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Di corsa tra le tue braccia: Harmony Bianca
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Di corsa tra le tue braccia: Harmony Bianca

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About this ebook

Quando la passione per la medicina incontra le ragioni del cuore, la famiglia diventa il posto in cui sentirsi a casa

Le priorità del dottor Joe Thompson sono poche e molto ben definite: la figlia e i pazienti. Dopo la morte della moglie non c'è più stato spazio per il romanticismo nella sua vita. Almeno fino a quando non incontra l'infermiera Rose McIntyre. Il suo caldo sorriso e quel modo di vivere la vita giorno per giorno hanno in parte attutito un dolore che Joe credeva non sarebbe mai scomparso.

Tuttavia Rose è una donna vitale che non ama fermarsi in un posto troppo a lungo; fuggire dal proprio passato e dai segreti che nasconde dentro di sé è l'unico modo che conosce per andare avanti. Ma forse Joe potrebbe essere l'uomo giusto in grado di arrestare quella folle corsa e convincerla a lasciarsi andare tra... le sue braccia.
LanguageItaliano
Release dateFeb 20, 2020
ISBN9788830510432
Di corsa tra le tue braccia: Harmony Bianca

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    Di corsa tra le tue braccia - Louisa George

    successivo.

    1

    Eccola di nuovo.

    Da ben tre giorni, quella ragazza passava davanti a casa sua, sfiorava il cancello e proseguiva in salita lungo il sentiero verso la collina.

    Joe non l'avrebbe mai notata – ogni giorno molti turisti passavano davanti al suo cottage – se non per quel cappello dai colori accesi e la giacca di lana rosso vivo al ginocchio, più adatta a un giro per negozi che a una camminata in aperta campagna.

    Era proprio quel cappello a incuriosirlo. Un misto di giallo, arancione e marrone terra di Siena, insomma un campionario dei colori tipici dell'autunno, che già nel Lake District si annunciava fresco e precoce, con qualche pioggia. Però, cappello a parte, era da folli indossare soltanto una giacca di lana invece che qualcosa di adatto per difendersi dall'umidità.

    Probabilmente era una delle tante imprudenti turiste mal equipaggiate che spesso si trovavano in difficoltà, e che la locale Squadra di Soccorso doveva recuperare di notte, mettendo a rischio la vita dei suoi uomini.

    Joe si chiese cosa fare. Informarla sulle previsioni del tempo o correrle dietro, da perfetto indiscreto, e dirle di indossare qualcosa di adatto o rientrare subito, prima dell'inizio del temporale annunciato?

    No, basta gesti altruistici, mai più. Non aveva giurato di smettere di preoccuparsi per gli altri? Vivi e lascia vivere. Preparare Katy, accompagnarla a scuola, andare al lavoro, tornare a casa. Adesso era questa ormai la sua vita. Uguale e ripetitiva.

    Però c'era qualcosa, nella vivacità di quella ragazza, che lo obbligava a non perderla di vista. In quel momento si era fermata, e guardava dall'alto il villaggio, le case dai tetti di ardesia grigia e i muri candidi. Dalla finestra sopra il lavello della cucina, Joe la osservò meglio. Gote rosate, lunghi capelli biondi ricadenti sulle spalle, ruotava la testa, le braccia allargate, una gamba sollevata. C'era una tale gioia, una tale energia da stupire, in quei movimenti, nel muovere le braccia nell'aria respirando a fondo, in bilico su una gamba sola. Dev'essere una posizione yoga, pensò lui.

    Mai vista una cosa del genere a Oakdale, tranquillo villaggio di montagna. Ma non si può mai dire.

    Quasi avesse sentito il suo sguardo, la sconosciuta si girò e sorrise. E forse per l'espressione pacata, serena nei suoi occhi, d'istinto anche Joe sorrise. Cosa che da un po' accadeva di rado, al punto che i muscoli della faccia gli sembrarono irrigiditi.

    Ma perché tacere? Da dottore, intervenire era un suo preciso dovere. Un attimo dopo, Joe corse verso la ragazza, il forte e freddo vento sulla pelle, annuncio di pioggia imminente. Una sensazione un tempo piacevole, oggi forse dimenticata.

    «Salve» disse, fermandosi vicino a lei.

    Vista da vicino, era... davvero bella. Volto perfetto, bel sorriso, capelli dalle onde morbide sulle spalle, mossi nell'attimo di girarsi verso di lui. Bellissima, senza dubbio, pensò Joe. Da tempo non era rimasto così colpito da una donna. «Ehm... sta per piovere» disse a voce alta, oltre il sibilo del vento.

    «Lo so. Ho sentito le previsioni.» Voce morbida, un velluto. Occhi di un curioso color ambra, mai visto o forse mai notato prima. Leggero accento del Sud, dunque ben lontana dal conoscere gli improvvisi peggioramenti del tempo, tipici di quella zona.

    «E come mai è senza giacca impermeabile, pantaloni, stivali o soprascarpe?» Non aveva neanche uno zaino, e le tasche, piccole, non potevano contenere acqua o un genere di conforto in caso di emergenza. Vestirsi di lana sotto la pioggia significava rischiare l'ipotermia, prima di riuscire a chiamare i soccorsi. Possibile che costei non sapesse quanto era stupido tutto questo?

    «Spero non rimanga fuori troppo a lungo. Non è vestita in modo adeguato. Su queste montagne il tempo cambia molto in fretta e potrebbe rimanere bloccata, in caso perdesse l'orientamento o si ferisse cadendo. Non pensa alle conseguenze della sua sventatezza? Lei non è affatto in grado di affrontare le attuali condizioni meteorologiche, e neanche qualunque altra situazione, per dirla onestamente.»

    «Neanche lei, a quanto pare» replicò la sconosciuta senza sorridere più, fissando Joe dalla camicia di cotone fino alle eleganti scarpe di pelle. «Non immaginavo che fosse così sgarbato.»

    «Sgarbato, io? Cercavo di aiutarla!» Neanche grazie.

    Lei rialzò le sopracciglia, il viso acceso. «Le ho dato forse l'impressione di aver bisogno di aiuto?»

    Direi di no, pensò Joe. Forte, esuberante, lunghe gambe in leggins neri. Rialzò le spalle. «Bene, prenda pure l'acquazzone, se preferisce.»

    La ragazza guardò in alto, verso le nuvole nere. «Adoro la pioggia.»

    Proprio come pensava: la solita turista sventata. La pioggia giova ai raccolti, non a gente impreparata ad affrontarla. O autisti imprudenti... Joe scacciò quel ricordo, insieme alla solita fitta di dolore al petto. «Bene, potrà inzupparsi quanto vuole, buon divertimento.»

    «Sicuro.» Almeno le scarpe sembravano robuste, meglio di niente, pensò Joe, sostenendo lo sguardo irritato di quegli occhi dal colore così caldo. E voleva essere gentile, avvertirla del pericolo... La prossima volta se ne sarebbe guardato bene.

    «Papà! Papà, cosa fai qua fuori? E la colazione? Perché oggi non facciamo le frittelle?»

    La voce di Katy riportò bruscamente Joe alla realtà. In pigiama, era fuori dalla porta di casa, scalza. «Presto, torna dentro, sennò prendi freddo!» Corse verso la casa, dandosi dell'idiota per la mania di preoccuparsi per chiunque. «No, tesoro, niente frittelle nei giorni di scuola: latte e cereali, e una banana per dopo.»

    «No... Non è giusto.»

    «Se ti lamenti ne avrai doppia porzione!» Joe cercò di sorridere durante la trattativa.

    «La nonna prepara sempre le frittelle, quando sono da lei» mormorò Katy, otto anni, con un broncio irresistibile. «Perché non tutti i giorni anche noi?»

    Joe tralasciò la solita predica sulla qualità del cibo, ormai base unica di scambi verbali tra lui e la figlia.

    La deliziosa, allegra bimbetta si era trasformata in una signorina molto esigente, e lui non sapeva perché.

    Guai in vista? Chissà. Ma Joe si chiese quanto sarebbe stata diversa la loro vita se Katy avesse avuto accanto entrambi i genitori. Riempì la sua ciotola, ancora seccato per lo strano incontro con quella donna. Per fortuna non doveva più parlare con lei. Se fosse passata ancora davanti a casa sua avrebbe tenuto la bocca chiusa. E tanti saluti.

    «Mi ringrazierai quando alla ricreazione avrai ancora tanta energia per continuare a giocare» disse, mettendo la ciotola davanti alla bambina.

    «D'accordo, ma questa colazione non mi piace» replicò Katy, talmente delusa che lui si sentì stringere il cuore per i continui sensi di colpa. Momento complicato, al lavoro. Personale ridotto, necessità di straordinari per ovviare alle richieste. E dunque meno tempo da passare con Katy. «Io ho sempre molta energia, sai?» disse lei, con un sorriso così affettuoso da restituirgli la pace. «E le frittelle mi piacciono da matti, sono la cosa più buona del mondo, se le avessi tutti i giorni sorriderei sempre.»

    Sempre. Avrebbe voluto in qualche modo fermare il tempo, preservarla così com'era in quell'istante, innocente e felice per le piccole cose.

    «Va bene, stasera mettiamo la sveglia in anticipo, e avremo frittelle a colazione. Ma ricordi cosa è successo, l'ultima volta?»

    «Certo, non devi farle saltare, la nonna mi ha fatto vedere come si girano» aggiunse Katy guardando il soffitto, il segno lasciato dal volo di una frittella che lui non aveva neanche tentato di ripulire. «Te lo mostrerò.»

    «Bene, domani frittelle. Adesso finisci la colazione.»

    Ecco, aveva ceduto di nuovo alla richiesta della figlia. Come poteva non accontentarla? Era la luce dei suoi occhi, la ragione per cui si svegliava la mattina. Ma le cose avrebbero potuto essere così diverse...

    Mentre versava la sua porzione di latte e cereali nella ciotola, guardò fuori della finestra. Nuvole pesanti oscuravano il cielo, e la pioggia fitta colpiva i vetri. Visto? A quest'ora la turista sarà inzuppata. Mi ha preso per maleducato... invece volevo essere utile, a differenza di quel suo cappello inadatto alla pioggia, sparito con lei insieme all'ultima briciola del mio buon umore.

    L'irritazione per quell'episodio rimase in lui per il resto della mattina. Sua sorella diceva che toccava a lui scegliere se tornare a essere allegro, cosa molto difficile, pensò. Però adesso era in ritardo di quaranta minuti e doveva affrettarsi. Meglio mostrarsi calmo e attivo, anche se non si era scusato con i pazienti, irritati per la lunga attesa.

    Non era certo il tipo del simpaticone pronto ad alleggerire l'atmosfera, ma solo un uomo, dopotutto.

    E quel giorno, gli era molto difficile concentrarsi. Anche mentre scriveva, lo schermo del pc gli rimandava l'immagine di quella donna con il cappello dai colori strani. Gli aveva dato del maleducato, giustamente, mentre aveva inteso soltanto metterla in guardia dal maltempo. O almeno era quello di cui tentava ancora di convincersi per giustificare la sua invadenza. Ma quegli occhi, dal colore così originale, gli erano rimasti impressi nella mente. E perché mai era uscito per parlare con lei, se il capitolo donne non rientrava più nei suoi programmi?

    «Che ne dici di una tazza di tè?» chiese Maxine, la fedele segretaria, dalla soglia del suo ufficio.

    «Magnifico. Sì, grazie, ma d'asporto per me, sto uscendo per le visite a domicilio.»

    Maxine si mosse zoppicando per l'artrite. Un giorno o l'altro sarebbe andata in pensione, pensò Joe, e mai avrebbe trovato qualcuno che potesse sostituirla degnamente. Quella donna era il Centro Medico di Oakdale in persona, volto, cuore e spirito. «Passi prima nell'ufficio del personale, vero? L'infermiera supplente si è presentata oggi, inizierà domani, dovresti conoscerla.»

    Negli occhi di Maxine c'era uno scintillio che Joe non vedeva da tempo. «Ah, sì?» chiese, innervosito.

    «Resterà con noi per un mese, così avremo un po' di respiro. Sii gentile con lei, cerca di non spaventarla.»

    «Io sono sempre gentile.»

    «Mmh... Lasciamo perdere» sorrise Maxine, tollerante. La sorella di Joe diceva che quella donna meritava una medaglia per averlo sopportato negli ultimi anni. È giusto, pensò lui, non sono stato una compagnia molto gradevole, di recente. «Vai almeno a salutarla.»

    Avrebbe dovuto, pensava Joe. Anche perché, data la penuria di personale, finalmente qualcuno aveva accettato di lavorare in un luogo sperduto come Oakdale.

    Ma c'erano dei pazienti che lo aspettavano. «Sarebbe scorretto incontrarla domani? Ho molto da fare. E prima di ogni cosa le visite nel pomeriggio.»

    «Hai ragione, glielo dirò. È molto gentile, sono sicura che capirà. Sai, in lei c'è qualcosa che sembra...» Maxine tacque, scuotendo il capo, incerta. «No, niente di serio, forse sono solo sciocchezze.»

    «Cosa sembra?» chiese Joe, saltando subito a conclusioni affrettate, nel timore che un'assunzione temporanea creasse squilibrio tra il personale fisso.

    «Non saprei... Ha qualcosa di familiare, ecco, anche se non l'ho mai vista prima. È cortese, buone maniere, amichevole» disse Maxine, e girandosi per allontanarsi, si fermò di colpo: respirava intensamente, gemendo.

    «Va tutto bene, Maxine?» chiese, ansioso.

    La donna si piegò in avanti, toccandosi il petto, accigliata. «Non è niente, non preoccuparti, sarà indigestione. Ho detto a David di non mettere le cipolle nei miei panini, ma non mi ascolta, e io li mangio lo stesso e troppo in fretta, così poi ho mal di stomaco.»

    «Tutto a posto, sei sicura?» Joe si fermò a metà strada, sempre più preoccupato, notando il pallore e il respiro corto di Maxine. «Che tipo di dolore senti? Vieni, siediti, lasciami dare un'occhiata.»

    Lei lo guardò con la stessa espressione che gli riservava almeno da cinque anni. «Joseph Thompson, dopo quell'incidente ti sei assunto la missione di salvare il mondo. Ma non puoi farlo. Adesso devi smetterla di preoccuparti di tutto e tutti.»

    «Mi preoccupo per te. Siediti e lascia che ti controlli» protestò lui; non voleva ricordare l'incidente, e il suo grande bisogno di proteggere le persone a cui teneva tanto. «Per favore, Maxine, basterà un minuto.»

    Ma testarda come sempre, lei rialzò le spalle, ignorando la sedia. «Sto bene, Joey, non preoccuparti per me. Abbiamo già chiuso, Jenny è fuori per le visite, Alex in ferie, le infermiere nell'ambulatorio di Ambleside, per aggiornare le vaccinazioni, quindi farò il tè per noi due, o per tre, contando anche Rose.»

    «Rose?»

    «La nuova infermiera» scandì Maxine, con tono tollerante, già lontana lungo il corridoio.

    Già. Quella che non aveva il tempo di salutare, pensò lui. Non era scortesia, lo capirà guardando la fitta agenda del giorno. Joe sbirciò l'orologio del pc, mentre scriveva le note relative all'ultimo paziente. Quello a casa lo aspettava da cinque minuti; più un quarto d'ora di strada, per raggiungerlo. Quel giorno non sarebbe stato puntuale, pensò, forse era il caso di rimandare il tè.

    «Presto! C'è qualcuno? Dottore...» urlò una voce femminile energica ma affannata, che proveniva dalla segreteria. «Allora? Collasso cardiaco, in questo momento!»

    Che cosa? Accidenti.

    Joe corse lungo il corridoio, il cuore a mille, vedendo Maxine distesa sul pavimento e una donna con una coda di cavallo bionda china su di lei, forse tentando la respirazione bocca a bocca.

    Ma che succedeva? «Maxine!»

    «È caduta, è il cuore ne sono sicura, stringeva le mani al petto.» Occhi ambrati guardarono Joe, restringendosi subito dopo, freddi. «Ah, è lei.»

    «Sì, sono Joe Thompson, il dottor Joe Thompson» annuì lui, inginocchiandosi accanto

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