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Attimo dopo attimo
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Attimo dopo attimo
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Attimo dopo attimo

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About this ebook

In sole 24 ore...

Meg dovrà scoprire se il suo amico amante virtuale Alex è simpatico ed eccitante in carne e ossa

almeno quanto lo è attraverso lo schermo di un computer.

Alex dovrà convincere Meg che gli è bastato un solo sguardo, occhi negli occhi, per capire che lei è quella giusta.

Loro dovranno mettersi a nudo senza false inibizioni, perché è l'unica occasione che hanno per conoscersi davvero, dentro e fuori dal letto.

Ora rimane un dubbio da sciogliere: la magia che hanno appena condiviso durerà più di un giorno, anche se speciale come quello di San Valentino?
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2016
ISBN9788858948477
Attimo dopo attimo
Author

Jo Leigh

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Attimo dopo attimo - Jo Leigh

    Evviva!

    1

    Era mezzogiorno in punto quando l'aereo, un bimotore che si era abbassato fin quasi a sfiorare la superficie appena increspata dell'oceano, atterrò sull'isola.

    La vista dall'alto della costa frastagliata e rocciosa e delle acque di un azzurro cristallino, ma anche della vegetazione di un verde intenso nel quale per un istante aveva temuto di andarsi a tuffare l'aveva lasciata senza fiato.

    E già così, Meg aveva lo stomaco serrato dalla paura. Non di volare su quel trabiccolo, certo.

    Lui, in teoria, era già lì.

    Dal giorno del suo compleanno non riusciva a pensare ad altro. Avrebbe incontrato Alex Rosten. Dopo aver chattato con lui per un anno, tra una manciata di secondi lo avrebbe conosciuto in carne e ossa.

    Aspettò che gli altri passeggeri scendessero prima di recuperare il bagaglio a mano dall'apposito comparto sopra il suo sedile. Era tesissima, per quanto si ripetesse che non aveva nessun motivo di agitarsi. Voleva che Alex le piacesse.

    Voleva sentirsi attratta da lui.

    Voleva che le facesse girare la testa.

    D'altro canto, però, non voleva rischiare di perdere un caro amico per la smania di trovarsi un appassionato compagno di letto, perciò doveva restare con i piedi per terra.

    Per una donna il cui unico colpo di testa era stato quello di frequentare la UC Davis invece dell'UCLA, quella vacanza era una vera e propria follia.

    Meg aveva da sempre votato la sua vita al lavoro. Dalla morte del padre, che le aveva lasciato uno studio veterinario a Diamond Canyon, in uno sperduto paesino abbarbicato su una montagna alle spalle di Los Angeles. Lavorava sei giorni alla settimana e il settimo era reperibile.

    Il tempo libero? Praticamente non ne aveva. E gli unici momenti che riusciva a ritagliarsi li passava al computer, a chattare con Alex.

    E se adesso tra loro due la proverbiale scintilla non fosse scoccata?

    Sarebbe stata la fine della loro amicizia? O avrebbero continuato a cercarsi, la sera, e a chattare per ore, chiacchierando di tutto e di niente, parlando e ridendo delle cose più stupide e insignificanti?

    Alex era importante per Meg. Aveva bisogno di lui. Di sapere che se si sentiva sola, se voleva un po' di compagnia, lui era lì, davanti al suo computer, pronto a risponderle la sera, alla fine della ennesima, estenuante giornata di lavoro.

    Era una bella amicizia, a cui Meg teneva moltissimo. Una cosa preziosa che aveva protetto ferocemente, al punto che si era rifiutata di parlargli al telefono. Alex glielo aveva proposto ma lei, per quanto combattuta, aveva deciso che era meglio lasciare le cose come stavano.

    Ora però lo avrebbe incontrato. Questo viaggio, perciò, rischiava di rovinare tutto.

    «Serve aiuto, signorina?»

    Si voltò verso un assistente di volo che le si era avvicinato. «No, grazie. Ho fatto.» Tirò giù il trolley e si avviò verso l'uscita del velivolo.

    Alex sarebbe stato fuori ad attenderla?

    Lo avrebbe riconosciuto?

    E lui avrebbe riconosciuto lei? E come si sarebbero salutati? Con un abbraccio? Un bacio? Una stretta di mano?

    Si scostò i capelli dal viso, trasse un respiro profondo e uscì sulla scaletta. Sbatté più volte le palpebre, accecata dal sole, poi guardò in direzione del drappello di persone che attendeva in piedi, sulla porta posteriore del terminal del piccolo aeroporto.

    No, Alex non c'era.

    Scese adagio i gradini della scaletta e si avviò con passo incerto verso la bassa costruzione che aveva di fronte.

    Forse ci aveva ripensato all'ultimo momento. Era possibile, no? Magari le aveva lasciato un messaggio al desk dell'aeroporto, nel quale le faceva le sue scuse.

    Ma no, che cosa andava a pensare? Solo ieri le aveva mandato una e-mail con tutte le informazioni sul volo da Dulles. Le aveva detto che non vedeva l'ora, che non stava più nella pelle. E non era giusto: perché diavolo non era anche lui in preda a quell'ansia folle che le faceva venire voglia di girarsi e di risalire a bordo dell'aereo per tornarsene subito a Los Angeles?

    D'altronde, ripensandoci, perché Alex avrebbe dovuto essere nervoso? Forse immaginava che in quella breve vacanza prima o poi gli sarebbe andata bene.

    Quello che Meg non capiva era come mai non riusciva anche lei a vedere la situazione in un modo altrettanto spensierato.

    Si era fatto un'idea di Alex. Lo aveva anche visto in fotografia: un bell'uomo, a giudicare da quella che le aveva mandato. Poi ne aveva trovate altre, su Google. Alex in compagnia di politici di spicco, Alex che riceveva premi prestigiosi e svariati riconoscimenti.

    Una persona nota, insomma.

    In nessuna di quelle fotografie sorrideva, però. Tranne che in quella nella quale era ritratto da solo, appoggiato a un muro: aveva un'aria felice. E sfoggiava un sorriso appena accennato. Meg aveva ammirato i suoi occhi espressivi e i suoi folti capelli scuri.

    Per il resto, di Alex Rosten Meg sapeva già tante cose: che aveva uno spiccato senso dell'umorismo, che era brillante e gentile. Avrebbe dovuto sentirsi elettrizzata, non in preda a quella sorta di panico.

    Se solo non fosse stata così aperta con lui, se non gli avesse rivelato tutti i suoi segreti!

    Avrebbe dovuto uscire all'aperto. Invece continuava a girare in tondo sotto il grande orologio che sormontava le porte automatiche del terminal.

    L'aereo era atterrato e sapeva che lei era lì fuori, perciò che cosa aspettava?

    Si stava comportando come un idiota.

    A trentatré anni suonati, Alex Rosten aveva accettato una infinità di appuntamenti al buio e non si era mai sentito così agitato.

    Certo, questa situazione era diversa.

    Meg gli piaceva un sacco, molto di più di tutte le altre ragazze che aveva frequentato, ma non l'aveva mai incontrata. Ci aveva solo parlato via Internet.

    Craig, un suo amico, aveva conosciuto una ragazza più o meno nello stesso modo. Avevano chattato per tre mesi. Lei viveva a Bruxelles e Craig, credendosi innamorato pazzo, le aveva pagato tutte le spese per farla trasferire in America.

    Era stata una catastrofe.

    Era saltato fuori che lei gli aveva propinato un sacco di frottole, inventandosi tutto di sé, tranne il nome.

    Se anche con Meg fosse stato un fallimento, Alex ci sarebbe rimasto malissimo. E non solo perché avrebbe dovuto passare del tempo insieme a quella donna, ma perché, nonostante tutto, si era fatto delle illusioni sul suo conto.

    E questo era sempre un errore.

    Quando da una persona non ti aspetti niente, non può deluderti. Era una lezione che aveva assimilato da tempo. Lavorando a Washington, Alex aveva imparato a non sottovalutare la capacità di mentire del genere umano. Dietro un ampio sorriso e una stretta di mano può sempre nascondersi una serpe infida.

    Ora però non voleva pensare a Washington.

    Aveva già passato buona parte della giornata a rimuginare, a chiedersi come avrebbe reagito la stampa al primo dei suoi tre ultimi articoli. Sarebbe stato pubblicato quella mattina. E che cosa sarebbe successo? Il suo direttore lo avrebbe relegato in ultima pagina, sperando che passasse inosservato, o sarebbe comunque scoppiato uno scandalo tale da far aprire un'inchiesta governativa che avrebbe trascinato nel fango decine e decine di politici?

    Ma sì, al diavolo!

    «Che me ne importa, poi» borbottò tra sé e sé, facendo sussultare la ragazza che gli si era materializzata davanti.

    Le sorrise. E la mise meglio a fuoco.

    Era Meg.

    Ed era assolutamente perfetta!

    Meg chiuse gli occhi e li riaprì. Era lui! Lo squadrò a lungo, trovandolo ancora più bello di come lo avesse immaginato. Più alto. Più affascinante. Nei suoi occhi vide balenare un lampo di piacere. «Però!»

    «Mi hai tolto la parola di bocca.»

    Lui rise e fece un passo avanti, annientando la distanza che li separava. «Molto lieto, Meg.»

    «Il piacere è tutto mio, Alex.»

    Lui si soffermò a studiarla con attenzione. Partì dal viso, sul quale indugiò per diversi istanti, quindi scese ad avvolgerle il corpo in una lenta carezza. Meg indossava una semplice polo senza maniche verde mela a cui aveva abbinato un paio di pinocchietti chiari e scarpe di tela. Un abbigliamento pratico e fresco, in vista del lungo volo.

    Lei si scostò dal viso i capelli che aveva lasciato sciolti e si pentì di non averli spazzolati: forse avrebbe dovuto anche ritoccarsi il rossetto, ma non aveva pensato nemmeno a quello.

    Quando lo sguardo di Alex tornò a sollevarsi sul suo viso, le sue labbra si allargarono in un sorriso sensuale.

    Doveva sfiorare il metro e novanta di statura. Sopra un paio di jeans sdruciti aveva infilato una camicia giallina, le cui maniche erano arrotolate sulle braccia appena ricoperte di peluria scura. Non era abbottonata del tutto, perciò si intravedeva anche un interessante scorcio del petto. Meg desiderò introdurvi una mano, per lasciarla scorrere su quel torace che immaginava ampio e muscoloso.

    Rise, pensando che si trovava su un'isola dei tropici con un uomo che vedeva per la prima volta e con il quale desiderava già rotolarsi tra le lenzuola.

    Rise anche Alex. «Non ci sono altri voli fino a domattina, perciò è troppo tardi per tornare indietro.»

    «E chi ha detto che voglio tornare indietro?»

    «Bene. Facciamo un giro dell'isola?»

    «Perché no?» rispose Meg con un sorriso più rilassato.

    Gli occhi di Alex si addolcirono, ma non smisero di scintillare. E il sorriso che le aveva rivolto fino a un attimo prima cambiò, dando a tutto il suo viso un'espressione più intensa che inviò a Meg un chiaro messaggio: nessuno dei due, quella notte, sarebbe stato costretto a dormire sul soppalco.

    2

    Charlie Hanover lasciò la copia del Post sulla scrivania e roteò su se stesso insieme alla sua poltrona di morbida nappa nera.

    La finestra del suo ufficio si affacciava sul Washington Monument: una vista spettacolare. Quando nevicava, come quel pomeriggio, gli capitava spesso di starsene a lungo seduto lì, a godersi lo spettacolo di quei turbinanti fiocchi bianchi e a lasciar vagare i pensieri.

    Alex Rosten si era scavato la fossa con le sue mani.

    Sorrise, gongolante. Rosten era stato la sua spina nel fianco fin dai tempi dell'università: poteva continuare a negare all'infinito, ma Charlie era sicurissimo che fosse stato lui a mettere in giro quelle voci su un suo presunto plagio quando tutti e due erano in lizza per il Balakian Award... che poi si era aggiudicato Alex, guarda caso.

    Dopo di allora, Rosten aveva continuato a mettergli i bastoni tra le ruote. Tutti e due si erano presentati al Post in cerca di un incarico, e ancora una volta era stato Alex ad avere la meglio. Ma ora che Charlie era il corrispondente a Washington per il New York Times, finalmente poteva metterlo in ginocchio. Anche se, con quell'articolo andato in stampa quella mattina, Alex si era puntato una pistola alla tempia e aveva premuto il grilletto.

    Come giornalista era finito. Si era giocato tutte le sue fonti, sia nella capitale sia altrove.

    Riprese il quotidiano e rilesse attentamente il pezzo. Quello nel quale Alex si batteva una mano sul petto ammettendo il suo errore. Ora vuotava il sacco, raccontando tutta la verità sulla festa di compleanno organizzata dal senatore Allen due anni prima: un'oscena ostentazione di ricchezza, con fiumi di champagne d'annata, caviale Beluga e persino uno spettacolino stile Lido di Parigi, con ballerine vestite di piume e lustrini. Il tutto per la modica spesa di due milioni di dollari, prelevati quasi del tutto dalle tasche degli ignari contribuenti.

    Quest'ultimo dettaglio non era stato mai rivelato, sebbene alla festa avesse gozzovigliato un nutrito gruppetto di rappresentanti della stampa.

    C'era andato anche Charlie, a quella festa. Si era dato alla pazza gioia. E dalle conversazioni carpite qua e là, in quell'occasione, aveva tirato fuori una dozzina di articoletti interessanti. Anche lui sapeva, e aveva taciuto senza farsi il minimo scrupolo. Era un piccolo prezzo da pagare per poter continuare a fare il suo lavoro.

    A Washington le cose funzionavano così. Così era sempre stato e a tutti andava bene che continuassero ad andare così.

    Alex, invece, improvvisamente veniva preso da un attacco di rimorsi e si diceva pentito di non aver informato l'opinione pubblica di quella indebita appropriazione di pubblico denaro. Ammetteva di aver nutrito qualche sospetto, all'epoca, sulla provenienza di quei soldi, ma di non aver indagato come avrebbe dovuto, perché anche lui, come Charlie, durante la serata aveva avuto delle interessanti soffiate a cui ispirarsi per il suo lavoro.

    Informazioni, soffiate, voci di corridoio: erano merce di indubbio valore a Capitol Hill. L'unica valuta che non perdesse mai potere di scambio.

    Alex concludeva l'articolo dicendo che non intendeva più continuare così: si appellava all'etica della sua professione, che gli imponeva di non nascondere mai niente al pubblico. Un sentimento nobilissimo. Ma così non avrebbe fatto strada, perché le regole del gioco, a Washington, erano diverse: nella capitale, il potere era tutto. E nessun cuore trafitto dai rimorsi avrebbe cambiato questo stato di cose.

    Il giornale venne di nuovo posato mentre Stephanie, la segretaria di Charlie, entrava nell'ufficio. «Che cosa c'è?»

    «Alex Rosten è partito» annunciò Stephanie. «È partito per una breve vacanza.»

    «Beato lui. Dov'è andato di bello?»

    «Questo ti costerà parecchio. Ho dovuto promettere di andare a cena con quel vecchio bavoso del Post per riuscire a saperlo.»

    «Due sabati liberi di fila ti bastano?»

    «Facciamo tre.»

    «Affare fatto. Allora?»

    «La destinazione è un isolotto dei Caraibi, un villaggio turistico che si chiama Escapades. E, prima che tu me lo chieda, ho già controllato: non ci sono altre camere libere.»

    «Hai detto Escapades? Allora non c'è problema. So come fare ad arrivarci. Portami tutto quello che abbiamo su Rosten. E fai alla svelta: devo essere sul primo aereo in partenza per i Caraibi entro tre ore al massimo.»

    «Sissignore.»

    Charlie si voltò verso il computer e aprì il suo database. Un suo amico conosceva il proprietario di quello che aveva sentito decantare come un villaggio turistico tra i più esclusivi e cari di tutto il pianeta, ed era un amico che gli doveva un grosso favore.

    È così che funzionano le cose a Washington, Rosten, pensò, sogghignando con perfidia. Basta fare un favore a un amico. E prima o poi lui lo ricambierà.

    Caricarono i bagagli di Meg su un golf cart e fecero un ampio giro dell'isola, che era molto più grande di quanto potesse sembrare.

    Sul lato da cui partirono, quello su cui si trovava anche il minuscolo aeroporto, sorgeva il villaggio turistico vero e proprio: oltrepassarono un sontuoso ed elegante hotel, intorno al quale

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