mentre osservava il compagno.

    Anche nella luce fioca di quel pomeriggio primaverile, poteva vedere il viso pallido e magro del cugino e si rimproverò di avere ascoltato le sue stupide richieste di sottrarlo alle cure di quei medicastri.

    «Maledizione, vecchio mio, dovevo lasciare che ti amputassero il braccio.»

    «No, il mio braccio non ha nulla che non vada» mormorò il cugino.

    «A parte il taglio purulento di una sciabola francese a cui si aggiunge il foro di una pallottola sulla spalla. E quando avresti studiato medicina?»

    «Ne so più io di quell’imbecille» borbottò cupo il capitano, l’Onorevole Nicholas Prestbury.

    Marcus notò che farfugliava e che, seppur debole, tentava con ostinazione di stare in sella. Era chiaro ormai che non potevano più proseguire, ma nel mezzo di quella solitudine dove diamine potevano riposarsi al sicuro?

    «Per fortuna ne so abbastanza anch’io per dirti che non possiamo continuare.»

    «Cavalcherò tutta la notte, se devo. Non mi sono mai arreso quando marciammo sui Pirenei.»

    «Forse sì, ma non avevi due ferite e la febbre a farti rallentare, allora.»

    «Non mi faranno rallentare neppure ora.»

    «Smettila, stupido, certo che lo faranno.»

    «Cammina!»

    «Soldato da strapazzo.»

    «Sei sempre stato un idiota...» mormorò Nick e perse infine la battaglia contro i suoi sensi vacillanti.

    Marcus afferrò in tempo il corpo accasciato del cugino e calmò il cavallo imbizzarrito.

    «Grazie al cielo, Hercules, ti hanno insegnato le buone maniere» mormorò mentre il cavallo si placava.

    Il purosangue per fortuna non tentò di scappare quando Marcus scese dalla sella, cercando allo stesso tempo di mantenere Nick sulla sua finché non fosse riuscito ad assicurarlo meglio.

    «Siamo in un bel guaio, amico» disse tanto a se stesso quanto al fidato destriero.

    Gli alberi erano fitti su entrambi i lati del sentiero. Due miglia prima avevano passato una taverna al margine della strada, che però Marcus sospettava essere un covo di ladri. Forse avrebbe dovuto insistere per fermarsi almeno quella notte, ma non credeva che sarebbe riuscito a sorvegliare il cugino e i cavalli. Tutto ciò che poteva fare era legare Nick alla sella, come facevano in marcia con i feriti meno gravi, e sperare di trovare un rifugio di fortuna per la notte imminente.

    C’era più buio tra gli alberi e, da uno sguardo al cielo nuvoloso, capì che la luna non avrebbe indicato loro il cammino. Stava pensando di accamparsi sul ciglio della strada, quando d’un tratto colse nell’aria fresca una leggera fragranza di legna accesa.

    Abituato a muoversi in territorio nemico, era ancora troppo prudente per precipitarsi in quella direzione. Non era più in Spagna o in Francia, dove si accampavano gli eserciti nemici, ma non era neanche così stupido da pensare che tutti in Inghilterra fossero gioviali e pronti ad accogliere con piacere gli ufficiali del Marchese di Druro.

    Maledicendo la loro vulnerabilità, tenne i cavalli il più tranquilli possibile e ascoltò con attenzione. Niente a parte i normali suoni della natura che non erano d’aiuto, anzi, impedivano i suoi tentativi di sondare l’oscurità. Avendo deciso che tutto ciò che poteva fare era procedere con cautela, condusse i cavalli in avanti molto lentamente. Senza dubbio si trattava di carbonai, ma non era sicuro che sarebbero stati meglio dell’allegra compagnia della locanda sulla strada. L’odore infine lo guidò giù per un sentiero ancor più all’interno della foresta.

    Non aveva altra scelta che seguirlo, poiché Nick stava iniziando a lamentarsi nel suo inquieto stato di incoscienza e Marcus era disperato.

    «Idiota» mormorò di nuovo.

    Era talmente occupato a riflettere su come salvare l’arto di Nick, che quasi sorpassò la capanna. Anche nel crepuscolo riusciva a vedere quanto fosse modesta, ma i mendicanti, pensò, non hanno scelta; così bussò alla porta. Dopo un paio di minuti molto lunghi non riuscì più ad aspettare e gridò.

    «Siamo viaggiatori sorpresi dall’oscurità e non abbiamo cattive intenzioni.» La sua voce risuonò nella radura silenziosa; era certo che all’interno ci fosse qualcuno che fingeva di non esserci. In preda alla disperazione, non si preoccupò di spaventarlo. «Al diavolo, abbiamo bisogno d’aiuto!»

    «Non abbiamo nulla, andatevene!» rispose una vocetta preoccupata e tremante.

    «Apri solo la porta, bambino» ordinò Marcus in tono più dolce e aspettò con tutta la pazienza che riuscì a racimolare.

    La porta rimase ancora ostinatamente chiusa.

    Marcus si stancò infine di starsene lì fuori come un amante frustrato che implorava di essere ammesso negli appartamenti della sua signora e un altro gemito del cugino lo costrinse a scardinare la porta.

    «Ho detto che necessitavamo di soccorso» ribadì brusco mentre sulla soglia ispezionava lo squallido interno.

    «E io vi ho detto che non possediamo nulla» mormorò nell’oscurità la voce divenuta scontrosa.

    Messo in guardia dall’istinto, alzò in fretta il braccio per afferrare una spranga di legno diretta sulla sua testa. Bloccò con la mano un polso sottile, facendo cadere sul pavimento l’arma improvvisata e girò il braccio dell’assalitore dietro la schiena.

    «Ahi! Bruto!» strillò il presunto bambino e lui lo lasciò andare di colpo, trattenendolo tuttavia per un braccio, quando si accorse che premuto contro il suo c’era il corpo snello di una donna e non certo quello di un cocciuto ragazzino.

    «Per fortuna, signora, la vostra supposizione è errata. Potremmo ricominciare da capo?»

    «La vostra menzogna sarebbe di gran lunga più convincente se mi lasciaste andare.»

    «Non sono la canaglia che credete, ma neppure uno sciocco, ragazza mia. Vi comporterete come si deve?»

    «Devo, dal momento che siete il doppio di me, milord.»

    «Lasciate stare le messinscene, promettete di non attaccarmi ancora e io vi lascerò andare.»

    «Prometto» ribatté lei e l’ira nella sua voce gli assicurò che intendeva onorare la parola, visto che il darla l’aveva resa furiosa.

    Con prudenza posarono le armi nell’oscurità.

    «Tutto questo è ridicolo, dovete avere dei mezzi per far luce, se avete acceso comunque un fuoco.»

    «E non è stato forse un grave errore?» protestò irritata la giovane mentre cercava a tentoni nel buio una lanterna.

    La capanna non venne comunque inondata di luce, ma la fiammella della candela ne rivelò i tristi dettagli.

    «Non c’è nulla qui!» esclamò Marcus con disappunto. La sua speranza di sistemare in modo confortevole Nick lontano dal freddo e dall’umidità della primavera inglese svanì come fiato nell’aria gelida.

    «Ve l’avevo detto!» esclamò lei a braccia incrociate.

    «Significa che non avete nulla neppure voi» notò lui con giustificata esasperazione.

    «Esatto» convenne lei quasi allegramente, quindi fece cenno nella direzione dalla quale era venuto. «La strada è da quella parte.»

    «Non ho alcuna intenzione di trascinare oltre un uomo ferito; così, o ci sopportate o andate via voi.»

    «Ero qui prima io» borbottò lei arrabbiata, calmandosi un poco al pensiero di una notte all’addiaccio.

    «In altre circostanze vi avrei lasciata galantemente alla vostra solitudine, ma ora ho cose più importanti di cui preoccuparmi di una servetta astiosa e in fuga.»

    Thea illuminò l’intruso e lo osservò attraverso l’oscurità. Non avrebbe mai dovuto cedere alla tentazione di accendere il fuoco. Aveva lasciato che si spegnesse appena finito il pasto frugale, ma ormai il danno era stato fatto. Avrebbe potuto, tuttavia, incorrere in una sventura peggiore di un ufficiale alla ricerca di un alloggio per la notte. Doveva fare attenzione, però.

    «Ho ragione nel ritenere che il noi di cui parlavate era una bugia per scacciare i codardi?» le chiese lui e Thea tremò.

    Nessuno sarebbe venuto in suo aiuto se quell’uomo non si fosse rivelato il gentiluomo che sembrava.

    «Forse» rispose lei con cautela.

    «In entrambi i casi voi siete al momento l’unica persona che possa aiutarmi, quindi tenete la lanterna un po’ più in alto per guidarmi dai cavalli, va bene?» Vedendo che lei non si muoveva, mostrò evidenti segni d’impazienza e l’avvisò in modo brusco: «Avrete sulla coscienza la vita di un uomo, se non mi aiutate».

    «E chi dice che io mi possa permettere un tale lusso?»

    Marcus sospirò, prese uno scellino dalla tasca e glielo porse. «Questo è sufficiente» replicò in tono così esausto che Thea abbassò la guardia.

    Dopo tre settimane passate a scappare, nascondersi e camminare fino a che le gambe non la reggevano più, provava compassione per chi era stanco. Ripetendosi che doveva comunque stare all’erta, osservò la moneta luccicante. Era una tentazione irresistibile. Dio solo sapeva infatti quando avrebbe avuto l’occasione di guadagnarne un’altra, così annuì e lui le fece segno di seguirlo.

    Mentre discutevano era calata la notte e a Thea sembrò di vedere un’ombra muoversi al limite del bosco.

    «Il mio cavallo si starà chiedendo dove sono finito.»

    La voce burbera dell’ufficiale la rassicurò. La sua presenza la tranquillizzava più delle parole e Thea si rilassò un po’ mentre lasciava che lui le facesse strada. Anche se non sopportava di ricevere ordini né di essere comandata a bacchetta come una recluta inesperta, ora stranamente le piaceva.

    «Ah, ma è una bellezza» mormorò accarezzando con la mano delicata il cavallo in paziente attesa.

    «Interrompo con riluttanza una scena così commovente, più luce tuttavia mi aiuterebbe a valutare meglio le condizioni di mio cugino.»

    «Non c’è bisogno di essere sarcastici» borbottò lei mentre teneva in alto la lanterna. Vide così nel riverbero l’eleganza dell’uniforme da Ussaro, che però sottolineava anche la magrezza e il pallore di chi la indossava.

    «C’è una tettoia nel retro della capanna dove i carbonai tenevano le bestie.» Si offrì di prendere le redini del purosangue, ma il soldato allungò una mano per fermarla.

    «Fate luce mentre li porto io.»

    Consapevole che l’ufficiale poteva temere una sua possibile fuga a cavallo, Thea marcò i passi sull’erba del sentiero diretto al tugurio, dove poche vecchie balle di fieno sarebbero servite da giaciglio agli animali per la notte.

    Marcus fissò le redini al punto più resistente che riuscì a trovare e slacciò le corde che tenevano l’amico in sella. Thea dimenticò la rabbia e appese la lampada a un chiodo messo lì apposta.

    «Posso tenergli i piedi se voi lo trattenete per le braccia» si offrì lei, giusto in tempo per indietreggiare stupita quando il maggiore sollevò dalla sella l’uomo incosciente, posandolo con gentilezza sul mucchio di fieno più vicino.

    Scosse la testa meravigliata di fronte a quella prova di forza e andò a calmare il cavallo agitato, strofinandolo con del fieno.

    «Sapete come trattare i cavalli» commentò l’uomo e, se si aspettava che lei gli cadesse ai piedi in estasi per il complimento, sarebbe rimasto deluso.

    «Mi piacciono» disse laconica, sperando di riuscire a odiarlo.

    «Anche voi a lui. Ho visto spesso questo mascalzone tirare calci quando è agitato.»

    «È un peccato che non possa essere uno staffiere allora, no?» ribatté lei con leggerezza.

    «Sì, è molto più sicuro andare in giro di notte per un ragazzo che per una giovinetta» ammise Marcus.

    «Non ho bisogno della protezione di nessuno» mentì Thea mentre lui sollevava il carico che i cavalli avevano trasportato e tirava fuori i sacchi di foraggio e la provvista di avena. «Non appena avremo messo a letto il vostro amico daremo loro da bere» suggerì. «Sembra sul punto di svegliarsi.»

    «Prima lo portiamo dentro, meglio è. Siete altrettanto brava con la gente?»

    «Non la sopporto.»

    Marcus rise e Thea cercò di non sorridere, anche se lui non la vedeva.

    «Pensavo di sì. Da brava, portatemi la borsa.»

    Thea aggrottò le sopracciglia e cercò di non far trasparire lo stupore nel vederlo sollevare e sorreggere il compagno alto e magro come se fosse un bambino.

    2

    «Accendete di nuovo il fuoco» le ordinò l’alto fuciliere quando furono al sicuro nella capanna con la porta ben chiusa.

    «Tradirà la nostra presenza.»

    «Ho un fucile, quattro pistole, una spada e una sciabola da ufficiale di cavalleria, perciò penso che riusciremo ad affrontare qualsiasi intruso.»

    «Suppongo che Napoleone sia troppo impegnato per farci visita stasera, quindi probabilmente sì.»

    «Una serva con il senso dell’umorismo, che piacere» replicò lui secco e Thea reagì di nuovo con un broncio ribelle.

    Mentre raggiungeva la preziosa legna che aveva raccolto nel caso fosse riuscita a passare la notte con il conforto di un camino, si chiese che cosa avrebbe capito di quella situazione assurda la ragazza viziata di pochi mesi prima. Con tutta probabilità la sciocca Miss Hardy avrebbe trovato lo straniero bruno, in divisa da fuciliere, deliziosamente affascinante e si sarebbe innamorata a prima vista.

    «Idiota» mormorò a questo pensiero.

    «Chi?»

    «Chi che cosa?»

    «Sarò forse idiota, ma non sono sordo.»

    «Intendevo qualcun altro» disse lei, sorpresa di non voler urtare i suoi sentimenti. «Una giovane signora nell’ultima casa in cui sono stata. Insisteva che ogni mattina il camino venisse acceso tre ore prima del suo risveglio così da non rischiare che i suoi delicati piedini prendessero freddo.»

    Provando vergogna al ricordo di quelle sue richieste inutili, Thea fu contenta che la

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