L uomo del mio destino: Harmony Collezione
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About this ebook
Bella Haverton, giovane ereditiera, ha scoperto con rabbia che il suo defunto padre ha lasciato tutto nelle mani di Edoardo Silveri: la tenuta di famiglia, la gestione del suo patrimonio e, soprattutto, l'ultima parola su chi Bella potrà sposare.
... e la passione!
Determinata a rompere queste inaccettabili catene, Bella decide di incontrare Edoardo, ma resta di stucco nello scoprire quanto sia diverso dal ragazzo che ricordava. Edoardo ora è un uomo deciso e incredibilmente affascinante, cosa che genera in lei risposte che non era preparata a fronteggiare.
Melanie Milburne
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
L uomo del mio destino - Melanie Milburne
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Uncovering the Silveri Secret
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2013 Melanie Milburne
Traduzione di Anna Vassalli
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A..
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-234-4
1
Era la prima volta che Bella tornava a casa dopo il funerale. In febbraio Haverton Manor era un luogo da favola. La recente nevicata imbiancava gli alberi lungo il viale che conduceva all’antica dimora georgiana. I campi adiacenti erano ricoperti da una coltre bianca e il lago riluceva in lontananza come una lastra di cristallo. Bloccò la macchina di fronte all’ingresso. Fergus, il cane lupo irlandese del padre scomparso, si alzò pigramente dal luogo al sole dove era accucciato e le andò incontro scodinzolando.
«Ciao, Fergus» lo salutò Bella grattandogli delicatamente le orecchie. «Cosa fai qui tutto solo? Dov’è Edoardo?»
«Sono qui.»
Al suono di quella voce ricca e vellutata, Bella si voltò, il cuore che aveva un ridicolo sussulto mentre osservava la figura alta e imponente di Edoardo Silveri. Erano un paio d’anni che non si trovava faccia a faccia con lui, ma la intrigava come sempre.
Non era bello nel senso classico della parola. Aveva troppi tratti irregolari. Il naso era leggermente schiacciato per un pugno e una cicatrice solcava il sopracciglio, entrambi segni della sua tribolata adolescenza.
Portava stivali da lavoro, jeans sbiaditi e un maglione nero con le maniche rimboccate che lasciava scoperte le braccia muscolose. I capelli neri erano mossi e una traccia di barba ombreggiava la mascella, conferendogli un aspetto virile che, per qualche strana ragione, le faceva tremare le ginocchia. Bella trasse un profondo respiro mentre incontrava il suo sguardo.
«Sempre al lavoro?» domandò adottando il tono aristocratico che normalmente usava con lui.
«Sempre.»
Bella non riuscì a impedire allo sguardo di soffermarsi sulla sua bocca. Aveva una linea dura e determinata; le rughe profonde a entrambi i lati indicavano l’abitudine a celare le emozioni, piuttosto che a manifestarle. Una volta si era avvicinata fin troppo a quelle labbra scolpite. Solo una volta, ma era un ricordo che aveva cercato disperatamente di cancellare. Eppure ancora adesso ricordava quel sapore di lui che le aveva fatto girare la testa: sale, menta e sensualità pura. Era stata baciata moltissime volte, troppe per ricordarsi di ognuna, ma ricordava il bacio di Edoardo nei minimi dettagli.
Anche lui rammentava come le loro bocche si erano incollate in un bacio appassionato che li aveva lasciati entrambi senza fiato? Come le loro lingue avevano duellato e danzato?
Bella distolse lo sguardo e osservò le sue mani sporche di terra.
«Che fine ha fatto il giardiniere?» domandò.
«Un paio di settimane fa si è fratturato un braccio» le rispose. «Ti ho informato nella mia mail.»
Lei aggrottò la fronte. «Dici? Non l’ho ricevuta. Sei sicuro di avermela inviata?»
Edoardo curvò le labbra in una smorfia che somigliava a un sorriso sarcastico. «Sì, Bella, ne sono sicuro» affermò. «Forse è andata persa tra tutti i messaggi del tuo amante più recente. Chi è questa settimana? Il tipo con il ristorante, o il figlio del banchiere?»
«Nessuno dei due» ribatté lei alzando il mento. «Si chiama Julian Bellamy e studia per diventare ministro.»
«Un politico?»
Lo fissò sdegnosa. «Un ministro del culto.»
Lui gettò indietro il capo e rise. Non era la reazione che si era aspettata e la indispettiva che trovasse la notizia così divertente. Non era abituata a uno sfoggio di emozioni da parte sua, tantomeno di divertimento.
Sorrideva raramente e, salvo quell’incurvarsi sarcastico delle labbra, non ricordava l’ultima volta che l’aveva sentito ridere di cuore.
Trovò la sua reazione sopra le righe e del tutto fuori luogo. Come si permetteva di ridere dell’uomo che lei aveva deciso di sposare?
Julian era tutto ciò che Edoardo non era. Era colto e sofisticato, educato e sensibile e vedeva il lato buono delle persone, non il peggiore.
Ed era innamorato di lei, mentre Edoardo la odiava.
«Cosa c’è di così divertente?» gli chiese con cipiglio irritato.
Lui si asciugò gli occhi col dorso della mano, sempre ridacchiando.
«Non riesco proprio a vederti» disse.
Lo fissò a occhi socchiusi. «A vedermi... come?»
«A offrire tè e biscottini mentre si studia la Bibbia» continuò. «Non sei il tipo di moglie per un ministro del culto.»
«Cosa vorresti dire?»
Lui fece scorrere lo sguardo dagli stivali firmati alla gonna e alla camicetta altrettanto firmate, prima di indugiare sul seno, per poi incontrare i suoi occhi con uno sguardo insolente.
«Le tue gonne sono troppo corte e la tua morale troppo bassa.»
Bella avrebbe voluto schiaffeggiarlo. Serrò le mani a pugno per impedirselo. Non aveva intenzione di toccarlo se poteva farne a meno. Il corpo aveva l’abitudine di fare cose che non avrebbe dovuto, quando era troppo vicino al suo. Si conficcò le unghie nei palmi cercando di tenere a freno la collera. «Proprio tu parli di morale» gli buttò in faccia. «Io, se non altro, ho la fedina penale immacolata.»
Lo sguardo di Edoardo s’inasprì. «Vuoi giocare sporco con me, principessa?» domandò.
Questa volta Bella avvertì una strana sensazione alla base della spina dorsale. Sapeva che era stato un colpo basso fare riferimento al suo passato discutibile, ma Edoardo riusciva sempre a far affiorare in lei qualcosa di cupo, di primordiale e di incontrollabile. Non sapeva di cosa si trattasse, ma la irritava come nessun altro.
Era sempre stato così.
Pareva che lui si divertisse a far emergere il suo lato peggiore. Non importava quanto lei si ripromettesse di tenere a bada la collera, non importava quanto si ripromettesse di comportarsi freddamente e con alterigia. Lui riusciva sempre a irritarla.
Da quando aveva sedici anni, aveva fatto del proprio meglio per evitare il protetto di suo padre. Per mesi, se non anni, aveva mantenuto una certa distanza. Ignorava la sua presenza quando tornava a casa per una breve visita al padre. Edoardo faceva emergere qualcosa in lei che la disturbava. In sua compagnia non si sentiva né rilassata, né nel pieno controllo.
Pensava a cose a cui non avrebbe dovuto pensare.
Per esempio a come fosse sensuale la curva delle sue labbra, a come la mascella avesse sempre bisogno di essere rasata, a come i capelli sembrassero essere stati sistemati con le dita. A come sarebbe stato nudo, così abbronzato, muscoloso e in piena forma.
A come la guardasse sempre con un’espressione imperscrutabile, come se vedesse al di là degli abiti firmati, il suo corpo fremente...
«Come mai sei qui?» le domandò.
Bella gli lanciò un’occhiata di sfida. «Mi stai cacciando perché ho superato i confini?»
Un lampo minaccioso gli attraversò lo sguardo. «Questa non è più casa tua.»
Lo sguardo di Bella si fece tagliente. «Sì, certo, hai fatto in modo che fosse così.»
«Non ho niente a che vedere con la decisione di tuo padre di lasciarmi Haverton Manor. Posso solo presumere che abbia pensato che tu non fossi interessata alla proprietà. Non venivi quasi mai a trovarlo, soprattutto verso la fine.»
Il risentimento ribollì in lei... risentimento e rimorso. Lo odiò per averle ricordato di essere stata lontana quando suo padre aveva più bisogno di lei. L’incombere della morte l’aveva, in un certo qual modo, spaventata. Il pensiero di essere lasciata sola al mondo era stato terrificante. L’abbandono di sua madre, quando aveva appena sei anni, l’aveva resa insicura. Le persone che l’amavano la lasciavano sempre. Così si era tuffata nella vita sociale di Londra invece di affrontare la realtà. Aveva addotto come scusa di dover studiare, ma la verità era che non era mai riuscita a stabilire un vero contatto con il padre.
Godfrey era diventato padre avanti negli anni e, dopo che la moglie se n’era andata, non era riuscito a venire a patti con il ruolo di genitore single. Di conseguenza, il loro rapporto non era mai stato stretto, e questo l’aveva resa ingiustamente gelosa del rapporto tra il padre ed Edoardo. Sospettava che Godfrey lo vedesse come un surrogato del figlio che aveva sempre desiderato avere. E questo la faceva sentire inadeguata, una sensazione che si era rafforzata nel momento in cui aveva scoperto le ultime volontà di suo padre.
«Sono sicura che tu abbia approfittato a tuo vantaggio della mia assenza» disse rivolgendogli un’occhiata astiosa. «Scommetto che hai portato a buon fine ogni occasione che ti si è presentata, dipingendomi come una sciocca frivola, senza il benché minimo senso di responsabilità.»
«Tuo padre non aveva bisogno che gli facessi presente quanto tu sia irresponsabile» ribatté con quell’irritante curva sarcastica delle labbra. «Hai fatto tutto da sola. I tuoi peccatucci sono sbattuti sui giornali quasi ogni settimana.»
Bella ribollì di collera, anche se in questo c’era una parte di verità. La stampa l’aveva sempre assediata, descrivendola come l’ereditiera viziata, con più denaro che buon senso. Bastava che si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato, perché le si cucisse addosso una storia.
Ma presto la situazione sarebbe cambiata.
Una volta sposata con Julian, la stampa l’avrebbe lasciata in pace. La sua reputazione sarebbe stata senza macchia.
«Mi farebbe piacere fermarmi per qualche giorno» dichiarò. «Mi auguro che per te non sia un problema.»
Quegli intriganti occhi brillarono pericolosamente. «Me lo stai chiedendo o comunicando?»
Bella esibì un’espressione implorante, l’odio che provava per lui le irrigidiva la spina dorsale. Era umiliante dover chiedere il permesso per stare nella residenza della propria infanzia. Era qualcosa che non aveva previsto. «Ti prego, Edoardo, posso restare per qualche giorno? Non ti darò fastidio, te lo prometto.»
«La stampa sa dove sei?» le domandò.
«Non lo sa nessuno» rispose. «Non voglio che mi trovino. Ecco perché sono venuta qui. Nessuno si sognerebbe di pensare che sia qui con te.»
La sua mascella era rigida, solo un nervo sulla destra pulsava come un piccolo cuore che batte sotto la pelle.
«Avrei tutte le intenzioni di mandarti via.»
Bella sporse il labbro inferiore.
«Si tratta della neve» borbottò. «E se slitto e mi capita qualcosa? Saresti responsabile della mia morte.»
«Non puoi aspettarti, venendo qui, di trovare il tappeto rosso srotolato davanti ai piedi» ribatté lui con tono di disapprovazione. «Avresti almeno potuto telefonare e chiedermi il permesso. Perché non l’hai fatto?»
«Perché mi avresti detto di no» si giustificò Bella. «Che problema c’è se mi fermo qualche giorno? Non ti darò fastidio.»
Il nervo accelerò un poco la pulsazione. «Non voglio dei ficcanaso intorno» spiegò. «Non appena i giornalisti si