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Ghiaccio bollente: Harmony Privé
Ghiaccio bollente: Harmony Privé
Ghiaccio bollente: Harmony Privé
Ebook199 pages1 hour

Ghiaccio bollente: Harmony Privé

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About this ebook

Noi siamo ghiaccio e fuoco.

Due opposti non si sono mai attratti così tanto...
Il re delle costruzioni Logan Holmes ha una sola regola: mai andare a letto con le clienti! Quando Hope McWilliams lo assume, però, tra loro si instaura una chimica irresistibile, e l'unica cosa a cui Logan riesce a pensare è ai mille modi in cui può darle piacere, lasciandosi consumare dal fuoco che lo tormenta. E quando la passione finalmente esplode, l'incendio che divampa fra loro non accenna a spegnersi. Logan non ha mai avuto paura di gettarsi tra le fiamme, per poi fuggire subito dopo, ma ora, con Hope, cerca solo una scusa per restare.
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2019
ISBN9788830508750
Ghiaccio bollente: Harmony Privé
Author

Nicola Marsh

Giornalista, ha viaggiato per il mondo in cerca di grandi scoop. Scrivere romanzi, però, è sempre stato il suo sogno.

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    Ghiaccio bollente - Nicola Marsh

    successivo.

    1

    Logan spinse la pesante porta a vetri del caffè nel centro di Melbourne e rimase perplesso.

    Non amava particolarmente quel genere di locale un po' pretenzioso e di tendenza.

    Giovani bohémien con barbette, vestiti stretti e occhiali spessi gomito a gomito con professionisti in abiti di sartoria che studiavano assorti i loro cellulari. Pitture dai colori sgargianti che ricordavano i disegni dei bambini ricoprivano le pareti mentre un sottofondo di musica jazz si aggiungeva alla cacofonia delle voci dei baristi che urlavano le ordinazioni, dai cappuccini al latte di soia ai tè speziati.

    Provò uno spiacevole pizzicore sulla pelle mentre si arrotolava le maniche della camicia ed entrava. Il profumo di caffè, pasticcini alla cannella e toast servì a poco per alleggerire il senso di irritazione mentre scrutava tra i tavoli.

    Non la vide.

    Del resto non si sarebbe sorpreso se Hope McWilliams fosse arrivata in ritardo. Al telefono gli era sembrata altezzosa e snob e la cosa non aveva nulla a che vedere con lo spiccato accento british. Con un tono tra il distaccato e il condiscendente aveva insistito che fosse lui a venire di persona per un preventivo sulla ristrutturazione dello studio di registrazione insonorizzato. Per inciso, era una cosa che Logan faceva sempre ma in quel caso, pur tentato di rifiutarsi, non aveva avuto scelta. Il suo dipendente più fidato si era infortunato la settimana prima alla schiena. Il che significava che lui avrebbe dovuto restare in quella città per un altro mese sino a che Rick non fosse tornato al lavoro.

    Un problema notevole perché sentirsi costretto entro quei confini gli dava parecchio sui nervi, abituato com'era a spostarsi di continuo. La sua impresa di costruzioni era la migliore in Australia e c'era riuscito viaggiando in un lungo e in largo per la nazione, per assicurarsi che i clienti fossero soddisfatti delle ditte a cui subappaltava i lavori. Aveva piena fiducia nel proprio team, ma aveva imparato con determinazione e duro lavoro che essere il capo non significava delegare, e si assumeva ogni responsabilità per ogni nuovo incarico.

    Una donna in piedi nell'angolo più lontano del caffè attirò la sua attenzione. O meglio, il modo esagerato con cui si sbracciava. Diede un'occhiata alle proprie spalle e realizzò che si stava rivolgendo a lui. Così si affrettò a raggiungerla attraverso i tavolini. Più si avvicinava e più aveva una visione migliore. Alta, slanciata, bionda e carina. Ma ciò che più lo colpì fu quella specie di ridicolo caffettano che aveva addosso. Rosa chiaro con una miriade di note musicali.

    Si fermò al tavolo e le tese la mano. «Piacere di conoscerla, Logan Holmes.»

    «Hope McWilliams.» Gli strinse appena la mano come se non volesse sporcarsi.

    Il che lo infastidì. Era qualche anno ormai che non lavorava fianco a fianco con gli operai e non sopportava che la gente dal cervello piccolo e gretto etichettasse i manovali come persone ignoranti e sporche. Davano un'occhiata agli stivali dalla punta di acciaio, ai pantaloni corti e al giubbotto di sicurezza e pensavano: Ecco un troglodita.

    Non gli piacque affatto il suo sguardo altero e sdegnoso, per cui lasciò cadere con sarcasmo: «Un modo un po' eccessivo di interpretare la musica, eh?».

    Il sorriso tirato scomparve mentre si sedeva facendogli segno di accomodarsi sulla sedia di fronte, un aggeggio di ferro battuto minuscolo che doveva essere scomodissimo. «Sono un'insegnante di musica. Una buona pubblicità, non crede?»

    Be', la principessa di ghiaccio possedeva il senso dello humour. Un dato positivo, doveva ammetterlo.

    «Dalla sua e-mail e dalla nostra conversazione al telefono mi è sembrato di capire che vuole ampliare lo spazio attuale di cui dispone per creare uno studio di registrazione.»

    Un sinuoso sopracciglio biondo si sollevò accentuando l'aria di superiorità. «Lei non perde tempo, a quanto pare.»

    «Sono qui per un preventivo.»

    «Potremmo prima gustarci un caffè?»

    Questa volta quando sorrise, Logan per poco non barcollò all'indietro. Il viso a cuore si era trasformato, perdendo ogni severità e diventando di una bellezza incredibile. Aveva cercato di ignorare quanto fosse bella perché quello era un altro pregiudizio nutrito da parecchi, cioè che gli operai non sapessero trattenersi dal fare apprezzamenti sessisti o fischiare dietro a una bella donna. Così aveva imparato a non mostrare alcuna reazione di fronte all'avvenenza femminile, ma solo gentilezza e buona educazione da quando aveva incominciato a lavorare come muratore a diciotto anni.

    Ma con Hope che lo fissava con quegli enormi occhi grigio verdi e le labbra piene appena socchiuse in un sorriso spontaneo, il suo proverbiale autocontrollo si sgretolò.

    «Un caffè andrebbe benissimo» rispose alzandosi in piedi per allontanarsi da quella bionda disarmante. «Vado a prenderlo.»

    Fece un paio di passi, realizzando che non le aveva chiesto cosa voleva. «Mi scusi, lei che desidera?»

    «Un chai decaffeinato normale.»

    Figurarsi, doveva aspettarselo! Lui odiava quelle misture orientali che non erano tè e nemmeno caffè. Una specie di tè nero con spezie e tanto latte.

    «L'aspetto fuori» disse la giovane donna, prendendo il portafoglio.

    «Offro io» la bloccò alzando una mano prima di allontanarsi verso il banco del bar.

    Suo padre, per quanto inaffidabile e praticamente assente, gli aveva però istillato dei valori cavallereschi. Trattare sempre una donna con gentilezza e rispetto e offrire da bere rientrava nel contesto.

    Peccato che il vecchio non li avesse messi in pratica una volta sposato.

    Il barista ci mise solo cinque minuti a preparare le sue ordinazioni, così lui si diresse verso la porta al di là della quale scorse Hope in attesa. Ebbe tempo per osservarla con calma e questa volta non si limitò al viso, rimanendo folgorato nell'accorgersi che il caffettano finiva a metà coscia, lasciando scoperte gambe lunghe e stupende, incredibilmente abbronzate tenendo conto della carnagione chiara. Lisce, levigate, con muscoli appena evidenziati e testimoni di forza, perfette per stringersi attorno alla sua vita...

    Porca miseria, che diavolo gli prendeva? Non posava mai gli occhi su delle possibili clienti, soprattutto su quelle in grado di farlo sentire inferiore con un semplice sguardo.

    Irritato con se stesso, aprì la porta con un fianco facendo attenzione a tenere in equilibrio i bicchieri da asporto.

    «Ecco qui» disse in tono forse un po' troppo scorbutico, tanto che si schiarì la voce quando lei si volse con uno di quei sorrisi che lo lasciavano senza parole.

    «Grazie.» Hope bevve un sorso, emettendo un piccolo gemito di apprezzamento che gli fece desiderare di spingerla contro il muro e provare a vedere se riusciva a farla mugolare di piacere.

    Invece ingollò il caffè bollente, ustionandosi la gola.

    «Lo studio non è lontano da qui. Possiamo andare a dare un'occhiata adesso?»

    Che cavolo! Allora perché aveva insistito che si incontrassero lì invece che direttamente sul posto?

    Un'altra cosa che odiava, oltre alle nuove bevande alternative e i caffè frequentati da snob, erano i giochetti.

    «Se si sta chiedendo come mai non l'ho fatta venire subito lì, è perché prima volevo conoscerla.» Rise quasi di se stessa. «Non nel senso letterale del termine ovviamente, ma spesso le raccomandazioni, i siti web possono ingannare e io volevo sincerarmi che lei fosse la persona giusta per questo lavoro.»

    Si trattenne dal farle notare che non avevano parlato molto ma il tono della voce si era fatto più basso, sexy, e per un attimo lui si domandò cosa volesse veramente.

    Del resto non era la prima volta che una donna cercava di sedurlo. La storia era incominciata quando aveva appena diciannove anni e aveva dovuto installare una cucina. La ragazza del padrone di casa lo aveva accolto con una vestaglia semi aperta che si era tolta del tutto non appena era entrato. Lui se l'era data a gambe.

    Era ormai un carpentiere qualificato quando aveva avuto l'incarico di costruire una pergola per una ricca coppia nell'elegante quartiere di South Yarra, poco lontano da Melbourne. Lui era sulla scala quando la moglie era uscita fuori dalla piscina nuda e l'aveva invitato a fare un bagno. Si era comportato con rispetto, fingendo indifferenza, ma quella pergola era stata uno dei lavori più duri e faticosi che avesse mai fatto.

    Comunque si era sempre sforzato di non dimenticare il consiglio del suo capo. Non pasticciare dove hai già passato la colla. In altre parole: Non mettere a rischio ciò che hai già conquistato.

    Allora come mai Hope McWilliams riusciva a fargli dimenticare i buoni propositi di una vita?

    «Sarebbe stato più semplice incontrarci a casa sua» le fece notare, incamminandosi al suo fianco. «Comunque, cosa vuole esattamente?»

    Lei si volse colta alla sprovvista, l'espressione turbata, e Logan trattenne a stento una risatina. Non era sua intenzione flirtare, ma doveva riprendere il controllo della situazione; così aveva abbassato la voce, rendendola carezzevole. Quindi i casi erano due: o lei era intelligente e aveva capito, oppure sentiva anche lei la corrente di attrazione sessuale che era scoccata tra loro.

    «Glielo mostrerò quando saremo sul posto» gli rispose alzando il mento con aria compunta.

    «Ci scommetto» borbottò lui tra i denti, divertito.

    Erano rare le donne che riuscivano a stuzzicarlo, anche perché si spostava di continuo, restando al massimo qualche settimana in una città. E poi non aveva mai voluto che una donna lo aspettasse come aveva fatto sua madre con suo padre.

    «Non le piace Melbourne?» Era tornata fredda e distaccata mentre gli indicava i muri delle case coperti di graffiti. «Ci sono tanti tesori nascosti come questi.»

    Personalmente lui non aveva una gran predilezione per quelle viuzze che attraversavano la città. Qualche intelligentone aveva pensato di dipingere orrendi murales e aprire buchi di caffè e negozietti con una marea di vestiti strampalati appesi fuori.

    «È un casino» puntualizzò bevendo un altro sorso di caffè e ignorando la sua occhiata di disapprovazione.

    Lei non parlò più da quel momento e Logan riempì il silenzio fischiettando in sordina la canzone della propria squadra di football. In effetti c'erano due cose che amava di quella città. Gli Aussi Rules e il North Melbourne Football Club. Assisteva a tutte le partite che poteva perché quando vedeva gli atleti che correvano dietro alla palla ovale ricordava gli unici momenti che aveva condiviso col padre.

    Che sciocco! Ma non era capace di odiare e preferiva rammentare i momenti belli piuttosto che quelli brutti. Mangiare torte e bere soda gongolando per un bel punto conquistato sul campo piuttosto che restare seduto tristemente davanti alla finestra della cucina nella loro angusta casa di due camere ad aspettare che il padre tornasse. Cosa che raramente Stephen Holmes aveva fatto.

    «Lo studio è proprio dietro l'angolo.»

    Smise di fischiare mentre superavano l'ultimo isolato, pentendosi di aver pensato al padre. Lo rendeva irritabile e invece doveva concentrarsi per dare alla principessa un preventivo, prima di recarsi a Williamstown e supervisionare un altro progetto.

    «Eccoci arrivati.» Hope tese le braccia allargandole e lui si trovò a fissare per un istante uno spicchio di scollatura, per spostare subito dopo lo sguardo verso una vetrina cosparsa di cimeli musicali e sovrastata da un'insegna luminosa: Hope and Harmony.

    «Ne deduco che armonia si riferisca alla musica e non a una sorella gemella, esatto?»

    «Sono figlia unica» sbottò lei e fu impossibile non cogliere una punta di tristezza nella risposta.

    Ahi, ahi, ho toccato un nervo scoperto.

    «Si tratta di una proprietà eccellente» le fece notare indicando il parco sul lato opposto. «In centro città ma lontano dal caos e dal cemento.»

    «Mi piace.» Hope scrollò le spalle con indifferenza, come se fosse normale che una giovane donna di poco più di vent'anni potesse permettersi di insegnare musica in un posto costoso come quello. Il fatto poi che desiderasse ristrutturarlo significava che era la padrona. Il che non era certo di poco conto.

    Okay, la ragazza t'intriga, quindi è meglio che ti focalizzi sul lavoro, amico.

    «Il preventivo sarà più aderente alla realtà e sicuro se mi fa dare un'occhiata all'interno.»

    Si aspettava una battuta risentita, così che la sua risatina disarmante lo colse impreparato. «La parte che voglio ristrutturare è a nord.»

    Aprì con la chiave, azzerò il codice di allarme e gli fece cenno di entrare dopo aver chiuso la porta alle loro spalle. «Mi segua.»

    Mentre attraversavano la prima stanza, lui non poté fare altro che guardare. Dal negozio vero e proprio si passava in una sala esagonale in cui facevano bella mostra un piano, un violoncello e una batteria. I pavimenti di legno brillavano, le pareti erano coperte da fogli di musica e la luce si spandeva da un bellissimo lampadario. La prima impressione fu di pace, sensazione che ultimamente non provava in molti luoghi.

    «Insegna questi strumenti?»

    «No, mi piacciono come ornamento» Hope alzò gli occhi al cielo e lui scoppiò in una risata.

    Sarcasmo... Mi piace.

    Lei storse il naso. «Scusi. È che mi sono stancata di insegnare e vorrei fare qualche altra cosa. Ecco la ragione della ristrutturazione.» Spalancò una doppia porta di legno. «Ho bisogno che lei agisca qua dentro» dichiarò accendendo la luce.

    Logan rimase senza fiato. La sala era incredibile. Pavimenti in arenaria, tre pareti in cemento grezzo e una di mattoni disseminate da contrafforti medievali e un soffitto a cupola di vetro con una marea di crepe.

    «Voglio che questa stanza sia convertita in uno studio di registrazione.» Gli si mise di fronte, una ruga di preoccupazione tra le sopracciglia arcuate. «È fattibile?»

    «Tutto è fattibile.»

    Ed ecco, inconfondibile, un lampo di eccitazione negli occhi grigioverdi.

    Quindi prima non l'aveva immaginato.

    Era chiaro che le piaceva.

    Considerando che lui non faceva sesso da tre settimane, smuovere un po' la principessa sino a farla

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