L offerta del greco: Harmony Collezione
By Emma Darcy
5/5
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About this ebook
Le riviste di gossip sono zeppe di foto che ritraggono Ari Zavros abbracciato alle più belle modelle del mondo. Christina Savalas non ha nulla a che spartire con loro, ma nonostante ciò quattro anni prima ha avuto un'infuocata relazione con lui, e ora è l'unica donna al mondo ad avere nelle proprie mani il destino del ricco magnate greco. C'è solo un modo, adesso, perché le cose possano sistemarsi. Ari lo sa, e lo saprà presto anche Tina.
Emma Darcy
La vita di Emma Darcy è stata caratterizzata da tanti colpi di scena, esattamente come succede ai protagonisti dei suoi romanzi. Nata in Australia, al momento abita in una bella fattoria nel Galles.
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L offerta del greco - Emma Darcy
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
An Offer She Can’t Refuse
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2012 Emma Darcy
Traduzione di Sonia Indinimeo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-021-6
1
«Sembra una vela grandissima, mamma» disse Theo impressionato, guardando il palazzo più famoso di Dubai, il Burj Al Arab, l’unico hotel a sette stelle del mondo.
Tina Savalas sorrise al suo bellissimo bambino di cinque anni. «Sì, è vero, tesoro.»
La grande e luccicante struttura bianca, costruita su un’isola artificiale in mezzo al mare, aveva proprio la gloriosa eleganza di una vela gonfiata dal vento. Tina era curiosa di vedere l’interno. Sua sorella Cassandra aveva detto che era da mille e una notte, così aveva deciso di visitarlo, approfittando dello scalo previsto a Dubai durante il viaggio dall’Australia ad Atene.
Pensare di alloggiare lì era fuori discussione. Costa-va migliaia di dollari a notte, un prezzo accessibile so-lo a qualche riccone. Come il padre di Theo.
Era sicura che quando lui era tornato in Grecia, lasciandosi alle spalle la loro breve, intensa relazione, aveva alloggiato proprio lì, in una suite da fiaba.
Tina scacciò quel pensiero fastidioso. Restare incin-ta di Ari Zavros era stato un suo stupido errore. Era stata una sciocca a credere che Ari l’amasse, nello stesso modo in cui lo amava lei. Un’assurda fantasia... Ma d’altra parte, come poteva dispiacersi di avere avuto Theo? Era il bambino più adorabile del mondo e, di tanto in tanto, l’idea che Ari non sapesse nemmeno della sua esistenza le dava una segreta soddisfazione.
Il taxi si fermò davanti al cancello, per i controlli di sicurezza. L’accesso era consentito solo agli ospiti paganti dell’hotel e la madre di Tina mostrò alla guardia la prenotazione per la degustazione di tè del pomeriggio. Anche quella piccola soddisfazione era costata una fortuna. Centosettanta dollari a testa non erano uno scherzo, ma avevano deciso che, almeno una volta nella vita, si potevano concedere un assaggio di lusso.
L’addetto alla sicurezza fece un cenno al tassista che si rimise in marcia lentamente verso l’ingresso, per-mettendo ai suoi passeggeri di godersi la vista.
«Guarda mamma! Un cammello!» gridò Theo, ri-conoscendo l’animale su un vialetto laterale.
«Sì, ma non è vero, Theo. È una statua.»
«Mi posso sedere sopra?»
«Lo chiederemo, ma dopo... quando usciamo.»
«E poi tu mi fai una foto così la faccio vedere ai miei amici.»
«Avrai tante foto di questo bel viaggio, da mostrare agli amici» gli assicurò Tina.
Scesero dal taxi e vennero accolti nella sterminata hall dell’albergo, a cui nessuna foto poteva rendere giustizia. Il lusso, l’eleganza e la magnificenza erano ovunque, si respiravano nell’aria. Rimasero lì incantati a guardare le colonne dorate che reggevano i primi anelli delle balconate interne. Troppe, per poter essere contate. Sui soffitti smerlati, che degradavano dal blu intenso al verde acqua per perdersi nell’oro, una miriade di piccole luci brillavano come stelle.
Quando alla fine abbassarono le teste, si trovarono di fronte una splendida cascata di fontane danzanti, che riprendevano i colori dei soffitti. Gli ascensori erano fiancheggiati da giganteschi acquari, dove decine di colorati pesci tropicali nuotavano tra le rocce e il fogliame delle rigogliose piante acquatiche.
«Oh, guarda mamma! I pesci!» urlò Theo.
«È davvero incredibile» mormorò la mamma di Tina. «Tuo padre ha sempre amato l’architettura del vecchio mondo. Pensava che niente potesse competere con i palazzi e le cattedrali costruite nel passato, ma questo è stupefacente, a modo suo. Mi dispiace solo che lui non sia qui per vederlo.»
Era morto da un anno, ma sua madre vestiva ancora di nero. Anche Tina sentiva la sua mancanza. Era rimasto molto deluso e amareggiato, quando aveva saputo che era incinta di un uomo che non intendeva sposarla ma, nonostante questo, le aveva dato tutto il suo appoggio ed era stato un nonno meraviglioso per Theo, orgoglioso che portasse il suo stesso nome.
Era terribile che non fosse vissuto abbastanza a lungo da vedere il matrimonio di Cassandra. Sua sorella maggiore aveva fatto tutto nel modo migliore. Era diventata una delle modelle più famose del mondo, senza che la sua vita privata si prestasse al minimo scandalo o alla più piccola insinuazione. Si era innamorata di un fotografo greco – ottima scelta, avrebbe detto lui – e il loro matrimonio sarebbe stato celebrato a Santorini, l’isola più romantica della Grecia. Suo padre sarebbe stato felice e orgoglioso di accompagnare la sua brava ragazza lungo la navata della chiesa, la prossima settimana.
Ma se non altro, la sua cattiva ragazza gli aveva dato la gioia di un nipote. Il fatto di avere avuto solo due figlie femmine era stata una spina nel cuore e anche se il piccolo Theo era frutto di un terribile errore, era stato quasi una ricompensa per suo padre. Tina gli era sempre rimasta accanto e aveva preso in mano le redini del ristorante, quando le sue condizioni di salute erano peggiorate al punto da non poter più lavorare. Aveva ascoltato i suoi consigli e aveva condotto il locale come avrebbe fatto lui. Alla fine, anche lei si era dimostrata una brava figlia.
Eppure, anche se si era redenta agli occhi di suo padre, Tina non era mai riuscita a superare il senso di vuoto e di sconforto. Ari Zavros aveva preso tutto ciò che di buono c’era in lei, per poi gettarla via come se non valesse niente. La sensazione di essere stata fatta a pezzi non se n’era mai andata. La sola cosa che le impediva di sprofondare era Theo. Era lui che rendeva la sua vita sopportabile.
Vennero accompagnati a un ascensore che li portò direttamente allo SkyView Bar, al ventisettesimo piano. Quando sbarcarono nell’atrio del bar, trovarono ad attenderli un cameriere che li condusse fino al loro tavolo, nella sala da pranzo blu e verde come il mare. Il soffitto, composto da un’alternanza di pannelli luminosi arrotondati, ricordava il rincorrersi delle onde. Si accomodarono sulle poltroncine intorno al tavolo proprio accanto alla vetrata, da cui si godeva una vista strabiliante di Dubai e dell’arcipelago artificiale di Palm Jumeirah, con le sue ville da favola.
Era un mondo a parte, pensò Tina, ma niente poteva impedire loro di assaporarne qualche briciola, quel giorno. Sorrise al cameriere che le porse il menu. L’uomo versò lo champagne, per accompagnare la prima portata. Tina si chiese se sarebbe riuscita ad assaggiare tutti i piatti e i tipi di tè previsti dal menu. Forse no, ma era intenzionata a provarci comunque.
Sua madre sorrise.
Theo si guardava intorno con gli occhi sgranati.
Era davvero una bella giornata.
Ari Zavros era annoiato. Era stato un errore invitare Felicity Fullbright a seguirlo in quel viaggio a Dubai. Aveva vagliato la lontana ipotesi di farne la sua compagna, ma quei due giorni gli avevano provato senza ombra di dubbio che non avrebbe potuto sopportarla se non in minime dosi.
Quella donna aveva l’abitudine di vivere le esperienze come conquiste, come se avesse un carrello della spesa da riempire, e aveva insistito perché Ari prenotasse un tavolo per quel pomeriggio al Burj Al Arab.
«Ho preso il tè al Ritz e al Dorchester di Londra, al Waldorf Astoria di New York e all’Empress di Vancouver. Non posso lasciarmi sfuggire proprio questo, Ari» si era impuntata. «La maggior parte degli sceicchi studiano in Inghilterra e sono sicura che ormai qui facciano il tè meglio degli inglesi.»
Il calendario di quel viaggio di lavoro sullo sviluppo di Palm Jumeirah, era molto intenso ma nei rari momenti in cui non era impegnato in qualche riunione, Felicity non gli concedeva tregua. E anche quel pomeriggio, prima del suo dannato tè, lo aveva trascinato a visitare l’albergo, fermandosi a guardare la curva della volta, l’acquario sotterraneo Atlantis e ovviamente tutti i più lussuosi negozi delle gallerie, dove in modo neanche troppo velato, gli aveva fatto capire che si aspettava qualche regalino extra. Quella donna non si accontentava della sua compagnia e lui ne aveva davvero piene le tasche di averla intorno.
Il solo lato positivo di Felicity Fullbright era che a letto taceva, impegnando la bocca in attività molto più piacevoli. Era stato questo che lo aveva spinto a invitarla ma ora, l’idea che fosse minimamente compatibile con lui su altri piani era da accantonare. Gli aspetti positivi non compensavano il fastidio e Ari era solo contento che il viaggio volgesse al termine e che il giorno dopo si sarebbe liberato della sua ingombrante presenza.
Una volta tornati ad Atene, l’avrebbe rispedita a Londra. Per nessun motivo l’avrebbe invitata al matrimonio di suo cugino a Santorini. Suo padre poteva continuare a fare fuoco e fiamme, insistendo perché abbandonasse quella dissoluta vita da scapolo. Per nessuna ragione al mondo avrebbe sposato l’erede dei Fullbright.
Doveva pur esserci al mondo una donna che avrebbe potuto sopportare come moglie! Bastava guardarsi intorno e aspettare quella giusta. Suo padre aveva ragione. Era ora che mettesse su famiglia e lui, che già adorava i suoi nipotini, desiderava dei figli. Ma in quel momento, trovare la donna con cui metterli al mondo sembrava un’impresa impossibile.
Non desiderava né prevedeva di innamorarsi follemente com’era accaduto a suo cugino George. Aveva pagato a caro prezzo una cocente passione, quando era giovane, e aveva promesso a se stesso di non ricascarci mai più. Non voleva sentirsi di nuovo in balia di una donna. Si era corazzato molto bene, per proteggersi da qualunque tipo di coinvolgimento sentimentale. La sua relazione ideale doveva soddisfarlo da un punto di vista fisico e intellettuale, nient’altro. Per lui, scegliere una compagna era frutto di una valutazione razionale.
La sua insofferenza nei confronti di Felicity cresceva di minuto in minuto. Stava mettendo a dura prova la sua pazienza, facendo migliaia di fotografie all’interno dell’hotel. Non le bastava guardare e ammirare, dividere il piacere di quella vista con lui... Usava la macchina fotografica in modo compulsivo. Scattava centinaia di foto che poi spediva alle sue amiche in mezzo mondo e alla fine le cancellava dalla memoria, sia sua che della fotocamera. Un’altra abitudine che Ari detestava. Lui amava vivere l’attimo.
Finalmente entrarono in ascensore e salirono allo SkyView Bar dove vennero fatti accomodare al loro tavolo. Ma Felicity poteva sedersi e godersi la vista? Naturalmente, no! Voleva di più.
«Ari, non mi piace questo tavolo» sussurrò seccata, afferrandogli un braccio prima che potesse sedersi.
«Cos’ha che non va?» le chiese, nascondendo a stento l’esasperazione.
Lei fece un cenno indicando il tavolo accanto. «Non voglio stare vicino a un bambino. Si metterà a giocare o a fare i capricci e ci darà noia.»
Ari si voltò a dare un’occhiata distratta alla piccola famiglia che infastidiva tanto Felicity. Un bambino di cinque o sei anni fissava incantato la spiaggia proprio sotto di loro. Accanto a lui c’era una bella donna che somigliava a Sophia Loren, con i capelli scuri e ondulati, appena spruzzati d’argento. Doveva essere la nonna. Di fronte a lei, sedeva un’altra donna che gli dava le spalle. Era giovane, con i capelli neri tagliati corti, alla moda, e una figura esile. Quasi certamente era la madre del bambino.
«Non credo proprio che possa darci fastidio, Felicity e comunque, se non l’hai notato, tutti gli altri tavoli sono occupati.»
Erano arrivati tardi, perché lei aveva voluto cambiare le batterie della macchina fotografica. Essere costretto ad aspettare Felicity che faceva sempre quello che le pareva, incurante di tutto e tutti, lo rendeva nervoso.
Lei gli posò una mano sul braccio con uno sguardo sensuale, carico di promesse che avrebbe mantenuto se l’avesse assecondata. «Ma io sono sicura che, se lo chiedi, ci troveranno una sistemazione migliore.»
«Non intendo far sbattere fuori la gente, Felicity. Siediti e goditi il fatto di essere qui.»
Lei mise il broncio, si lisciò i lunghi capelli biondi sulla spalla, sbuffò e finalmente si sedette.
Il cameriere portò dello champagne, porse loro i menu e illustrò brevemente le specialità del buffet. Per fortuna si allontanò prima che Felicity se ne uscisse con una delle sue trovate, mettendolo in imbarazzo.
«Perché ci sono tutte quelle sedie in fila sulla spiaggia, yiayia?»
La voce del bambino era chiara e squillante. Felicity fece una smorfia infastidita. Ari riconobbe l’accento australiano, ma notò che