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Una moglie per lo sceicco: Harmony Collezione
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Una moglie per lo sceicco: Harmony Collezione
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Una moglie per lo sceicco: Harmony Collezione

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About this ebook

Tre uomini dotati di potere, ricchezza e fascino. Di cos'altro potrebbero avere bisogno? Di una moglie. E faranno tutto ciò che è in loro potere pur di trovarla.

Rashad Hussein Al-Zafar, principe ereditario del regno di Bakhar, deve prendere moglie. E il suo pensiero corre subito a Tilda Crawford, la ragazza conosciuta al college, cinque anni prima, con la quale ha avuto una bella storia d'amore conclusasi in maniera improvvisa. Rashad torna da lei, e con uno stratagemma la porta con sé nel proprio regno. Ma Tilda si rivelerà davvero la donna giusta per ricoprire quel delicato ruolo?
LanguageItaliano
Release dateJan 10, 2020
ISBN9788830507005
Una moglie per lo sceicco: Harmony Collezione
Author

Lynne Graham

Lynne Graham vive in una bellissima villa nelle campagne dell'Irlanda del Nord.Lynne ama occuparsi della casa e del giardino, soprattutto nel periodo che lei considera il più magico dell'anno, il Natale.

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    Una moglie per lo sceicco - Lynne Graham

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Desert Sheikh’s Captive Wife

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2007 Lynne Graham

    Traduzione di Anna Vassalli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-700-5

    1

    «Mi stai chiedendo se conosco una donna che... vorrei sposare?» Rashad, principe ereditario del Bakhar frenò a stento una risata alla domanda espressa con voce gentile dal padre. «No, temo di no.»

    Re Hazar studiò il figlio con malcelata inquietudine. Era grato al cielo per la nascita di Rashad, che aveva tutte le qualità per essere un buon monarca; le sue doti erano emerse in particolare nel periodo buio del regno dispotico di Al Saidi, suo zio. Agli occhi del popolo Rashad era perfetto. Aveva subito innumerevoli ingiustizie, ma aveva combattuto da eroe nella guerra intestina che si era conclusa con la restaurazione della dinastia legittima. Persino le chiacchiere sul comportamento piuttosto libertino all’estero del principe ereditario non facevano inarcare neppure un sopracciglio, perché il suo popolo gli riconosceva di essersi guadagnato il diritto di godere della propria libertà.

    «A un certo punto della vita un uomo deve sistemarsi» rimarcò re Hazar con la cautela che gli era propria, «e chiudere con la vita mondana.»

    Immobile, un’espressione cupa sul volto bellissimo, Rashad fissava i meravigliosi giardini che erano l’orgoglio di suo padre. Forse anche lui, a quell’età, avrebbe tratto godimento e soddisfazione da cose del genere, rifletté amaro. Benché provasse un profondo rispetto per il padre, non si potevano definire intimi. Non ne avevano avuto la possibilità. Rashad aveva solo quattro anni quando era stato strappato dalle braccia della madre e allontanato dai genitori. Nei due decenni successivi aveva imparato a non fidarsi di nessuno, se non del proprio giudizio. In età adulta aveva potuto ricongiungersi alla propria famiglia, ma era ormai un soldato valoroso, addestrato ad anteporre il dovere e la disciplina a qualsiasi altro valore. Tuttavia su quel particolare argomento non era disposto a inchinarsi alle aspettative del padre.

    «Non voglio sposarmi» dichiarò risoluto.

    Re Hazar non era preparato a una risposta tanto decisa che non ammetteva né scuse né possibilità di un compromesso. Ritenendo di aver affrontato forse l’argomento con poco tatto si affrettò ad aggiungere: «Sono convinto che il matrimonio ti possa dare molta felicità».

    Rashad evitò a stento una smorfia a quell’affermazione semplicistica. Non s’illudeva in proposito. Solo una volta una donna l’aveva reso felice, ma ben presto aveva scoperto che era una felicità illusoria. Non aveva mai più dimenticato la lezione. Amava la propria libertà e amava il sesso. In poche parole gli piacevano le donne, ma erano ammesse solo in un settore della sua vita privata: il letto. Non aveva nessun desiderio di avere accanto una donna su base permanente. «Temo di non essere d’accordo con te.»

    Il vecchio re ignorò il senso di gelo che si era creato e soffocò un sospiro. Avrebbe voluto avere almeno un briciolo della cultura e della classe del figlio per discutere su un piano di parità. Soprattutto rimpiangeva di non riuscire a trattare il figlio che adorava più duramente. «Non credevo di arrivare al punto di trovarmi in disaccordo con te. Devo essermi espresso male. O forse ti ho colto di sorpresa.»

    Rashad serrò le labbra. «Niente che tu possa dire mi farebbe cambiare idea. Non intendo sposarmi.»

    «Rashad...» Il sovrano era sbalordito da quell’inflessibile rifiuto e conosceva a sufficienza il figlio per intuire che non avrebbe cambiato opinione. «Sei talmente amato dalla nostra gente che accetteranno qualsiasi sposa tu scelga. Forse ti preoccupa il dover scegliere un certo tipo di moglie, ma sono convinto che persino una straniera sarebbe accettata dal nostro popolo.»

    Rashad si era irrigidito al riferimento di un’eventuale sposa straniera, lo sguardo improvvisamente cupo. Si chiese se il vecchio padre si riferisse alla sua disastrosa infatuazione di cinque anni prima per una ragazza inglese. Il solo sospetto lo pungolò nell’orgoglio. Lui e suo padre avevano sepolto l’episodio senza neanche discuterne.

    «Viviamo in un’epoca moderna, eppure sei convinto che debba comportarmi come te e i tuoi antenati: sposarsi giovani per produrre un erede» ribatté aspro Rashad. «Non credo che sia necessario un tale sacrificio. Ho tre sorelle maggiori con una schiera di figli in ottima salute. In futuro uno di loro sarà il mio erede.»

    «Ma nessuno di loro ha un padre di sangue reale. Un giorno sarai re; vuoi deludere la nostra gente? Cos’hai contro il matrimonio?» chiese incredulo il vecchio re. «Hai talmente tanto da offrire!»

    Tanto, salvo il cuore e la fiducia nel gentil sesso, pensò Rashad con impazienza. «Non ho niente contro l’istituzione del matrimonio. A te andava bene, ma a me no.»

    «Se non altro rifletti su quanto ti ho detto» insistette re Hazar. «Ne parleremo in un altro momento.»

    Avendo difeso il proprio diritto alla libertà con la stessa risolutezza con la quale un tempo aveva combattuto per la libertà del popolo bakhari, Rashad marciò deciso fuori dall’appartamento reale. I vari ministri s’inchinavano al suo passaggio e le guardie, una dopo l’altra, presentavano le armi mentre si recava nei propri uffici.

    «Oh... non volevo disturbare, Vostra Altezza.» Una bruna molto attraente, con immensi occhi castani e la pelle di seta, il viso incorniciato da soffici capelli neri si allontanò dal tavolino su cui aveva deposto delle bevande fresche e dei dolci dopo essersi inchinata, come tutti i presenti. «Sappiamo che spesso lei lavora talmente tanto da dimenticarsi di cenare.»

    Anche se Rashad in quel momento avrebbe preferito restare solo, ricorse alla cortese formalità che ci si aspettava da un principe, e che per lui era ormai una seconda natura. Farah era una lontana parente e con timidi sorrisi e una conversazione leggera, gli servì tè alla menta e dei dolci. Evidentemente il desiderio di suo padre - che lui si decidesse a sposarsi - era circolato a corte, quindi Rashad non commise l’errore di prolungare quell’incontro sedendosi e indugiando nella conversazione. Aveva capito perfettamente che il tutto era stato organizzato col proposito di fargli intendere che Farah sarebbe stata una moglie perfetta e una compita padrona di casa.

    «Non ho potuto fare a meno di notare la pubblicazione dell’università di Oxford, Vostra Altezza» rimarcò Farah. «Sarà orgoglioso di essersi laureato con il massimo dei voti.»

    Un’ombra attraversò gli occhi scuri. «Certo» ammise con tono piatto congedandola con un gesto eloquente. «Devi scusarmi, ma ho un appuntamento.»

    Con ancora in mano la pubblicazione sulla quale Farah aveva richiamato la sua attenzione, Rashad entrò nell’ufficio privato. Si domandò quante altre uscite di quella rivista avesse ignorato nel corso degli anni. Aveva pochi ricordi piacevoli del periodo universitario in Inghilterra. Quasi con sfida cominciò a sfogliare le pagine, per immobilizzarsi nell’istante in cui scorse il volto di una donna. Si trattava di Matilda Crawford all’arrivo a una cerimonia universitaria, al braccio di un distinto signore di mezza età.

    Corrugando la fronte, Rashad posò sulla scrivania il giornale aperto a quella pagina con mani poco ferme. Era mosso dalla collera, da nient’altro. I capelli biondi le lasciavano scoperto il viso e indossava un castigato abito marrone a collo alto. D’altra parte la sua bellezza eccezionale non aveva bisogno di alcun ornamento: aveva capelli biondi, soffici come seta, una pelle d’avorio e occhi turchesi. Digrignò i denti mentre leggeva la didascalia della foto. Matilda non era nominata, ma lo era il suo accompagnatore: il professor Evan Jerrold, il filantropo. Un uomo molto ricco, ovvio! Senza dubbio un altro idiota da spremere, pensò Rashad con disgusto.

    Era furioso per essere ancora sensibile alla bellezza di Tilda e ai dannati ricordi che gli faceva riaffiorare. Ma si era trattato esclusivamente di un incidente di percorso, di un’ammonizione che anche lui era un essere umano. Rashad poteva anche essersi distinto sul campo di battaglia ed essere idolatrato dalla sua gente che lo considerava un saggio, ma per anni Al Saidi l’aveva praticamente tenuto prigioniero in Bakhar.

    Aveva vissuto sotto una costante minaccia e sotto stretta sorveglianza. Aveva già venticinque anni quando, tornato suo padre sul trono, aveva potuto godere di quella libertà che gli era stata negata tanto a lungo.

    Era stato lui a suggerirgli di completare gli studi universitari in Inghilterra. Rashad aveva ereditato l’acutezza intellettuale della madre e l’accortezza del padre, ma all’epoca aveva ben poca esperienza di donne occidentali. Dopo l’arrivo a Oxford, nel giro di pochi giorni si era infatuato di una giovane assolutamente inadatta.

    Tilda Crawford era un’occasionale danzatrice e una vergognosa cacciatrice di uomini ricchi. Aveva raccontato a Rashad storie lacrimevoli sulle sofferenze che il prepotente patrigno infliggeva alla famiglia.

    E aveva scelto bene l’obiettivo, dovette ammettere amaramente. Allevato nella convinzione che si dovesse sempre andare in aiuto dei più deboli, era caduto facilmente nella rete che gli aveva teso. Ammaliato dalla sua bellezza e ingannato dalle sue menzogne, era stato a un passo dal chiederle di sposarlo. Che regina degna avrebbe regalato al suo popolo! L’umiliazione gli bruciava ancora!

    Raddrizzò le spalle e alzò il capo. Era giunto il momento di tracciare una riga definitiva su quel mortificante episodio e consegnare le recriminazioni al passato. Ma adesso si rendeva conto che sarebbe stato impossibile finché la malfattrice fosse rimasta impunita.

    Senza alcun dubbio non era servito a niente il dignitoso silenzio che aveva mantenuto in proposito. Anzi, probabilmente, con quel comportamento aveva facilitato a Tilda Crawford la via dell’inganno nei confronti degli altri. Perseguendola, invece, avrebbe risparmiato un’umiliazione al suo attuale attempato ammiratore, rifletté con soddisfazione. Ai mascalzoni si deve chiedere conto delle proprie colpe, non permettere che proseguano imperterriti a cogliere i frutti della loro disonestà.

    Rashad studiò a lungo la foto di Tilda meravigliandosi di quanto si sentisse meglio ora che aveva individuato una giusta linea d’azione. Perché era necessaria un’azione, non uno studiato, strategico silenzio. Così contattò il capo contabile ed ebbe conferma che nessun pagamento era pervenuto da parte della famiglia Crawford. Non ne fu sorpreso. Ordinò immediatamente che la questione fosse risolta con urgenza e, pervaso da un senso di giustizia, gettò via la pubblicazione.

    Spostando la massa di capelli biondi dietro l’orecchio Tilda, costernata, studiò la madre e chiese per la seconda volta. «Quanto devi?»

    Il viso rigato di lacrime, Beth ripeté la cifra con voce flebile. «Mi dispiace, mi dispiace tanto. Avrei dovuto parlartene mesi fa, ma non ne ho avuto il coraggio. Ho nascosto la testa nella sabbia sperando che i problemi si risolvessero da soli.»

    Tilda era scioccata per l’enormità dalla cifra di cui

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