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Jessica (eLit): eLit
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ROMANZO INEDITO
Fortune's Children 9
Quando Jessica scopre la vera identità del suo nonno materno, capisce che si apre uno spiraglio importante per la guarigione della figlioletta Annie. Sembra un miracolo, invece è la realtà. Parte subito per gli Stati Uniti, dove però deve fare i conti con le perplessità della sua nuova famiglia.
LanguageItaliano
Release dateOct 1, 2019
ISBN9788830504653
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    Jessica (eLit) - Suzanne Carey

    successivo.

    1

    Per alcuni quel venticinque luglio poteva essere una splendida giornata d'estate, perfetta per portare i bambini allo zoo, ma per il dottor Stephen Hunter non lo era affatto. Mentre passeggiava solo per i vialetti dello zoo di St. Paul, nel Minnesota, il trentaseienne Stephen non aveva nessun bambino a cui spiegare il comportamento degli animali in cattività.

    Per essere più precisi, non aveva con sé Eric, il figlio meraviglioso che aveva perso tre anni prima a causa di una rarissima forma di tumore osseo.

    Oggi era l'anniversario della morte di Eric, e Stephen si era sentito attratto allo zoo da una terribile solitudine, dal ricordo amaro di giorni migliori e dal dolore di una perdita che, ne era sicuro, non lo avrebbe mai abbandonato.

    Nonostante il posto di specialista nel trattamento della leucemia e di altri disordini del sangue al Minneapolis General Hospital, non era riuscito a fare niente per impedire il rapido declino di Eric, né tantomeno a salvarlo da una morte terribile e precoce. E il dolore procuratogli dalla scomparsa del bambino aveva finito col travolgere anche il suo matrimonio.

    Aveva divorziato da Brenda da più di un anno e, sebbene considerasse il divorzio come un fallimento personale che non avrebbe mai potuto essere cancellato, si rendeva anche conto che era l'unica soluzione possibile. Se anche fossero arrivati a cent'anni, lui e Brenda non sarebbero più riusciti a guardarsi negli occhi senza vedervi riflesso il dolore per la morte di Eric.

    Quel giorno, in particolare, Stephen avvertiva la necessità di riprendere a vivere, di ricominciare tutto daccapo, anche se in verità non sapeva come. Non era mai stato tipo da avventure, e di sicuro non intendeva diventarlo adesso. Eppure la prospettiva di legarsi a una donna lo terrorizzava. Le sue coetanee che non erano già felicemente sposate desideravano tutte dei figli, mentre il pensiero di mettere al mondo un altro bambino era per lui pressoché intollerabile.

    Durante l'ultima remissione della malattia di Eric, Stephen e Brenda lo avevano accompagnato allo zoo, e anche se erano tutti consapevoli di avere poco tempo a disposizione, quella visita era stata segnata da una frenetica, effimera felicità. Forse era proprio per questo che quel giorno Stephen era tornato allo zoo: perché sperava di cogliere, seppure soltanto nella fantasia, uno sguardo del suo bambino perduto.

    Mentre si soffermava a osservare gli scimpanzé, scorse in lontananza una bella brunetta che teneva per mano una bambina biondissima di pochi anni dall'aria decisamente fragile.

    La donna portava i capelli corti, leggermente arricciati, e i suoi vestiti indicavano un gusto classico e un reddito discreto. La bambina, a differenza dei coetanei che affollavano i viali dello zoo, era coperta di lana dalla testa ai piedi, e all'occhio esperto di Stephen non sfuggì il suo aspetto pallido e malaticcio.

    Tanto per incominciare, era troppo magra per la sua altezza, e gli occhi - di cui non riusciva a distinguere il colore in lontananza - erano troppo grandi in un visetto tanto piccino.

    Senza riuscire a spiegarsene il motivo, quando madre e figlia si allontanarono verso l'area delle foche, Stephen si affrettò a seguirle. Che strano: era la prima volta, dopo la morte di Eric, che si sentiva attratto da una donna. E per ironia della sorte, ne aveva adocchiata proprio una già sposata e con prole.

    La donna su cui andava facendo tante congetture si chiamava Jessica Holmes, aveva venticinque anni ed era rimasta vedova sei mesi prima, mentre attendeva la sentenza di divorzio dal ricco e infedele consorte. Era arrivata dall'Inghilterra a Minneapolis con la figlia Annabel soltanto da due giorni, ma ancora non si era ripresa dal cambiamento di fuso orario. Neppure quella gita allo zoo si stava rivelando tanto allegra come lei avrebbe sperato, soprattutto perché Annie, che aveva cinque anni, soffriva di leucemia e non aveva moltissime energie.

    Nei giorni precedenti Jessica era stata costretta a trascinarsela dietro per tutta la città nel tentativo di mettersi in contatto con almeno uno dei membri della famiglia Fortune, ma fino a quel momento non ci era riuscita.

    La leucemia di cui soffriva Annie era una delle più pericolose, e per salvarsi la bambina avrebbe dovuto subire il trapianto del midollo. Era proprio la speranza di trovare un tipo di midollo spinale compatibile all'organismo della bambina che Jess aveva deciso di affrontare il lungo viaggio fino a Minneapolis. I medici inglesi le avevano spiegato che il donatore poteva essere soltanto un consanguineo, ma sfortunatamente non era stato trovato tra i pochi familiari di Jess e del marito.

    Nello stesso periodo, Jess aveva trovato una lettera indirizzata a sua nonna tra la corrispondenza della madre, che era morta da poco. La lettera, scritta in una forte grafia maschile su carta ormai ingiallita dal tempo, indicava che il suo vero nonno non era George Simpson, il marito legittimo della nonna, bensì Benjamin Fortune, il leggendario imprenditore americano che aveva combattuto in Francia con gli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.

    Il contenuto di quella lettera spiegava il motivo per cui gli esami del sangue dei familiari di Jess avevano dato risultati così sconfortanti, ma d'altro canto aprivano anche tutta una serie di nuove possibilità per la salvezza della piccola Annie.

    Senza perdere nemmeno un secondo di tempo, Jess aveva chiesto un lungo periodo di permesso dalla finanziaria per cui lavorava ed era partita per l'America insieme alla figlia, nella speranza che almeno uno dei discendenti di Benjamin Fortune potesse fornirle l'aiuto di cui lei aveva tanto bisogno.

    Fino a quel momento, purtroppo, le sue ricerche erano rimaste vane. La segretaria di Jacob Fortune, il primogenito di Benjamin che adesso dirigeva la società della ricca famiglia, le aveva promesso di lasciare il suo messaggio a Jacob, ma fino a quel momento la sua accorata richiesta era rimasta senza riscontro.

    Alla luce di tutti i tentativi di frode che erano stati operati negli ultimi tempi a danno dei Fortune, tuttavia, Jess non si sentiva di biasimare Jacob se l'avesse considerata una semplice avventuriera, ma era pronta a dimostrargli di non esserlo.

    Al momento di partire dal Sussex, due giorni prima, aveva provato a mettersi in contatto con alcuni Fortune di cui si era procurata il numero di telefono, ma era riuscita a raggiungere soltanto la segreteria telefonica di una certa Natalie Fortune e, nonostante avesse lasciato la richiesta di richiamarla al più presto, Natalie non si era fatta viva.

    Jess, comunque, non si era scoraggiata. Non era certo venuta fino a Minneapolis per fallire, ed era pronta a fare tutto ciò che era in suo potere per salvare la figlia.

    Dopo avere guardato a sazietà foche e pinguini, Annie la trascinò verso l'area delle giraffe. Aveva le guancette arrossate, e Jess si augurava di cuore che quel rossore dipendesse dall'eccitazione, e non da un altro di quei terribili attacchi di febbre a cui la piccina era purtroppo soggetta.

    «Mamma, guarda! Le zebre!» esclamò in quel momento Annie, e staccandosi dalla mano della madre, incominciò a correre nella direzione che aveva appena indicato.

    Dandosi dell'imbecille per quell'inseguimento senza senso, Stephen accelerò il passo per starle dietro, e mentre la guardava, Annie inciampò e cadde, sbucciandosi un ginocchio.

    La madre le fu accanto in un attimo. «Tutto bene, tesoro?» le chiese accovacciandosi accanto a lei. «Ti sei fatta male?»

    Annie licenziò l'incidente con una scrollata delle sue fragili spalle. «Mi fa male la testa, mamma» si lamentò tuttavia.

    Quelle parole suscitarono l'allarme di Jess, che subito le portò una mano alla fronte, e in quel modo scoprì con sgomento che scottava. Purtroppo il sistema immunitario deteriorato della piccina non era riuscito a proteggerla da un'ennesima infezione virale o batterica.

    «Oh, tesoro!» mormorò tendendo le braccia per stringersi al cuore la figlioletta. «Dobbiamo tornare subito in albergo.» Presa com'era dalla piccola, non si era accorta dell'arrivo di Stephen, e quindi sobbalzò un tantino spaventata quando di colpo se lo ritrovò di fronte.

    «Le chiedo scusa, signora. Sono un medico, e non ho potuto fare a meno di vedere che la sua bambina è caduta. Posso esserle d'aiuto?»

    Era alto e magro, con capelli biondissimi che gli ricadevano scompigliati sulla fronte. Aveva gli occhi azzurri più profondi che Jess avesse mai visto, e un viso che ispirava fiducia. Ciononostante, non era sua abitudine accettare consigli medici dagli sconosciuti, meno che meno se riguardavano la salute di Annie.

    «La ringrazio, non è necessario» rispose quindi alzandosi. «Non è stata una brutta caduta, Annie si è fatta solo un graffietto. Però temo che abbia la febbre, quindi sarà meglio che la riporti in albergo.»

    In albergo? Stephen la guardò attento. A giudicare dall'accento, doveva essere Inglese, quindi era plausibile che fosse negli Stati Uniti soltanto per una vacanza.

    Fin qui, niente di strano. Ciò che tuttavia lo impensieriva era l'aspetto fragile della bambina. Sicuramente era ammalata, ma non di un banale raffreddore. Con un'aria autoritaria che ridusse al silenzio le deboli proteste di Jess, Stephen si accovacciò accanto alla piccola per sfiorarle la fronte, poi le toccò la nuca con mani esperte, e quell'ultimo esame le strappò un piccolo gemito.

    Stephen, comunque, non ne rimase sorpreso. La povera piccina aveva i linfonodi gonfi, e con quel febbrone sicuramente le faceva male la gola.

    Per non allarmarla inutilmente, comunque, finse anche di esaminarle il ginocchio graffiato, e poi glielo coprì con un cerottino.

    «Va meglio, adesso?» le domandò infine alzandosi.

    Distratta dal cerotto colorato, Annie sussurrò un timido: «Penso di sì. Grazie, signore».

    «Sua figlia ha la febbre» osservò Stephen rivolto a Jess mentre accarezzava i capelli della piccina. «E anche un notevole gonfiore ai linfonodi. Non sarebbe meglio portarla da un medico?»

    Cosa voleva insinuare, con quelle parole? Che lei fosse una madre negligente, disattenta? Sollevando fiera la testa, Jess lo guardò dritto negli occhi. «Lo farei, se ne avessimo uno qui negli Stati Uniti. Purtroppo siamo arrivate soltanto l'altroieri, e la temperatura è molto più fresca di quanto mi aspettavo. Forse il giacchettino di Annie non è abbastanza caldo.»

    «Oh! Tenga la mia giacca.» Senza un attimo di esitazione, Stephen si sfilò la giacca e la adagiò sulle spalle della bambina. «È venuta in macchina?» si informò quindi.

    Jess assentì in silenzio.

    «Se mi mostra dove ha parcheggiato» insistette lui, «porterò in braccio io la bambina.»

    Con la presenza della madre accanto a quello sconosciuto alto e biondo, Annie non protestò neppure quando Stephen si chinò a sollevarla tra le braccia. Anzi, gli allacciò le braccine intorno al collo e gli appoggiò la testa sulla spalla, quasi che quella fosse una dolce abitudine.

    Jess osservò la scenetta con il cuore in gola. Il padre naturale di Annie non aveva mai mostrato tanto interesse per la sua piccina. Tutt'altro: aveva impiegato tutto il suo tempo libero guidando auto veloci e facendo la corte ad altre donne.

    Proprio per questo, la sua morte non aveva segnato

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