Tropico del cuore: Harmony Collezione
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Sharon Kendrick
Autrice inglese, ama le giornate simili ai romanzi che scrive, cioè ricche di colpi di scena.
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Tropico del cuore - Sharon Kendrick
successivo.
1
L'uomo non parlava molto, ma forse era meglio così. Non c'era niente di peggio di un autista chiacchierone.
Keri si adagiò sui morbidi sedili in pelle della lussuosa macchina e fissò le spalle possenti del giovane alla guida davanti a lei. No, decisamente non era un tipo espansivo, sembrava piuttosto riservato e taciturno. Le aveva rivolto poco più che un cenno quando l'aveva fatta salire all'aeroporto di Londra quella mattina presto.
Rabbrividì. Fuori i fiocchi di neve continuavano a cadere grossi e soffici, sfarfallavano nell'aria e si attaccavano come tenaci coriandoli alla carrozzeria.
Si tirò su il collo del montone e vi si strinse rabbrividendo. «Brrr! Potrebbe alzare un po' il riscaldamento? Sono gelata.»
Con gli occhi fissi sulla strada, Jay fece scattare un pulsante. «Certo.»
«E le dispiacerebbe premere sull'acceleratore? Vorrei arrivare a Londra il prima possibile.»
«Farò del mio meglio» rispose lui imperturbabile.
Avrebbe guidato alla velocità richiesta dalle condizioni atmosferiche, né più né meno. Il suo viso era nascosto, mentre lanciava un'occhiata allo specchietto retrovisore e osservava la modella che si sfilava un paio di guanti foderati di pelliccia dalle lunghe dita affusolate. Se Keri avesse potuto vederlo, si sarebbe accorta che le sue richieste avevano provocato un inequivocabile sguardo d'irritazione. Naturalmente non si sarebbe certo preoccupata per questo, dato che era solo un autista assunto per soddisfare ogni suo capriccio e tenere d'occhio la collana di diamanti d'inestimabile valore che lei aveva dovuto indossare in uno dei pomeriggi più gelidi dell'anno.
Jay era rimasto a osservare mentre stilista, fotografi e assistenti vari si erano affannati attorno alla giovane e aveva notato il suo sguardo compiaciuto, assente, quasi annoiato mentre li lasciava fare. Anche lui si era abbastanza annoiato, a dire la verità. Assistere al servizio pubblicitario di una rivista sembrava richiedere una quantità esagerata di tempo, molto più di quanto avesse mai pensato.
Gli sembrava pura pazzia che una donna acconsentisse a indossare un impalpabile abito da sera all'aperto in una giornata così gelida. Sicuramente avrebbero potuto ricreare una scena invernale dentro il calore e il comfort di uno studio e rendere così il suo lavoro più facile, ma poi aveva visto le istantanee e aveva capito. Davanti all'obiettivo la ragazza diventava incredibilmente viva. Lui aveva emesso un lungo sibilo basso e l'assistente del fotografo gli aveva lanciato un sorriso.
«È bellissima, non è vero?»
Jay l'aveva studiata. Certo, era una donna stupenda, proprio come i diamanti, se ti piacciono, e personalmente lui non li amava. Incorniciato da una cascata di capelli neri, aveva un viso diafano dall'ovale perfetto e occhi scuri come i rami degli alberi in autunno. Le sue labbra erano piene e rosse, dipinte di un colore simile al rubino, e si schiudevano provocanti. Il leggero abito argenteo aderiva al suo corpo, sottolineando i seni ben fatti e le curve perfette.
Ma sembrava essere stata forgiata nel ghiaccio o nella creta, troppo perfetta per essere vera, e quasi irreale. Se l'avessero punta, avrebbe sanguinato? Se avesse fatto l'amore, si sarebbe lasciata prendere dalla passione o avrebbe pensato solo a lisciarsi quei capelli perfetti e li avrebbe scostati dietro alle spalle?
«Non è male» aveva risposto e l'assistente gli aveva fatto un altro sorriso d'intesa.
«So cosa intendi.» Si era stretto nelle spalle. «Non solo è troppo su per la nostra categoria, diciamo che probabilmente non considera nemmeno quelli come noi!»
Jay aveva annuito e si era voltato senza preoccuparsi di correggerlo. Doveva ancora arrivare il giorno in cui avrebbe considerato una donna fuori dalla sua portata. Comunque lui era lì solo per eseguire un lavoro che non gli sarebbe nemmeno spettato, e se ne sarebbe andato appena possibile. Quella sera aveva un appuntamento con una bionda da sogno e un leggero sorriso di anticipazione gli apparve sulle labbra.
«Quanto tempo pensa che ci metteremo?»
La voce della modella irruppe nei suoi pensieri concentrati ormai sulla serata che lo attendeva.
«Quanto tempo per cosa?» chiese.
Keri sospirò. Era stata una giornata davvero molto faticosa e niente le avrebbe fatto più piacere che tornarsene a casa, farsi un lungo bagno caldo e poi raggomitolarsi sul divano al calduccio con un bel libro. Invece aveva un appuntamento con David. Non che le dispiacesse uscire a cena con lui, la sua compagnia era sempre gradevole anche se era innegabile che non era il tipo d'uomo che la facesse impazzire. Lui lo sapeva e sembrava non preoccuparsene affatto, ma Keri sospettava che stesse dandosi da fare per farle cambiare idea. Naturalmente sarebbe stato tutto inutile perché lei lo considerava solo alla stregua di un caro amico, e tale sarebbe rimasto. Gli amanti, almeno nella sua limitata esperienza, tendevano a divenire delle vere e proprie scocciature.
«Le stavo chiedendo quanto ci vorrà a tornare a Londra.»
Jay si concentrò sulla strada davanti a lui. La neve stava cadendo più fitta ora, i fiocchi scendevano vorticando e il cielo era così grigio che era impossibile distinguere dove iniziava la strada. Mentre passavano, gli alberi sembravano spuntare dal nulla, con un aspetto così sinistro e scheletrico da far rabbrividire.
Per un attimo fu tentato di risponderle che se lei non avesse perso tutto quel tempo, a quell'ora sarebbero stati già a buon punto, ma non lo fece. Non era compito suo dare pareri, così dovette ricorrere a un po' di autocontrollo.
«Difficile dirlo» mormorò. «Dipende.»
«Da cosa?» Quell'aria distaccata di sufficienza la stava irritando. Che genere di autista era se non sapeva nemmeno prevedere un'ora di arrivo?
Lui avvertì la nota di leggera impazienza nella sua voce e sorrise. Aveva dimenticato cosa significasse essere obbligato a dare retta alla gente che ti dice cosa devi fare, ti fa domande e si aspetta che tu obbedisca come una specie di automa.
«Da quanto peggiorerà questa nevicata» rispose, improvvisamente preoccupato nel sentire lo sdrucciolio insidioso delle ruote anteriori. Rallentò.
Keri guardava fuori dal finestrino, imbronciata. «A me non sembra così terribile» osservò bruscamente.
«Trova? Se lo dice lei, d'accordo.»
Aveva un vago accento americano e lei ebbe l'impressione di avere percepito una nota di scherno nel suo tono. Fissò guardinga le sue grandi spalle immobili. Che si stese prendendo gioco di lei?
Attraverso la fitta frangia scura che gli ricadeva sugli occhi, Jay riuscì a scorgere l'espressione leggermente corrucciata che era comparsa su quel viso perfetto. «Le fa piacere se accendo la radio?» chiese, con la stessa delicatezza che avrebbe usato verso una zia zitella che rischiava di diventare stizzosa.
La stava facendo sentire a disagio e non riusciva a capire perché. «A dire la verità» rispose cauta, «quello che mi farebbe davvero piacere è dormire un po', quindi se non le dispiace...»
«Certo. Non c'è problema.» Lui trattenne un sorriso, ma subito la sua espressione cambiò mentre alla luce del crepuscolo si rese conto che i fiocchi di neve si erano tramutati in piccoli proiettili ghiacciati. Il vento arrivava a raffiche ora, e turbini bianchi simili a sciami di api impazzite li circondavano.
Guardò di nuovo nello specchietto. Lei si era addormentata con la testa appoggiata all'indietro e i capelli sparsi attorno. Lo spacco nella gonna lasciava intravedere le sue lunghe gambe snelle abbandonate nel sonno. Deliberatamente, Jay distolse lo sguardo da quello spettacolo e dai pensieri proibiti che gli scatenava. Quel viaggio si stava preannunciando molto più lungo e complicato di quanto previsto, ed era molto meglio che quella donna dormisse anziché distrarlo con le sue inutili domande.
Le strade sembravano essere divenute di colpo più strette e precarie, la neve cadeva ancora più fitta ora, e insieme all'oscurità della sera calava anche la visuale. La macchina iniziò a sbandare pericolosamente incontrando i primi cumuli, e le ruote slittarono. Lui aveva intuito già da un po' che le cose si sarebbero messe male, glielo aveva suggerito l'istinto insieme all'esperienza che aveva acquisito in varie occasioni vivendo in condizioni ai limiti della sopravvivenza.
I tergicristalli andavano al massimo, eppure sembrava sempre di guardare in un abisso di ghiaccio. La strada degradava leggermente, e una pendenza era una buona cosa. I pendii scendono verso le valli e qui di solito ci sono persone e abitazioni che significano rifugio. Aveva il sospetto che molto presto avrebbero dovuto cercarsi un riparo, ma quella sembrava solo una campagna desolata, ancora intatta. Probabilmente qualcuno l'avrebbe scelta per la sua bellezza e la sua completa solitudine.
Accese un attimo la luce interna per dare un'occhiata alla cartina, proprio mentre passavano davanti alla sagoma scura di una costruzione. Poco dopo, Jay si rese conto di non avere scelta e frenò bruscamente.
Il sobbalzo della macchina svegliò Keri che aprì gli occhi, persa in quel tiepido limbo tra il sonno e la veglia. Sbadigliò. «Dove siamo?» chiese assonnata.
«Nel mezzo di niente» rispose lui bruscamente. «Dia un'occhiata lei stessa.»
Il suono di quella profonda voce mascolina la riscosse dal suo torpore e per un momento la fece sussultare, finché si rese conto di dov'erano. Guardò fuori dal finestrino e trasalì. Quell'uomo non stava scherzando. Mentre dormiva il paesaggio innevato si era trasformato, divenendo irriconoscibile. La notte era scesa di colpo e con essa tutta quella neve. Ogni cosa era bianca e nera, come il negativo di una fotografia, e sarebbe anche stato bello se non fosse sembrato così minaccioso, perché loro si trovavano nel bel mezzo di tutto questo. Del nulla, come aveva detto lui. «Perché ci siamo fermati?» chiese.
Perché pensi che mi sia fermato? «Perché la tempesta è fortissima.»
«Lo vedo, ma quanto impiegheremo a tornare?»
Jay lanciò un'altra occhiata fuori e poi guardò nello specchietto quel bel viso perplesso. Era chiaro che lei non aveva idea di quanto le cose si fossero messe male. Toccava a lui farglielo capire. Gentilmente.
«Se continua così, non c'è assolutamente modo di arrivare da nessuna parte, almeno non stasera. Saremo fortunati se riusciremo ad arrivare al villaggio più vicino» le spiegò.
Sembrava di essere sulla scena di un film dell'orrore. «Ma io non voglio andare in nessun villaggio!» esclamò lei. «Io voglio tornare a casa!»
Io voglio. Io voglio. Sicuramente una donna come quella passava tutto il suo tempo facendo esattamente ciò che voleva, ma non quella sera. «È quello che desideriamo entrambi, tesoro» dichiarò lui truce, «e io farò quello che posso, ma...»
A denti stretti, Keri lasciò perdere quel tesoro. Non era il momento di fargli notare che si stava prendendo troppa confidenza. «Non può continuare a guidare?»
Lui premette con cautela sull'acceleratore, poi sollevò il piede. «No. Siamo bloccati.»
La ragazza si tirò su a sedere. «Cosa intende dire?»
Cosa diavolo pensa che intenda dire? «Come ho detto, siamo bloccati. Ci sono dei cumuli di neve sulla strada e sono ricoperti di ghiaccio.