Per desiderio o per denaro?: Harmony Destiny
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Tristan Thorpe è disposto a tutto pur di impedire alla sua matrigna di ottenere quello che vuole. Lei, per suo padre, è stata la classica moglie-trofeo, bella, sexy e interessata solo ai soldi. Per fermarla, Tristan dovrà scoprire ogni suo segreto. Quello che ancora non sa è che le sue indagini potrebbero diventare molto piccanti.
Bronwyn Jameson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Per desiderio o per denaro? - Bronwyn Jameson
successivo.
1
L'aveva vista in foto e sapeva già che era bella. D'altronde, se un uomo si sceglieva una moglie trofeo, una donna da sfoggiare in pubblico, era normale che la volesse affascinante e desiderabile. Ma Tristan Thorpe non aveva capito fino a che punto fosse sexy, né che impatto avesse sugli uomini, finché non si spalancò la porta della casa colonica nel Connecticut e non gli comparve davanti, in tutta la sua femminile grazia e avvenenza.
Vanessa Thorpe. La vedova di suo padre.
Il nemico.
In ognuna di quelle foto apparse su varie riviste patinate, si mostrava così splendida e impeccabile da sembrare quasi finta. I capelli biondissimi, le labbra piene, la figura minuta ma dalle curve perfette... quanto c'era di naturale in lei?, si era spesso chiesto Tristan, e quanto invece di rifatto, grazie ai soldi di suo padre?
Non aveva mai dubitato, però, dell'autenticità dei gioielli che le adornavano il collo o le orecchie. Sapeva benissimo che non c'era nulla di fasullo in quelli. I diamanti erano annoverati nella sostanziosa lista dei beni di Stuart Thorpe.
Ora, però, trovandosela per la prima volta davanti in carne e ossa, non gli parve di scorgere nulla di artefatto, in realtà. Quello che lo colpì d'impatto furono un paio di incredibili occhi grigio-verdi e uno splendido sorriso, quanto di più naturale e vero potesse offrire il volto di una donna. Più caldo del sole d'agosto che gli rifulgeva alle spalle – adesso che finalmente aveva cessato di piovere – lo abbagliò... e gli accese dentro un desiderio immediato.
Il sussulto ormonale durò però solo un secondo, il tempo che ci mise lo sgomento a raggelare quel sorriso su un paio di labbra perfettamente modellate.
«Tu...»
Uno sguardo di inequivocabile disapprovazione accompagnò quel monosillabo sospirato e, sebbene non si fosse mossa di un centimetro, Tristan la vide ritrarsi nell'espressione. Avrebbe voluto tornare dentro e magari sbattergli la porta in faccia, era palese. E in fondo in fondo, non gli sarebbe dispiaciuto. Sarebbe stato un utile pretesto per sfogare lo stress del lungo viaggio dall'Australia, seguito da un pomeriggio d'inferno trascorso in macchina, imbottigliato nel traffico, sotto la pioggia battente.
Calma e sangue freddo, si impose, da campione di razionalità qual era. «Mi dispiace di averla delusa, madame.» Per sottolineare il fatto che non fosse dispiaciuto affatto, sfoderò un sorrisetto beffardo. «È evidente che aspettavi qualcun altro.»
«Appunto» confermò lei, scostante.
«Uhm.» Tristan inarcò un sopracciglio. «Non eri tu a dire che sarei stato sempre il benvenuto in questa casa?»
Vanessa restrinse lo sguardo. «Non ricordo di...»
«Due anni fa» si affrettò a rinfrescarle la memoria. Dopo la morte del marito, alias suo padre. Dovendo telefonare ai parenti del defunto consorte, che vivevano dall'altra parte del mondo, per informarli del trapasso, perché non sfoggiare un po' di calcolata benevolenza? Che cosa le costava, in fondo, recitare la parte della vedova generosa? Un'ex cameriera in procinto di ereditare una fortuna si poteva pur permettere di apparire magnanima.
Al momento, però, non appariva magnanima affatto. Tutt'altro. Era ostile e fredda. «Che ci fai qui, Tristan? L'udienza è il mese prossimo.»
«Sempre che sia necessaria.»
La sorpresa e il sospetto le incresparono lo sguardo. «Hai cambiato idea? Hai deciso di non impugnare più il testamento?»
«Proprio per niente.»
«E allora che vuoi?»
«Ci sono dei nuovi sviluppi.» Tristan osservò una pausa a effetto, gustandosi il momento. Aveva affrontato un viaggio di ottomila chilometri per quello. Voleva tenerla un po' sulle spine prima di darle il colpo di grazia. «Credo che cambierai idea sul volermi ancora incontrare in tribunale per la data fissata.»
Lei lo scrutò con un'espressione che non rivelava nulla, a parte un evidente senso di fastidio. Alle sue spalle, da qualche parte all'interno della sontuosa magione, squillò un telefono. Tristan la vide distrarsi per un attimo, poi serrare le labbra, prima di parlare.
«Se è un altro dei tuoi tentativi di ostacolare l'esecuzione del testamento di Stuart...» l'ostilità negli occhi e nella voce confermavano il suo pensiero, «... ti prego di rivolgerti al mio avvocato, così come hai fatto per tutti gli altri nuovi sviluppi in questi ultimi due anni. Nulla è cambiato al riguardo. Ora, se vuoi scusarmi...»
Oh, no. Non si sarebbe lasciato liquidare così. Non con quella voce altezzosa, quel piglio arrogante.
Tralasciando, dato il frangente, le buone maniere, Tristan scattò in avanti, oltrepassando la soglia per non farsi chiudere fuori di casa e, per evitare che lei indietreggiasse, l'afferrò per un braccio.
Il contatto con la sua pelle nuda, soffice e vellutata provocò in lui una reazione del tutto inappropriata alle circostanze.
Inoltre, gli parve vagamente di percepire come un singulto nel respiro di lei, un incespicare affannoso. Di spavento, indubbiamente. Non si aspettava che la toccasse.
«Non vorrai chiudermi la porta in faccia.» La voce gli uscì più roca di quanto avesse voluto, una sorta di caldo mormorio baritonale che vibrò nel silenzio teso. In quell'istante si accorse che il telefono aveva smesso di squillare, come se qualcuno dall'interno avesse risposto o chi era dall'altro capo della linea si fosse stufato di insistere e avesse riattaccato. «Sono sicuro che non vuoi che io renda la cosa pubblica.»
«No?»
«Se sei una persona intelligente...» E lo era. Anche se avevano comunicato solo tramite legali, Tristan non aveva mai sottovalutato la sua intelligenza dietro quell'aria da vamp, «... farai in modo anche tu che resti tutto tra me e te.»
I loro occhi brillavano di un'ostilità che era però mista a qualcos'altro. Lo stesso qualcosa che continuava a tenergli i sensi in allerta e gli stringeva le viscere in una morsa di tensione erotica. Lo stesso qualcosa che lo indusse a sciogliere la stretta attorno al suo braccio senza interrompere però il contatto visivo, neanche quando udì un cigolio di suole di gomma contro il pavimento di marmo dirigersi verso di loro.
«Rispondi pure al telefono» le suggerì. «Io posso aspettare.»
La proprietaria delle scarpe da ginnastica si fermò e si schiarì la voce con un colpetto di tosse.
L'attenzione di Tristan si spostò su una donna di mezza età, bassina e dall'aspetto ordinato. Nonostante vestisse in jeans e maglietta, intuì si trattasse della governante, per via del piumino della polvere che le spuntava da sotto il braccio.
«Chiedo scusa» esordì, squadrando Tristan con un'occhiata astiosa che gli fece capire che l'aveva riconosciuto. «C'è Andy al telefono.»
«Grazie, Gloria. Rispondo dallo studio.»
«E il suo... ospite?»
La pausa fu deliberata. Tristan ebbe come la sensazione che, al pari della padrona di casa, anche la governante avrebbe avuto tanta voglia di sbatterlo fuori. E aizzargli i cani contro.
«Accompagnalo in salotto.»
«Non ce n'è bisogno.» Lo sguardo di Tristan si spostò di nuovo su Vanessa. «Ho vissuto in questa casa per dodici anni. Conosco la strada.»
La frase venne palesemente recepita come una secchiata d'acqua gelida dalla giovane vedova, ma non seguì alcun commento. Vanessa inclinò il capo da un lato e, assumendo il ruolo della perfetta padrona di casa, chiese invece: «Gloria ti può portare un tè? Una bibita fresca?».
«Pensi che sia sicuro?» Tristan indirizzò all'ostile governante un'occhiata teatralmente preoccupata.
La donna emise un suono a metà tra un grugnito e una risata. Vanessa, invece, non parve apprezzare la battuta. Le sue labbra si compressero in una linea sottile. «Non ci metto molto.»
«Se è per me, fai pure con comodo. Non ho fretta.»
Lei indugiò un istante, giusto il tempo di puntargli addosso due occhi di un gelo perforante. «Credimi, non lo faccio per te, Tristan.»
Proferita con sdegnosa sufficienza, fu una frase conclusiva, una frecciata, di quelle che gli avrebbero semplicemente strappato una risata, in un altro contesto. Con un altro avversario. Ma quella era Vanessa Thorpe. E aveva per giunta già percorso metà dell'atrio d'ingresso, dove si era fermata per parlare fitto con la governante.
Non riuscì a captare una sola parola, ma quella voce sussurrata ebbe su di lui lo stesso effetto destabilizzante che aveva avuto prima il suo sorriso o che gli aveva provocato il contatto con la pelle nuda del braccio.
Sgranchirsi le dita lo aiutò a sciogliere la tensione. Lasciar scivolare lo sguardo al di sotto delle spalle... decisamente no.
Indossava un abitino dal tessuto leggero, una sorta di prendisole, anche se la sua pelle color latte non sembrava aver mai subito un'esposizione prolungata ai raggi solari. Il tessuto di seta le accarezzava dolcemente le morbide curve. Era un capo elegante, raffinato, molto femminile. Di quelli che non lasciavano indifferente un uomo come lui, che in una donna ammirava la classe e detestava la volgarità.
Sulla porta dello studio, Vanessa diede a Gloria le ultime istruzioni. Per preparargli un tè all'arsenico, suppose.
Lo scricchiolio delle suole di gomma della governante che con passo spedito si allontanava fu per un lungo momento l'unico rumore che si udì. Come se percepisse il suo sguardo su di sé o il cinico bisbiglio dei suoi pensieri, Vanessa piroettò su se stessa. La gonna le frusciò attorno alle gambe, descrivendo una piccola ruota fluttuante e scoprendo un accenno di coscia.
Tristan avvertì un brivido attraversargli le vene.
I loro sguardi si incrociarono e lui vide un singolare bagliore percorrerle il viso fugacemente. Poi, lei si dileguò. Solo dalla stanza, però, non dai suoi sensi.
Accidenti, non doveva provare attrazione per lei. Non era il caso.
Come se non bastasse, le ventisei ore di viaggio dall'aeroporto di Sidney al Connecticut si facevano sentire.
Era stanco, esausto. Si reggeva in piedi solo per effetto dell'adrenalina.
Come poteva fidarsi di qualcosa che provava in quel momento?, concluse. Nel turbine di emozioni scatenate dal suo ritorno a casa? Nel posto in cui era cresciuto, dove si era sentito amato, protetto, al sicuro, per poi, nell'età dell'adolescenza, essere privato di tutti i suoi punti fermi, le sue certezze?
Sai una cosa, tesoro?, gli aveva detto un giorno la mamma. Ce ne andremo tutti e quattro a vivere in Australia. Tu, le tue sorelle e io. Sei contento?
Contento? Si era sentito mancare il terreno da sotto i piedi.
Vent'anni dopo era ritornato e la sua amarezza, il suo risentimento, non erano solo legati a Vanessa.
Rilasciò un prolungato sbuffo d'aria e si costrinse a procedere.
Molte cose erano cambiate in quella casa. I colori, l'arredamento, l'atmosfera. I suoi passi rimbombavano nell'ampio salone d'ingresso, con il soffitto a volta, le pareti dipinte in varie gradazioni di celeste.
Era tutto così