Tentazione quotidiana: Harmony Destiny
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About this ebook
Nita non vuole vivere sotto lo stesso tetto di quella specie di guardia del corpo, affabile come una scopa, ma a cui lei non riesce a resistere. Mentre lavorano insieme per scovare il vandalo che va in giro a distruggere la città, lei scopre di essere sempre più attratta da Connor Thorne, uomo di poche parole, ma con uno sguardo ir-resistibile. Nita sa che lui la desidera, ma la cocciuttaggine non lo fa cedere alla passione. Starà a lei trovare il modo giusto per convincerlo.
Michelle Celmer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Tentazione quotidiana - Michelle Celmer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Round-the-Clock Temptation
Silhouette Desire
© 2005 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-718-0
Prologo
Dal diario di Jessamine Golden
11 ottobre 1910
Caro diario,
proprio quando pensavo di aver perso il gusto della vendetta, quando credevo che l’amore di Brad avesse disperso le ombre che oscuravano il mio cuore, sono stata nuovamente tradita.
Edgar Halifax mi ha rubato la famiglia e la pace quando ha ucciso mio padre. Mi ha rovinato la vita e ha distrutto il mio sogno di diventare un’insegnante. Ora, mi ha tolto anche l’unico uomo che io abbia mai amato, l’unico uomo che mi abbia mai amata, e la mia sete di vendetta è come un fuoco che mi brucia dentro e mi divora.
Mi hanno incastrata, mio diario. Non sono stata io a rubare quell’oro e l’ho detto a Brad. Gliel’ho giurato sulla tomba di mio padre. È stato Halifax a sottrarlo e a nasconderlo, simulando un furto. Ma quando ho scorto il dubbio negli occhi di Brad mi sono sentita sprofondare in un dolore così acuto da levarmi il respiro.
Ho il cuore spezzato. Ero già stata tradita in passato, ma mai mi aveva fatto così male. Che sciocca sono stata a illudermi di poter sconfiggere la malasorte.
Mio Dio, però, quanto lo amo. Non faccio che pensare alle sue labbra che sfiorano dolcemente le mie, alle sue mani che mi carezzano riverenti.
Porto ancora il suo ciondolo qui sul cuore, che mi ricorda tutto quello che avremmo potuto avere insieme. E continuerò a portarlo, anche se ora so che il nostro amore non ha un futuro. In cuor suo, Brad resterà sempre un uomo di legge e la mia sete di vendetta si placherà solo quando Halifax avrà pagato per tutto il male che mi ha fatto. E pagherà. Questo è poco ma sicuro.
Mi impegnerò personalmente perché ciò accada.
Senza l’amore di Brad, non ho nulla da perdere.
1
Nita Windcroft non era tipo dalla lacrima facile.
L’ultima volta che aveva pianto era stato tredici anni prima, in quarta elementare, quando era caduta dalla gabbia delle scimmie e si era slogata una spalla. Buck Johnson era scoppiato a ridere, prendendola in giro e chiamandola poppante, ma lei si era alzata e gli aveva fatto un occhio nero, adoperando il braccio sano, naturalmente.
Riteneva che le donne fossero per la maggior parte troppo emotive e facili alla commozione. Ma alla luce di quello che stava accadendo ultimamente al ranch, staccionate rotte, biada avvelenata che aveva quasi ucciso più di una decina di cavalli, per non parlare della lettera minatoria ricevuta appena una settimana prima e che la invitava caldamente a lasciare la proprietà, era lei stessa sull’orlo del tracollo emotivo.
Il dottor Willard, il veterinario della città, uscì in quel momento dalla stalla di Ulisse con un’espressione cupa dipinta sul viso rugoso. Nita sentì le lacrime bruciarle agli angoli degli occhi, ma si sforzò ancora di trattenerle.
«Mi spiace, Nita. La frattura è grave e alla sua età... purtroppo bisognerà abbatterlo.»
«Ulisse è solo un vecchio ronzino, ma papà gli è molto affezionato. Sarà un duro colpo per lui.»
«A proposito, come sta tuo padre?» le chiese il dottore. «Ho saputo che è caduto quando il cavallo si è accasciato al suolo.»
«È in ospedale, al momento, in sala operatoria. Il chirurgo dice che non potrà riprendere a camminare prima di sei settimane e probabilmente avrà bisogno della fisioterapia.» Nita pensò al genitore, steso sulla dura terra, la gamba lussata e sanguinante, dopo essere stato disarcionato. Stava andando a controllare lo steccato del recinto nord, quando il cavallo era finito in una fossa, una fossa troppo grande per essere stata scavata da un cane o da un tasso. Nessuno dei dipendenti si sarebbe mai sognato di fare una buca in quel punto, per cui lei aveva concluso che si era trattato di un altro chiaro tentativo di intimidazione. L’ennesimo avvertimento.
Ed era inoltre convinta, nonostante loro negassero con veemenza, che ci fossero i Devlin dietro agli strani incidenti che si stavano susseguendo al ranch, da un po’ di tempo a quella parte. Stavolta, però, avevano superato il limite. Suo padre aveva rischiato di lasciarci la pelle.
Una nuova ondata di lacrime le bruciò in gola, ma ancora una volta lei le ingoiò. Aveva perso la madre quando era bambina e anche sua sorella Rose se n’era andata, lasciando il ranch per inseguire le attrattive della grande città. Nita non sapeva che cosa avrebbe fatto se avesse perso anche suo padre. Avrebbe ucciso con le proprie mani la persona che aveva tentato di fargli del male. Ma la situazione aveva assunto proporzioni troppo grandi, ultimamente, perché potesse gestirla da sola.
Aveva saputo che il Texas Club era una copertura per una sorta di gruppo mercenario che viaggiava per il mondo, dispensando giustizia e lottando per il bene dell’umanità. Già un paio di volte aveva chiesto loro aiuto e le era stato inviato un loro adepto, Mark, marito della sua migliore amica Alison, per dare un’occhiata in giro, ma non era stato trovato nulla che potesse ricondurre ai Devlin. Lei, però, era pronta a mettere la mano sul fuoco che fossero loro i responsabili. Erano più di cent’anni che cercavano d’impossessarsi della terra dei Windcroft.
Ma come ogni altro, inclusa la polizia, il Texas Club non aveva voluto immischiarsi nell’annosa faida tra le due famiglie.
Ora che ci era quasi scappato il morto, forse la situazione sarebbe cambiata.
«Dovresti essere in ospedale» disse il dottore.
«Prima di entrare in sala operatoria, mio padre mi ha fatto promettere che sarei tornata a casa a informarmi sulle condizioni del cavallo. Sai com’è fatto papà, no? Il ranch prima di tutto.» Una qualità che il genitore aveva saputo trasmetterle fin da piccolina. Non appena aveva cominciato a muovere i primi passi, Nita aveva seguito il padre nei suoi lavori al maneggio. E ora che era infortunato, sarebbe toccato a lei controllare che tutto filasse lì al ranch.
Fuori dalla stalla, udì un pestare di zoccoli. «Fa’ quello che devi fare con Ulisse, dottore» pronunciò a fatica, infilando la porta d’uscita.
Jimmy Bradley, il capo stalliere, stava smontando da cavallo. Il sole al tramonto gettava sul terreno lunghe ombre sinistre e l’aria fresca dell’imbrunire la fece tremare sotto la camicia di flanella.
«Allora» gli chiese Nita, «che cosa hai scoperto?»
Jimmy si tolse il cappello e si asciugò la fronte madida con il dorso della mano. «Altre buche, tutt’intorno al recinto nord e a quello sud. Controlleremo anche quelli a est e ovest e il recinto degli stalloni domani, con la luce del giorno. I ragazzi lavoreranno tutta la notte per riempire le fosse che abbiamo trovato finora. Finché non avremo finito, sarà meglio tenere i cavalli al sicuro nelle stalle.»
«Sei sicuro che non sia stato qualche animale?»
«Certo! A meno che questo animale non scavi buche con la vanga e lasci impronte di stivali nella terra. Se posso azzardare un’ipotesi, direi che sono stati quei maledetti Devlin.»
Lavorando al ranch da prima che Nita nascesse, Jimmy era a conoscenza della faida tra i Windcroft e i Devlin. «Sono d’accordo con te.»
«Bisogna fare qualcosa.»
Un senso di frustrazione le avvinghiò le viscere. Non si era mai sentita così impotente. «Lo so, Jimmy, ma senza prove la polizia non vorrà farsi coinvolgere in questa brutta storia. Quando l’ho avvisato, oggi pomeriggio, lo sceriffo mi ha risposto che si trattava probabilmente di qualche ragazzata.»
«Ma quale ragazzata!»
Con la polizia non disposta a intervenire, a Nita non restava che un’alternativa. Anche se ciò avrebbe significato mettere da parte l’orgoglio, inginocchiarsi e supplicare. Ma erano in gioco la sua famiglia e i suoi animali e valeva la pena sacrificarsi per la loro incolumità.
Estrasse le chiavi dalla tasca e si diresse verso la jeep. «Credo che sia giunta l’ora di fare un’altra visita al Texas Club.»
Jimmy sbuffò con espressione sarcastica. «Non ti hanno creduto prima, perché dovrebbero farlo adesso?»
Nita montò sulla vettura e avviò il motore. «Stavolta mi dovranno ascoltare.»
Connor Thorne entrò nell’atrio d’ingresso del Texas Club, lasciandosi alle spalle l’aria fresca della sera, e subito lo accolse quell’odore familiare di pelle conciata e di sigaro che aveva il potere d’infondergli calma e serenità. Le pareti del club, rivestite di pannelli di legno, esponevano ritratti di membri vecchi e nuovi dell’associazione della quale lui era solo di recente entrato a far parte. Così di recente che avvertiva ancora un certo imbarazzo nell’introdursi nell’edificio senza preavviso.
Ma non sarebbe stato così ancora per molto. Stava per ricevere il suo primo incarico importante.
Considerata l’ora, la stanza era deserta. Arrivava direttamente dall’aeroporto, da dove si era precipitato subito dopo aver ricevuto un messaggio da suo fratello, che lo avvisava dell’emergenza in corso. Connor era stato in Virginia per sistemare le ultime cose dopo il suo improvviso congedo dall’esercito. I soldati del suo reparto avevano voluto a tutti i costi organizzargli una festa d’addio, festa che si era protratta fino all’ora della partenza, quel pomeriggio. Si reggeva a malapena in piedi, dopo appena due ore di sonno e i postumi di una leggera sbornia.
Ciononostante, quando aprì la porta della sala riunioni, un’insolita eccitazione lo pervase, un alto senso di valore che non provava da quando aveva lasciato i Ranger.
Il suo gemello identico, Jake, sedeva indolente su una delle poltrone di pelle marrone bruciato. Due altri membri del club, Logan Voss, un ricco mandriano, e Gavin O’Neal, il nuovo sceriffo della città, erano in piedi attorno a un tavolo ed esaminavano una copia della mappa che era stata di recente rubata dal museo civico di Royal.
«Connor, ce l’hai fatta.» Il fratello si alzò in piedi e andò ad accoglierlo. «Scusaci se ti abbiamo scomodato a quest’ora, avvertendoti all’ultimo momento, ma si tratta di un’emergenza.»
«Figurati» rispose Connor.
Gli altri uomini si voltarono per salutarlo, ciascuno stringendogli la mano, poi presero tutti posto.
«So che vieni direttamente dall’aeroporto» disse Jake. «Ti porto qualcosa da bere, da mangiare?»
Connor sapeva che suo fratello stava solo cercando di metterlo a suo agio, ma tutte quelle attenzioni finirono con il farlo sentire