Un milionario in fuga: Harmony Collezione
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Nelle oscure foreste dell'Ungheria Lauren ha modo di scoprire ben più di un milionario ribelle. Il fascino di Dominik, infatti, risveglia in lei un desiderio troppo a lungo sopito. Ma, una volta scambiate le promesse nuziali, sarà in grado l'innocente Lauren di resistere all'incontrollabile attrazione che li consuma?
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Un milionario in fuga - Caitlin Crews
successivo.
1
Lauren Isadora Clarke era nata e cresciuta a Londra. Non era affascinata dalla bucolica campagna inglese, con tutto quel verde e quella monotonia. Preferiva la città, con la sua varietà di mezzi di trasporto e la possibilità di raggiungere velocemente ogni punto della metropoli.
Amava essere puntuale, senza però la necessità di dover indossare delle scarpe comode. Non era di certo una sportiva, che se ne andava in giro con guance arrossate e una tuta. Non trovava per nulla divertente scalare colline, coperta dal fango causato dalla pioggia che rendeva le alture dell'Inghilterra le più verdi in assoluto. Camminare a piedi per miglia e miglia solo per assaporare l'insolito piacere di una boccata d'aria fresca non l'aveva mai attratta e mai l'avrebbe fatto.
A Lauren piacevano il cemento, i mattoni, la metropolitana. Il solo pensare a oscure e profonde foreste le faceva venire l'orticaria.
Eppure, eccola lì a marciare lungo quella che l'oste del posto aveva definito strada. Era in realtà un semplice sentiero, nel mezzo delle folte foreste dell'Ungheria. Lauren era di umore nero quel giorno. Innanzitutto, le sue scarpe non erano comode. Quel tipo di calzature non le era mai piaciuto.
La sua vita stessa era già fin troppo ragionevole. Amministrava con buonsenso le proprie finanze, pagava alla scadenza le bollette e dedicava anima e corpo ad assolvere i propri doveri di assistente personale del ricchissimo e potente presidente e amministratore delle Industrie Combe, con un livello di eccellenza che le piaceva pensare la rendesse indispensabile.
Le sue scarpe non erano confortevoli e l'aiutavano a ricordarsi di essere una donna, esigenza necessaria quando il suo capo la trattava quasi come se fosse un elettrodomestico che funzionava in piena autonomia, senza alcuna supervisione o supporto.
«Mia madre ha mandato in orfanotrofio il suo bambino prima di sposare mio padre» le aveva detto Matteo Combe, il suo capo, un giorno di settimane prima con il suo solito tono solenne.
Lauren, grande appassionata di gossip, sapeva tutto sui genitori del suo capo, visto che aveva trascorso la maggior parte della propria carriera a lavorare con Matteo. La bellissima e amata Alexandrina San Giacomo, aristocratica e viziata, aveva dimenticato il buonsenso e il proprio nobile retaggio veneziano sposando il ricco ma ruspante Eddie Combe, i cui antenati si erano fatti strada tra i mulini del Nord dell'Inghilterra, spesso venendo alle mani. La loro storia d'amore aveva dato scandalo, il loro matrimonio turbolento era stato oggetto di infinite speculazioni e la loro morte a poche settimane di distanza aveva generato commozione. Tuttavia, nessuno avrebbe mai immaginato la presenza di un figlio illegittimo.
Non c'era voluto molto per capire che non appena la notizia fosse trapelata, cosa che sarebbe successa di sicuro, non sarebbero state le malelingue ciò di cui preoccuparsi, bensì l'attacco dei media senza esclusione di colpi.
«Voglio che tu lo trovi» le aveva ordinato Matteo. «Non posso immaginare quale sia la sua situazione, ma ho bisogno che sia pronto ad affrontare i media e, se possibile, sia compiacente.»
«Il suo fratello perduto, che non ha mai conosciuto. Che potrebbe, per quanto ne sappiamo, odiare lei e sua madre e tutto ciò che riguarda i San Giacomo. Crede quindi che deciderà di stare dalla sua parte?»
«Ho fiducia in te.»
Lauren aveva giustificato quella pazzia all'istante, visto il peso che doveva sopportare quell'uomo. I suoi genitori erano morti e sua sorella era scappata di casa, rimanendo poi incinta. Matteo aveva quindi fatto a pugni con il padre del bambino. Una reazione perfettamente comprensibile, se non fosse successa proprio al funerale del padre di Matteo. Il pugno che aveva sferrato al principe Ares di Atilia era stato immortalato in foto e video dai paparazzi e il consiglio di amministrazione della società aveva colto l'opportunità per muoversi contro di lui. Matteo era stato obbligato a sottoporsi a lunghe sedute di psicoterapia e se il rapporto della specialista fosse stato negativo, il consiglio sarebbe riuscito a rimuoverlo. Per tutte queste ragioni lei l'aveva giustificato.
«Quando mai non l'hai giustificato?» le aveva chiesto la sua coinquilina, Mary, senza alzare gli occhi dal proprio cellulare, la mattina in cui Lauren era partita da Londra.
«È un uomo importante e molto occupato, Mary.»
«Come non manchi mai di ricordarmi.»
L'unica ragione per cui non aveva risposto, disse a se stessa Lauren mentre camminava sul sentiero fangoso diretta chissà dove, era perché era molto difficile trovare delle brave coinquiline. L'ossessione di Mary di tenersi in contatto con i suoi trentamila amici sui social media da ogni angolo del globo faceva sì che trascorresse la maggior parte del tempo nella propria camera a occuparsi di filtri per foto e messaggi vocali. Quindi Lauren aveva a sua disposizione l'intero appartamento, nelle rare occasioni in cui poteva goderselo.
Eppure lei aveva ragione, non è vero?, le disse una vocina nella testa, che zittì subito. Era lì per realizzare i desideri di Matteo, non per dubitare di lui.
Quel giorno il suo paio di scarpe dal tacco alto stava rendendo quel trekking non programmato tra le foreste ungheresi ancora più spiacevole di quanto avesse immaginato, nonostante possedesse una fervida immaginazione. Si guardò i piedi, si strinse forte lo scialle rosso attorno alle spalle poi pensò a un paio di epiteti scortesi riguardo al proprio capo che non avrebbe mai pronunciato ad alta voce.
Non era stato facile trovare il vero Dominik James. Le uniche informazioni in suo possesso erano alcuni dettagli che la madre di Matteo aveva scritto nel testamento.
Lauren aveva iniziato con l'avvocato che aveva redatto il testamento di Alexandrina, un astuto vecchio che sapeva gestire gli affari degli aristocratici meglio di come rispondeva alle domande dei dipendenti. L'aveva scrutata da dietro un paio di occhiali probabilmente inutili e le aveva assicurato che qualora ci fossero state informazioni più pertinenti, le avrebbe incluse.
Lei ne aveva dubitato.
Mentre Matteo era alle prese con il futuro precario delle Industrie Combe, Lauren si era lanciata in una ricerca frenetica. Le informazioni in suo possesso erano davvero poche: Alexandrina, erede dell'ingente patrimonio dei San Giacomo, era rimasta incinta quando aveva quindici anni di un ragazzo decisamente inadatto, che avrebbe fatto meglio a non conoscere. La famiglia aveva scoperto la gravidanza quando lei non era più riuscita a nasconderla e l'aveva fatta trasferire dalla scuola cattolica che frequentava a una più severa. Il bambino era nato nell'estate del sedicesimo anno di Alexandrina e affidato alla Chiesa. La ragazza era rientrata in società come se non fosse successo nulla. Non aveva più nominato il primo figlio, fino a quando aveva deciso di assegnargli un lascito nel proprio testamento.
Al mio primogenito, Dominik James, sottrattomi quando ero io stessa poco più di una bambina, lascio un terzo del mio patrimonio e dei miei beni terreni.
Il nome stesso era un mistero. James era l'equivalente inglese di Giacomo. Lauren aveva rintracciato tutti i Dominik James che aveva trovato, giungendo a due sole opzioni. Aveva scartato la prima consultando il suo profilo genetico su un sito web apposito. Ne rimaneva quindi solo uno. Dominik James era cresciuto in una serie di orfanotrofi cattolici in Italia prima di scappare in Spagna. Lì aveva trascorso la sua infanzia, spostandosi di villaggio in villaggio. Era entrato nell'esercito italiano a vent'anni, per scomparire al suo congedo. Era ricomparso per frequentare un'università, per poi dileguarsi di nuovo. Ci era voluto molto, ma alla fine Lauren l'aveva rintracciato in quella remota foresta ungherese. Dopo tutto quel lavoro, Matteo l'aveva informata che quello era l'unico dettaglio annotato sulla versione cartacea del testamento di Alexandrina ritrovato tra i beni del marito.
«Questo è ciò che mio padre aveva scritto sulla sua copia del testamento di mia madre» le aveva confermato gioioso Matteo. Gioioso, come se non avesse capito prima che quell'informazione avrebbe potuto esserle utile in precedenza.
Ovviamente non gli aveva detto nulla, anzi, lo aveva ringraziato. Il padre di Matteo aveva anche lasciato quelle annotazioni sul testamento di Alexandrina, ma sicuramente non aveva avuto alcuna intenzione di rintracciare il figlio illegittimo che sua moglie aveva dato in affido molto tempo prima che si conoscessero. Il che significava che fosse compito di Lauren non solo localizzare Dominik James, bensì anche rivelargli la verità sulla sua parentela.
Lì, in quei boschi che la circondavano, sconosciuti e inquietanti, che sembravano appartenere al mondo delle fiabe. Per fortuna lei non credeva alle fiabe.
Si sistemò di nuovo lo scialle per difendersi dal vento freddo. Gli alberi erano folti, alti e oscuravano la luce del sole. Le ombre erano cupe e la inquietavano. O, molto probabilmente, non erano le ombre dei rami degli alberi a metterle timore. Forse era il fatto che quando aveva detto all'oste di quella remota cittadina di essere alla ricerca di Dominik James, lui era scoppiato a ridere.
«In bocca al lupo allora!» aveva esclamato. «Alcuni uomini non vogliono essere trovati, signorina, e nulla di buono le accadrà se ignorerà i loro desideri.»
In quel bosco non vi era nient'altro che alberi attorno a lei e la spiacevole sensazione di essere completamente sola, ma al contempo si sentiva anche osservata. Continuò a camminare. Si era lasciata il villaggio alle spalle trenta minuti prima, l'ultima prova di qualcosa che somigliasse alla civiltà. Disse a se stessa che fosse una fortuna che quel sentiero non proseguisse verso le oscure montagne, ma era difficile convincersi di essere fortunata quando attorno a lei non c'era null'altro che fango, alberi e uccelli che svolazzavano tra i rami sopra la sua testa. Dei rumori che le facevano capire che, nonostante non vedesse alcun animale selvatico vicino a lei, ciò non significava che non ve ne fossero. La osservavano, in attesa.
Lauren rabbrividì. Disse a se stessa di essere ridicola, mentre svoltava a una curva del sentiero. Fu allora che la vide. Inizialmente le parve un miraggio del deserto, non che lo avesse mai visto in precedenza, dato che non c'erano deserti a Londra. Tuttavia più si avvicinava, più capiva che i suoi occhi non la stavano ingannando.
C'era una specie di villetta che faceva capolino tra gli alberi, nascosta in una radura. Si avvicinò, rallentando il passo mentre il sentiero la portava verso il margine della radura. Tutto quello che aveva desiderato fino ad allora era uscire dalla foresta, ma ora che si trovava lì si sentì cogliere dall'ansia. Ignorò quella sensazione e aggrottò la fronte. Era un cottage di legno, costruito con tronchi perfettamente incastrati e ordinati. Del fumo usciva dal comignolo. Non c'era insomma alcuna motivazione valida per rabbrividire a quella vista. Come se avesse passato tutta la propria vita a girovagare nella giungla di cemento, alla ricerca di una casa accogliente come quella. Era ridicolo, ovviamente.
Lauren si portò una mano al petto, come se potesse alleviare la tensione. Non credeva alle fiabe, ma le conosceva bene. Il fatto era che non riusciva a ricordare nessuna storia a lieto fine con una casa apparentemente perfetta nascosta nel bel mezzo di una foresta pericolosa. Di solito, un cottage incantato era infestato di streghe, maledizioni e lupi mannari...
Fu allora che notò che il portico davanti al cottage non era deserto come aveva creduto in un primo tempo. C'era l'ombra di un uomo.
Che la stava fissando dritto negli occhi.
Il suo cuore fece una capriola nel petto, cogliendola di sorpresa, proprio lì, dove la foresta lottava per riappropriarsi della radura. Tuttavia Lauren non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sopraffare, chiunque