Dalla Russia... con passione: Harmony Destiny
By Jill Shalvis
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Jill Shalvis
JILL SHALVIS è una scrittrice che ha fatto del rosa malizioso e seducente la sua bandiera. Donna eclettica e vivace, sa dimostrarlo pienamente in ogni suo libro.
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Dalla Russia... con passione - Jill Shalvis
successivo.
1
Non avrebbe mai dimenticato l'istante in cui la vide per la prima volta. Era entrata nel bar dell'albergo come se il luogo le appartenesse e, nonostante il caos che vi regnava, l'attenzione di Mike Wright si spostò immediatamente su di lei, come attratta da un richiamo inspiegabile.
I particolari di quel preciso momento furono registrati dalla sua mente in maniera indelebile. Dal violento temporale che imperversava oltre le finestre appannate, alla luce elettrica che a tratti si dissolveva a causa dei fulmini; dalla voce roca di Bruce Springsteen che faceva vibrare le casse appese alle pareti, all'eco assordante della gente che parlava animatamente.
Lui, però, rimase in silenzio. Seduto al banco, stava meditando con una certa apprensione sul motivo che lo aveva spinto a Huntsville, in Alabama, dove era stato chiamato a sostituire il primo pilota di una missione spaziale che si era infortunato durante un addestramento. Anche il secondo pilota era stato messo fuori gioco da una leggera forma di epatite. Una serie di eventi concatenati che avevano spinto i suoi superiori a richiamarlo dalla Russia, dove stava lavorando per la NASA, alla Stazione Spaziale Internazionale di quel paese.
Era stato così che, da seconda riserva, si era ritrovato improvvisamente a essere primo pilota di una navicella spaziale. Adesso lo attendevano quattro mesi di addestramento intenso, prima del lancio.
Mike era innamorato del suo lavoro di astronauta e non avrebbe potuto vivere senza quei picchi di adrenalina che ne erano parte. Ma adorava anche le donne e quando, quella sera, lei mise piede nel locale, il temporale, la gente, il rumore e i suoi pensieri svanirono nel nulla.
Era fradicia per la pioggia. I capelli scurissimi le aderivano alla testa e i vestiti le stavano appiccicati come una seconda pelle, ma nulla in lei faceva pensare a una povera vittima dell'inclemenza del tempo. Al contrario, il suo portamento altero, il fuoco e la collera che i suoi occhi sprigionavano, la linea decisa delle labbra serrate, la facevano assomigliare a un angelo vendicatore.
Mike la osservò mentre si faceva strada tra la folla, notando la facilità con la quale, malgrado la sua modesta statura, riuscisse a far scostare la gente per poter passare. Forse perché era una donna in un ambiente affollato di uomini, ma lui era più incline a credere che fosse il suo sguardo di ghiaccio ad avere quell'effetto.
Aveva raggiunto il banco e per pura coincidenza si era fermata accanto a Mike.
«Qualcosa di molto caldo» ordinò al barista appoggiando una mano sul banco, come per reclamare uno spazio che in realtà non c'era. Guardò da entrambi i lati, prima a destra, poi a sinistra, in attesa che qualcuno si alzasse per cederle il posto.
Nascondendo un sorriso divertito, fu Mike a farlo prima di altri. «Prego» disse indicando il suo sgabello con un gesto del braccio.
«Grazie.»
Lasciando cadere a terra il borsone di pelle che teneva in mano, si sedette scuotendo i capelli e passandovi una mano per portarli dietro le orecchie. Quando il barista le servì quello che sembrava essere un Irish coffee, lei annuì con un gesto regale e portò il bicchiere di vetro alle labbra. Poi, sospirò e rilassò le spalle come se fosse riuscita a liberarsi da un peso opprimente.
Solo allora sembrò rendersi conto che Mike era rimasto in piedi accanto a lei. L'espressione dei suoi occhi così intensamente azzurri era distaccata e critica, in netto contrasto con il suo corpo bagnato e incredibilmente sexy.
«Niente cappotto?» domandò lui con un sorriso impertinente, riferendosi al fatto che indossava solo una camicia nera a maniche lunghe e una gonna dello stesso colore. Erano talmente bagnate che non avrebbero potuto aderirle di più neppure se le fossero state dipinte addosso e quello che sarebbe dovuto essere un abbigliamento serio e professionale, appariva erotico su un corpo strepitoso come quello di quella donna.
«Me lo hanno rubato all'aeroporto» rispose lei con una smorfia. «Una giornata da dimenticare» aggiunse con uno squisito moto di stizza.
Anche lei una forestiera, pensò lui, notando che non aveva l'accento cantilenante della gente del sud.
«E come se non bastasse, è stata sorpresa dal temporale.»
«Già. Io che odio le sorprese.»
Come lo sguardo, anche la voce era intrigante. Bassa e leggermente roca, creava un contrasto irresistibile con le sue curve femminili. Quella donna era una miscela esplosiva di fuoco e di ghiaccio, un concentrato di sensualità che poteva essere fatale a qualsiasi uomo.
Sebbene avesse programmato di bere una birra e poi ritirarsi subito in camera sua per prepararsi ad affrontare una settimana particolarmente impegnativa, Mike non si mosse da dove si trovava e quando il ragazzo accanto a lui liberò uno sgabello, non indugiò a prendere il suo posto.
«Non si dia da fare» disse la donna senza guardarlo, mentre sorseggiava la sua bevanda calda.
«Per che cosa?» chiese Mike perplesso.
«Per portarmi a letto.»
Lui rise. Quella donna non era soltanto sexy e bella, ma anche divertente. Una perla rara. «E perché dovrei farlo?» domandò con tono innocente, anche se in realtà, non riusciva a pensare ad altro.
«Perché? Forse perché ho qualche curva? Non saprei dire» replicò lei stringendosi nelle spalle. «Credo si tratti di un disordine genetico prettamente maschile.»
Mike rise di nuovo. «Sta forse insinuando che non sono in grado di controllare le mie pulsioni?»
Con l'accenno di un sorriso sulle labbra, finalmente lei lo guardò. «Proprio così. In quanto uomo, lei è schiavo impotente dei desideri del suo corpo.»
«Be', la ringrazio del chiarimento.» Mike piegò appena la testa e fissò lo sguardo su di lei. Si stava riscaldando, senza dubbio grazie al drink, pensò ironicamente. Aveva le guance più colorite e quando la vide incrociare le gambe una sull'altra, gambe splendide e ben tornite, notò che la gonna si stava asciugando.
«Se devo essere sincero, non avevo pensato di sedurla» disse cogliendo l'occhiata dubbiosa che lei gli lanciò. «Davvero. Quando è arrivata, stavo per andare in camera mia a leggere del materiale di lavoro.»
«Non lasci che sia io a trattenerla.»
Ma era esattamente quello che stava facendo. Quella donna riusciva a inchiodarlo allo sgabello sul quale era seduto. E non era soltanto perché i capezzoli le premevano contro il tessuto della camicia o perché la gonna le fasciava i fianchi perfettamente modellati. Non era soltanto perché il suo profumo lo inebriava o perché sapeva per istinto che la sua pelle sarebbe stata morbida e vellutata a contatto con le proprie mani e la propria bocca. C'era dell'altro, qualcosa che non riusciva bene a definire, ma che lo stregava e gli impediva di distogliere lo sguardo da lei.
Chissà, magari era l'effetto che gli faceva essere tornato in patria dopo tanto tempo, anche se ormai non sapeva più quale luogo chiamare casa. Aveva quattro fratelli ai quali era molto legato, ma erano anche loro sparpagliati per il mondo in missioni speciali. Così come lo era il padre. La madre, russa di nascita, era mancata quando Mike era ancora un bambino, ed era stato probabilmente per capire le proprie origini che subito dopo il periodo di addestramento nell'aeronautica militare, aveva accettato un incarico presso la Stazione Spaziale Internazionale in Russia.
Il bagliore improvviso di un fulmine più intenso di altri illuminò l'interno del bar, riducendo, per un istante, tutti al silenzio. L'eco del tuono che seguì quel bagliore provocò un altro momento di quiete perplessa, ma subito dopo la stanza ritrovò il suo fermento sonoro.
La donna che gli sedeva accanto spinse lontano il bicchiere e sospirò. «Bene. È ora di tornare al lavoro» disse stringendosi le braccia al petto per spegnere un brivido di freddo.
Già, anche lui avrebbe dovuto lavorare. Si era riproposto di leggere i rapporti che gli erano stati consegnati quel giorno riguardo all'equipaggio che già si stava addestrando da oltre un anno. Voleva sapere qualcosa di più sui colleghi con i quali avrebbe trascorso gran parte del suo tempo, lavorando con loro fino al giorno del lancio.
«Deve tornare al lavoro a quest'ora?» chiese sfilandosi la giacca per avvolgerla attorno alle spalle della donna. «Di cosa si occupa?»
Con un semplice sguardo di ghiaccio, lei gli ordinò di togliere le mani che ancora indugiavano sulle sue spalle. «Grazie» disse stringendosi la giacca al petto. «Devo leggere dei documenti prima di domattina. Ma non mi va di parlare del mio lavoro.»
«Come preferisce.»
«Bene.»
«Le va almeno di dirmi il suo nome?»
«No, non è la serata» sentenziò, senza però accennare ad alzarsi per andarsene. «Non voglio parlare del mio lavoro e neppure della mia vita, né di politica o di cronaca.» Sollevò quei suoi incredibili occhi azzurri e li fissò sul viso di Mike. «Adesso vuole ancora conversare con me o l'ho fatta spaventare?»
C'era ben più di un indizio