Un incantevole inganno: Harmony Collezione
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About this ebook
Sharon Kendrick
Autrice inglese, ama le giornate simili ai romanzi che scrive, cioè ricche di colpi di scena.
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Book preview
Un incantevole inganno - Sharon Kendrick
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Tainted Beauty
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Sharon Kendrick
Traduzione di Velia De Magistris
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-801-9
1
Qualcuno la stava osservando.
Mentre un brivido freddo le correva lungo la schiena, Lily sollevò lo sguardo dai biscotti che stava impastando. Socchiuse gli occhi per proteggerli dalla luce brillante dell’esterno e scorse un uomo alto e massiccio in fondo al giardino.
Era immobile come una statua, i folti capelli neri mossi dalla stessa leggera brezza che entrava anche in cucina dalla porta aperta. Dava le spalle a un cespuglio di rose... una macchia scura che spiccava contro i fiori colorati. Lily sentì il cuore martellarle nel petto quando lo sconosciuto all’improvviso si mosse, incamminandosi verso la casa.
Strano, ragionò, era allarmata da quell’intrusione nella sua proprietà, ma non spaventata. Si chiese perché non avesse urlato per richiamare l’attenzione dei vicini, o non si fosse affrettata a telefonare alla polizia per denunciare la presenza di un estraneo nel suo giardino.
Forse perché quell’inaspettato evento la costringeva a deviare la sua attenzione dagli inquietanti pensieri che continuavano a tormentarla. L’uomo infatti sembrava esigere considerazione. Avanzava con sicurezza, come se avesse ogni diritto di essere lì.
In preda a una bizzarra sensazione – un misto di piacere e colpa – ammirò le lunghe gambe fasciate in un paio di pantaloni grigi di sartoria e la camicia bianca che delineava la perfezione del torace.
Sarebbe potuta restare a guardarlo per tutto il giorno.
L’uomo si avvicinava velocemente, permettendole di notare la sconvolgente sensualità del suo viso. Occhi scuri illuminati da una luce pericolosa, mascelle ben definite ombreggiate da una barba appena accennata. Labbra piene, che immaginò immediatamente di baciare.
Il cuore ormai le galoppava nel petto, e quando lo sconosciuto si fermò sulla soglia della porta, un capogiro la colse. Da quanto tempo non le capitava di provare un desiderio così repentino, si chiese Lily. Da molto, considerato che aveva dimenticato quanto potente fosse quell’emozione.
«P... posso aiutarla?» balbettò. Poi, rendendosi conto della passività che stava dimostrando, gli scoccò un’occhiata truce. «Mi ha spaventata a morte, piombando così a casa mia!»
«Non direi proprio che sono piombato nella sua casa» replicò l’uomo, negli occhi una luce di scherno, quasi avesse capito quale effetto aveva avuto su di lei. «Comunque, al momento mi sembra perfettamente in grado di tenere testa a qualsiasi intruso.»
Aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, così Lily ricordò che impugnava ancora il mattarello, stringendolo fra le dita quasi fosse l’ultimo ritrovato degli strumenti per la difesa personale. S’inumidì le labbra improvvisamente aride con la punta della lingua. «Stavo solo preparando dei dolci» protestò.
«Davvero?» domandò lui, osservando con fare divertito la torta alla frutta e il contenitore dello zucchero a velo sul tavolo al centro della cucina. D’un tratto, i suoi sensi non furono più soltanto sollecitati dalla discreta bellezza della donna. Il profumo di torte fatte in casa che aleggiava nell’aria lo indusse a pensare a un mondo del quale aveva avuto solo qualche fugace assaggio. Un mondo fatto di calore e di conforto domestico, una visione nebulosa che gli provocò una fitta al cuore. Ma, con il suo abituale cinismo, spazzò via quei ricordi e focalizzò la sua attenzione sulla pasticciera.
Era una donna all’antica. Quel tipo di donna che aveva creduto non esistesse più tranne che nei vecchi telefilm che ancora a volte trasmettevano.
Indossava un grembiule, e davvero non gli era mai capitato di trovarsi faccia a faccia con una donna in grembiule, eccezion fatta per il costume da sexy cameriera francese che la sua ultima amante aveva sfoggiato in camera da letto quando aveva sospettato che lui si stesse stancando della loro relazione, il che poi era la verità.
La sua amante aveva scelto quell’abbigliamento per esaltare la sua nudità, ora invece stava osservando una variazione sul tema del tutto innocente. Bianco, decorato da civettuole balze, il grembiule proteggeva un castigato abitino di cotone ed era legato tanto stretto da enfatizzare la vita sottile della sua proprietaria.
Fissare qualcuno era sintomo di cattiva educazione, ma quando un uomo si ritrovava davanti a una donna di rara bellezza, non sarebbe stato forse un insulto ignorarla?, rifletté. Così andò avanti con il suo scrutinio, notando i capelli del colore del grano maturo costretti in uno chignon trattenuto da una bizzarra collezione di fermagli. Il collo era così sottile che sembrava impossibile riuscisse a reggere il peso di una chioma tanto folta.
Si chiese se lei sapesse di essere il simbolo perfetto della vita domestica, e si chiese perché per lui quel simbolo fosse anche così seducente.
«Non ha intenzione di invitarmi a entrare?» s’informò.
La pretenziosa certezza sottesa a quella domanda indusse Lily a passare all’azione. Perché mai se ne restava ferma, con il fiato sospeso, mentre il tizio la squadrava quasi lei fosse un’auto che stava valutando di acquistare? Gli uomini insistevano nei loro atteggiamenti arroganti perché erano le donne come lei a permetterglielo, ragionò. Il suo passato non le aveva insegnato almeno questa lezione? «No, niente affatto. Per quello che ne so, lei potrebbe essere un assassino.»
«Le assicuro che un omicidio è l’ultima cosa che ho in mente.»
I loro sguardi s’incrociarono, e Lily di nuovo fu colta da un capogiro.
«Inoltre, lei non sembra per nulla intimorita.»
Lily deglutì per forzare quel nodo che le serrava la gola e che non voleva saperne di allentarsi. Vero, non era intimorita, non nel senso convenzionale della parola almeno. Ma c’era qualcosa in quel tizio che le faceva battere il cuore a mille, una reazione non diversa da quella indotta dalla paura.
«Sa, sarebbe normale presentarsi quando si fa irruzione in una cucina altrui» affermò Lily.
A stento lui represse un sorriso perché, anche quando le donne non lo riconoscevano, adottavano istintivamente un atteggiamento remissivo in sua presenza. Non quella, apparentemente.
Affascinato da quell’elemento di diversità, chinò appena la testa.
«Mi chiamo Ciro D’Angelo.»
«Un nome insolito» commentò lei.
«Perché sono un uomo insolito.»
«Italiano?» chiese Lily, cercando di sorvolare su quell’ennesima manifestazione di presunzione.
«Napoletano, per la precisione.» Ciro scrollò le spalle. «È diverso.»
«In che senso?»
«Sarebbe necessario troppo tempo per spiegarlo, dolcezza.»
Il modo in cui aveva pronunciato quella parola in italiano, dolcezza, per quanto non avesse idea di cosa significasse, le arrivò dritto al cuore. Avrebbe voluto che le spiegasse perché i napoletani erano diversi, ma in qualche modo percepiva che si sarebbe avventurata su un terreno troppo pericoloso. Dunque guardò ostentatamente l’orologio appeso sulla parete accanto al fornello. «Tempo che temo di non avere» dichiarò Lily con freddezza. «Ma, solo per curiosità, cosa ci fa qui, signor D’Angelo? Questa è una proprietà privata, sa.»
Ciro annuì impercettibilmente, compiaciuto da quella domanda. Significava che la notizia della sua recente acquisizione non era ancora stata resa pubblica, il che era positivo. Detestava la pubblicità, in particolare detestava che tutti venissero a sapere degli affari che lui concludeva ancora prima che l’inchiostro sull’atto di vendita si fosse asciugato. Nonostante la sua leggendaria scaltrezza nel campo degli affari, era ancora abbastanza superstizioso da preoccuparsi degli effetti negativi dell’invidia.
Ma quella domanda lo spinse anche a interrogarsi sull’identità di chi gliela aveva posta. La casa gli era stata venduta da una donna sulla cinquantina. Frugò nella memoria alla ricerca del nome. Scott, sì, Suzy Scott, vestiti inappropriati ai suoi anni, viso sfacciatamente truccato, e un modo di guardare un uomo che poteva essere definito solo come famelico.
Una ruga gli solcò la fronte. Quella dea dei fornelli era forse la figlia di Suzy Scott?, si chiese, cercando di stabilirne l’età. Ventun anni? Ventidue? Con quell’incarnato così chiaro e perfetto era difficile formulare un’ipotesi precisa. Tuttavia, se fosse stata la figlia, allora avrebbe saputo che la casa adesso apparteneva a qualcun altro. A lui, per la precisione.
La giovane lo stava ancora guardando con aria interrogativa. Un ricciolo biondo era sfuggito allo chignon per accarezzarle una gota. Forse sarebbe dovuto andare via per tornare in un momento più appropriato, ragionò, ma in quello stesso istante capì di non volere andare proprio da nessuna parte. Era come se fosse capitato per caso in un mondo accogliente così diverso dal suo, ed era curioso di saperne di più, magari di scoprire le inevitabili pecche nascoste da quella facciata di perfezione, in modo da potersi allontanare poi con il suo cinismo ancora intatto.
«Non avevo previsto di trovare qualcuno in casa» affermò scrollando le ampie spalle.
«Significa che spera sempre che le case siano vuote?» Certa che l’impasto per la torta si sarebbe rovinato se lo avesse trascurato oltre, Lily assestò al panetto qualche colpo di mattarello per stenderlo, poi lo sistemò nello stampo. «Dunque, visto che non è un assassino, allora è un topo di appartamento?»
«Forse ho l’aspetto di un ladro? Di... Un topo di appartamento?»
Intenta a pizzicare i bordi della pasta frolla, Lily sollevò appena lo sguardo e decise che assolutamente non lo aveva. Dubitava che un qualsiasi malvivente avrebbe esibito tanta sicurezza se colto con le mani nel sacco. «No, certamente gli abiti che indossa negano l’ipotesi» disse. «Immagino che si rovinerebbero se tentasse di arrampicarsi su un balcone. Ma, solo nel caso in cui l’idea le avesse sfiorato la mente, le risparmio tempo e fatica, perché non troverà gioielli o preziosi in questa casa.»
Quasi con stizza, cominciò a spennellare di uovo battuto la superficie della crostata, rendendosi conto che solo un’estrema vulnerabilità poteva averla spinta a confidarsi con un estraneo. Ma era così che si sentiva di recente, estremamente vulnerabile, e le azioni della sua matrigna di certo non la aiutavano. Oltre al fatto che non erano mai andate d’accordo, ora Suzy aveva spostato tutte le cose di valore nel suo appartamento di Londra. Naturalmente era un suo diritto farlo, concesse, perché Suzy poteva fare tutto ciò che voleva visto che aveva ereditato l’intero patrimonio del suo defunto marito, incluso quella bellissima casa di campagna, da sempre chiamata The Grange.
Un’ormai familiare dolore misto a una sensazione di ingiustizia la colpì con la forza di uno schiaffo in pieno viso. La morte di suo padre avvenuta appena nove mesi dopo il secondo matrimonio era stata improvvisa e inaspettata, e aveva lasciato lei in preda a mille insicurezze. Annebbiata dal dolore, impegnata nello straziante compito di consolare il fratello minore, si era detta e ripetuta che il padre aveva sicuramente avuto l’intenzione di cambiare il testamento, perché nessun padre avrebbe privato i figli di un sostegno economico, giusto? Ma in realtà non era rimasto in vita abbastanza a lungo da farlo, e tutta la sua fortuna era andata a quella moglie molto più giovane di lui che aveva accettato la prematura vedovanza con sconcertante disinvoltura.
Persino la collana di perle che era appartenuta alla sua adorata madre adesso era a casa di Suzy, e purtroppo temeva che lì sarebbe rimasta.
Forse per questo la matrigna si era affrettata a portare via ogni oggetto prezioso, nel timore che lei potesse sottrarne qualcuno? Perché, onestamente, aveva davvero bisogno di qualche entrata economica più consistente in modo da poter offrire al fratello la sicurezza finanziaria che meritava.
Ciro percepì un tremito nella voce della donna e si chiese cosa poteva averlo causato. Poi però lei si chinò per mettere la torta nel forno, e l’attenzione di Ciro fu attratta dalla curva seducente delle sue natiche, fasciate dal corto vestitino di cotone che indossava