La sorpresa del milionario
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About this ebook
Gabriel infatti non ha mai dimenticato il suo viso, e adesso che lei è di nuovo lì accanto a lui non ha alcuna intenzione di lasciarsela scappare ancora.
Cathy Williams
Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.
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Book preview
La sorpresa del milionario - Cathy Williams
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Secret Spanish Love-Child
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2010 Cathy Williams
Traduzione di Marta Draghi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-561-1
1
Fu un sollievo per Gabriel sentir bussare la segretaria.
Appollaiata sulla sua scrivania, con quei tacchi alti, decisamente alti, che le ciondolavano dai piedi, e quella gonna corta, decisamente corta, appositamente sollevata per offrire in modo provocante una generosa vista delle cosce, Cristobel non smetteva di parlare da venti minuti.
Doveva assolutamente iniziare a fare spese, il giorno del matrimonio si avvicinava e tutto doveva essere perfetto e non aveva alcuna intenzione di affidare i dettagli a quella ridicola wedding planner che sua madre aveva insistito per assumere.
Aveva sottolineato ogni frase facendo ondeggiare i lunghi riccioli biondi e puntando l’indice con decisione, assicurandosi di essere chinata a sufficienza perché lui non potesse fare a meno di notare la profonda scollatura e il pieno turgore dei seni sotto l’aderente top di seta.
Cristobel sapeva bene come usare il proprio corpo per trarne il massimo vantaggio e, pur dovendo ammettere di esserne stato distratto per almeno due minuti, ora Gabriel desiderava solo che se ne andasse e sparisse in uno di quei negozi esageratamente costosi che le piacevano tanto. Non poteva importargliene di meno. Doveva fare delle telefonate, controllare alcuni report, e il tono acuto e insistente della sua voce iniziava a fargli male alla testa.
Ovviamente aveva contenuto la propria impazienza, in fondo era la sua fidanzata, ma era stato sul punto di applaudire la segretaria quando con tatto gli aveva suggerito di dare un’occhiata ai curricula per trovare una dipendente che parlasse spagnolo e che potesse accompagnare Cristobel a Knightsbridge, dove avrebbe potuto fare tutto lo shopping che voleva prima di tornare a Madrid.
«Ma voglio che ci venga tu» obiettò Cristobel lamentosa, chinandosi ancor più in avanti. «È importante che tu sia coinvolto nei preparativi!»
«Tu non vuoi che io sia coinvolto, Cristobel» le disse lui secco. «E conosci bene la mia posizione a riguardo. I matrimoni sfarzosi non fanno per me.»
Erano i matrimoni in generale a non fare per lui, soprattutto se lo riguardavano. Almeno così era stato fino a un anno prima, quando aveva ceduto alla pressione amorevole ma insistente dei suoi genitori. Desideravano molto vederlo sposato e sistemato; stavano invecchiando e speravano di potersi godere dei nipotini. Prima di morire.
E Gabriel aveva finito per accettare il fatto che forse era giunto il momento di prendere moglie. La linea che separava un ambito scapolo da un vecchio zitello era molto sottile. Aveva ormai trent’anni e la vita scorreva veloce.
Cristobel sarebbe stata la moglie perfetta. La sua famiglia aveva antiche origini, proprio come quella di lui, ed era altrettanto ricca. Lei comprendeva le regole non scritte di quello stile di vita e vi si sapeva adattare. Poteva avere tutto ciò che voleva, ma in cambio avrebbe tollerato che il lavoro per lui fosse la priorità.
Inoltre era una donna molto bella, non troppo alta, sensuale e ben curata. Sulla carta sembravano fatti l’uno per l’altra, e qualsiasi dubbio era stato fugato grazie al buonsenso e alla ragione, due aspetti del suo carattere che finora non l’avevano mai deluso.
«Ti piacerà andare da Harrods in compagnia di un’altra donna» la liquidò rispondendo al telefono, di nuovo concentrato sul lavoro, guardandola distratto mentre scendeva dalla scrivania e, imbronciata, si sistemava l’aderente gonna color crema.
Cristobel stava prendendo la borsa quando sulla porta comparve la salvatrice di Gabriel che parlava spagnolo. Un numero in una cartella archiviata da qualche parte nel suo modernissimo palazzo di vetro, di cui non gli era nemmeno stato riferito il nome, considerandolo un dettaglio irrilevante. Ma quel viso... Il suo ricordo lo travolse come fosse rimasto nascosto appena sotto la superficie, a sgomitare dentro i confini della sua coscienza.
Per un attimo gli mancò il fiato, mentre Cristobel finiva di sistemarsi, mettendosi il rossetto e controllandosi in uno specchietto per verificare di essere impeccabile.
Alex McGuire. Non era necessario che Janet la annunciasse perché, nonostante fossero passati anni da quando l’aveva vista l’ultima volta, aveva immediatamente abbinato il nome al suo volto. Era alta proprio come la ricordava, l’opposto di Cristobel, e aveva ancora quella grazia vivace e un po’ da maschiaccio che all’epoca gli era sembrata così insolita e affascinante.
Corti capelli scuri, che si era sempre rifiutata di far crescere perché non era quel tipo di ragazza, quella che indossava tacchi a spillo, reggiseno a balconcino, rossetto rosso e abiti aderenti. In effetti non l’aveva mai vista vestita elegante, ma ora lo era, con un sobrio completo grigio, anche se le scarpe erano sempre basse e le unghie sempre corte e non c’era praticamente ombra di trucco sul suo volto.
Alex, nuova arrivata all’impero Cruz, aveva seguito con un certo nervosismo la segretaria del capo lungo l’opulento ultimo piano dell’edificio. Quando l’avevano fatta chiamare dal suo modesto ufficio al primo piano, si era immaginata il peggio. Aveva forse mandato la fattura sbagliata al cliente sbagliato? Digitato male qualche informazione fondamentale? Usato un tono di voce inadatto al telefono? Lei era una piccolissima ruota nell’ingranaggio del dipartimento amministrativo, ma sapeva che nulla sfuggiva al potente Gabriel Cruz e che gli errori non venivano mai lasciati correre. Quel lavoro le serviva. Lo stipendio era molto più alto rispetto a quello che prendeva prima e il pensiero di aver rovinato tutto facendo qualcosa di stupido, qualcosa che richiedeva addirittura un colloquio con il capo in persona, le aveva fatto contorcere lo stomaco e venire i sudori freddi.
Ma poi le avevano detto che era richiesta per le sue conoscenze linguistiche, e si era rilassata. Parlava lo spagnolo fluentemente, aveva fatto in modo di tenerlo allenato, anche se non tornava in Spagna da più di cinque anni. Il signor Cruz aveva bisogno di qualcuno che accompagnasse la fidanzata a fare shopping, perché lui non aveva tempo e l’inglese di lei era piuttosto limitato.
Ora, mentre guardava il leggendario Gabriel Cruz seduto alla sua scrivania, un massiccio tavolo fatto a mano che doveva valere una fortuna, aveva la sensazione che la stanza le girasse intorno. Sentiva la gola secca, mentre il cervello pareva rallentare fino a volersi fermare, e il terrore le mozzò il respiro. Dovette chiudere e aprire gli occhi più volte di fronte all’inaspettata vista di quell’uomo.
Il buonsenso cercò di farsi strada nell’intricato caos dei suoi pensieri, suggerendole che quello non poteva essere il ragazzo che aveva conosciuto anni addietro, perché non si chiamava Gabriel Cruz e non era di certo un megamilionario, ma i suoi occhi le dicevano il contrario.
Dovette fare un respiro profondo per calmarsi. Ma non riusciva a guardarlo. La somiglianza era troppo incredibile. Forse era l’effetto che quel tipo d’uomo aveva su di lei. Il classico latino bello e pericoloso. La sua mente aveva soltanto fatto un ridicolo collegamento, riportandola ai sentimenti provati in passato.
«Allora?» chiese Cristobel in spagnolo, guardando Gabriel. «È questa la ragazza che dovrebbe portarmi a fare shopping?»
Gabriel era tornato in sé. Non era il momento di pensare al passato. «Parla spagnolo. E, come ti ho già detto, io ora non ho proprio tempo.»
«Ma guardala! Come può sapere dove portarmi?»
«Scusi...» li interruppe Alex, schiarendosi la gola e sforzandosi di sorridere. La consideravano forse una pianta ornamentale di cui parlare come se non fosse presente? «Se mi dice quello che sta cercando...» Non riusciva a guardare l’uomo seduto alla scrivania. Certo, la sua immaginazione aveva esagerato, ma desiderava comunque uscire da quell’ufficio al più presto. Se fosse rimasta ancora un po’, avrebbe iniziato a chiedersi cosa sarebbe successo se Gabriel Cruz fosse stato davvero il suo Lucio, e non aveva intenzione di mettersi a fare quel gioco, che rischiava di diventare catastrofico.
«Mi servono dei vestiti» sbottò Cristobel. «Mi servono dei soprammobili. Mi serve anche qualcosa di speciale per Vanya.» Si spostò dietro la scrivania gettando le braccia attorno a Gabriel. «Non credo che questa ragazza sia in grado di aiutarmi. Ha detto a malapena una parola da quando è entrata! Tesoro...» Gli strofinò le labbra sul collo e lui con ferma gentilezza si divincolò dal suo abbraccio. «Non c’è nessun altro qui che parli spagnolo? Mi serve qualcuno che sia sulla mia stessa lunghezza d’onda. Questa non sa nemmeno come vestirsi!»
Alex digrignò i denti. «Chiedo scusa per aver perso la parola...» disse lanciando uno sguardo riluttante verso Gabriel, «ma per un attimo mi ha ricordato una persona che conoscevo, signor Cruz.» Spostò in fretta gli occhi verso Cristobel, che non sembrava vestita per un giro di shopping in pieno inverno. «Tendo a vestirmi in modo comodo, ma so bene dove sono tutti i negozi alla moda.»
«Non cerco quelli alla moda. Voglio i classici.»
«Be’, conosco anche quelli.»
«Immagino che dovrò accontentarmi. Il mio cappotto è nell’armadio.»
Sentendosi come una guardia del corpo, Alex prese il cappotto e seguì la scia imperiosa di Cristobel, ascoltando con un orecchio la lunga lista di cose che la donna voleva fare e contemporaneamente pensando ai fatti propri, perché incontrare il sosia di Lucio aveva aperto la porta ai ricordi che ora aleggiavano nella sua mente, annullando ogni tentativo di controllarli, come fossero un gas velenoso.
Fare l’amore con Lucio, ridere, parlare fino alle prime luci del mattino e poi fare l’amore di nuovo tanto da ritrovarsi esausta al momento di alzarsi per andare a lavorare nelle cucine dove aveva trovato impiego nel suo anno sabbatico, durante il quale aveva imparato a lavorare in hotel mentre ripassava lo spagnolo e si abbronzava.
E, disgraziatamente, si era innamorata. Una diciottenne innamorata dell’uomo più bello sulla faccia della terra.
L’universo maschile non le era estraneo. Aveva quattro fratelli! Sapeva come relazionarsi con loro, parlare di football, di rugby e di macchine. Aveva avuto anche un paio di ragazzi, con cui aveva bevuto birra, ma nulla l’aveva preparata all’incontro con Lucio.
Era tutto ciò che una ragazza potesse sognare: un maschio alfa spagnolo, implacabilmente sexy, con i capelli corvini e gli occhi neri. Non un ragazzo ma un uomo, che aveva preso la sua inesperienza di ragazzina e l’aveva rivoltata da capo a piedi.
Indesiderati ricordi sopiti per cinque anni le avevano fatto compagnia per tutto il giorno e quando Alex tornò alla sua scrivania, sei ore e mezzo dopo essere uscita, era sfinita. Finalmente riuscì a relegare quella fastidiosa processione di ricordi in un angolo nascosto della sua mente, perché doveva assolutamente correre nella sua casetta a West London.
Stava frugando nella borsa in cerca della tessera della metropolitana per evitare l’imbarazzo di doverlo fare al momento, bloccando una fila di agguerriti impiegati che volevano tornare a casa in fretta, quando squillò il telefono e lei automaticamente rispose, incastrando la cornetta sotto il mento per poter continuare la ricerca.
La voce di Gabriel Cruz, quella pronuncia lenta e strascicata con un lieve accento straniero, la bloccò all’istante, facendole impazzire il cuore. Era praticamente riuscita a convincersi che il suo capo non fosse un fantasma del passato. Gabriel Cruz non era mai stato povero, non aveva mai lavorato in un albergo. Aveva sempre avuto montagne di soldi e la sua famiglia doveva avere origini antichissime.
Questo era riuscita a intuire da Cristobel, e l’informazione aveva finalmente messo a tacere i suoi timori, ma udire di nuovo quella voce la riportò indietro nel tempo, in quel piccolo hotel in Spagna.
«Venga nel mio ufficio. Ora.»
«Io... mi dispiace, signor Cruz. Non posso, stavo uscendo. Potremmo vederci domani?»
«Da quanto lavora per me?»
«Tre settimane» rispose con un filo di voce, guardando ansiosa la porta e l’orologio.
«Abbastanza da sapere che non apprezzo i dipendenti che guardano troppo l’orologio. Perché le sia chiaro, il mio non è un invito, ma un ordine.»
«Oggi è andato tutto bene! Credo che la sua fidanzata sia riuscita a trovare quasi tutto quello che cercava...»
«Nel mio ufficio. Le do cinque minuti.» Riattaccò nervoso, infastidito dal fatto di non essere riuscito a togliersi l’immagine di Alex dalla testa.
Si disse che era inutile rimuginare su quello che c’era stato fra loro. Aveva avuto molte donne nella sua vita e relegarle nel passato una volta finita la storia non era mai stato un problema. Perché allora era stato così difficile smettere di pensare a quella in particolare? Forse perché era riapparsa dal nulla cogliendolo alla sprovvista? O forse perché era stata l’unica a non sapere quanto fosse ricco? Non ne aveva idea. Qualunque fosse la risposta, quella donna aveva messo alla prova la sua capacità di concentrarsi. Inoltre, sapeva che pensare a un’altra quando mancavano solo quattro mesi al matrimonio era sconveniente.
Con impazienza, fece tamburellare le dita sulla scrivania. Era venerdì. Erano quasi le cinque e quarantacinque. Aveva fatto andare a casa la segretaria, che solitamente si fermava fino a tardi. Gran parte dei suoi dipendenti era di sicuro già uscita, e i direttori dell’ultimo piano sarebbero rimasti rinchiusi nei loro uffici a stringere accordi fino a quando mogli e compagne irritabili non li avessero richiamati all’ordine. Anche lui avrebbe dovuto lavorare. Ma la sua mente sembrava non voler collaborare e