La pedina dello sceicco: Harmony Collezione
By Annie West
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Costringere Ghizlan a sposarlo non è sufficiente per Huseyn, lui intende conquistarne l'anima. La giovane principessa reagisce con orgoglio alle provocazioni dello sceicco, che capisce di aver trovato una degna avversaria, e presto la lotta per la conquista del potere si trasferirà dai sontuosi saloni del palazzo alle camere private dello sceicco.
Annie West
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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La pedina dello sceicco - Annie West
successivo.
1
La hostess si spostò di lato e la invitò a lasciare l'aereo. Ghizlan si alzò in piedi e sistemò la gonna del tailleur verde con dita che tremavano.
Aveva avuto diversi giorni di tempo per prepararsi. Giorni per imparare a mascherare lo shock e il dolore. Sì, persino il dolore. Non era mai stata vicina al padre, un uomo freddo e scostante, più interessato al proprio Paese che alle figlie, eppure la sua morte, avvenuta all'improvviso all'età di cinquantatré anni a causa di un aneurisma cerebrale, aveva scosso le fondamenta del suo mondo.
Ghizlan si appiccicò sul viso il sorriso che suo padre aveva ritenuto il più adatto a una principessa, e ringraziò il personale di bordo mentre usciva dal velivolo.
La brezza fresca che soffiava dalle montagne agitò la gonna intorno alle sue gambe coperte dal collant leggero e Ghizlan si disse che sarebbe stato piacevole poter viaggiare con vestiti sportivi e confortevoli per una volta. A lei però non era permesso. Era la figlia di uno sceicco di stirpe reale e non aveva quella libertà.
Raddrizzò le spalle e si aggrappò al corrimano della scaletta. Sentiva le gambe incerte e non era il caso di ritrovarsi col viso per terra in una posizione poco principesca. Ora più che mai era fondamentale mostrarsi calma. Fino alla nomina dell'erede di suo padre, era lei che rappresentava la casata degli sceicchi che regnavano da generazioni sul Paese. Era su di lei che tutti contavano per portare avanti senza impedimenti gli affari correnti, mentre si decideva il successore.
Raggiunse l'asfalto e si fermò. Intorno a lei, su tre lati, spiccavano le alte montagne inondate dalla luce purpurea del tardo pomeriggio. Sul quarto lato invece si stendeva il Grande Deserto di Sabbia.
Ghizlan inspirò a fondo. Nonostante le circostanze dolorose, il suo cuore si rinfrancò con i profumi delle spezie e dell'aria fresca che scendeva dalle montagne.
«Mia Signora...» Azim, il ciambellano di suo padre si affrettò a raggiungerla con il viso angosciato e le mani strette davanti a sé.
Ghizlan si diresse verso di lui. L'anziano uomo, il braccio destro di suo padre, era stato in confidenza con lui come nessun altro.
«Benvenuta, è un sollievo vederla di nuovo qui.»
«È un piacere vederti, Azim.» Ghizlan ignorò il protocollo e gli afferrò le mani. Nessuno di loro lo avrebbe ammesso, ma lei aveva provato più affetto per quell'uomo gentile che per suo padre.
«Altezza!» Il ciambellano lanciò un'occhiata preoccupata in direzione dei soldati che presidiavano la pista di atterraggio.
Ghizlan li ignorò. «Azim, come stai?» Sapeva che la morte di suo padre era stata per lui un grosso colpo. Insieme i due uomini avevano lavorato affinché Jeirut entrasse nel nuovo millennio, usando una combinazione di negoziazioni intelligenti, di riforme lungimiranti e di ferrea determinazione.
«Sto bene, mia signora. Ma sono io che dovrei chiederlo a lei.» Si interruppe e la guardò. «Mi spiace per la sua perdita. Suo padre non soltanto era un leader visionario, era anche il faro della nostra democrazia e il protettore suo e di sua sorella.»
Ghizlan annuì e lasciò andare le mani di Azim. Si rimise in cammino verso il terminal. Suo padre era stato tutto quello, però la democrazia nel loro Paese sarebbe continuata anche dopo la sua morte. Quanto a lei e a Mina, avevano imparato da molto tempo a non aspettarsi alcun supporto personale dal padre. Erano però abituate a venir mostrate al mondo come modelli di educazione ed esempio dei diritti delle donne. Suo padre era stato sì un grande visionario e sarebbe stato ricordato come un grande uomo, ma la triste verità era che né lei né la sua sorella minore avrebbero pianto a lungo per la sua morte.
Quando si trovarono a pochi passi dal terminal, Azim riprese a parlare. «Signora, devo dirle...» Si interruppe per l'avvicinarsi di alcuni soldati. «Aspetti. Mia signora.» La sua voce era un sussurro e Ghizlan si fermò, consapevole del tono grave di lui. «Devo avvisarla che...»
«Signora.» Un ufficiale in uniforme si inchinò davanti a lei. «Sono qui per scortarla a Palazzo dei Venti.»
Era un giovane sulla trentina, dall'aspetto duro e Ghizlan non lo riconobbe benché indossasse l'uniforme delle guardie di palazzo. Certo, era stata assente più di un mese, e i militari si avvicendavano spesso.
«La ringrazio, ma la mia guardia personale sarà sufficiente.» Si voltò e, con sua grande sorpresa, vide che la sua scorta non era nei paraggi.
Quasi l'uomo le avesse letto nella mente le parlò di nuovo: «Credo che i suoi uomini siano ancora occupati sull'aereo. Ci sono nuovi regolamenti riguardo ai controlli dei bagagli ma questo non deve assolutamente riguardare lei». Si inchinò di nuovo. «I miei uomini possono scortarla. Immagino abbia fretta di rivedere la principessa Mina.»
Ghizlan sbatté gli occhi. Nessun dipendente del palazzo si sarebbe mai sognato di fare illazioni sui desideri di uno dei membri della famiglia reale. Quell'uomo era davvero un novellino. Però aveva ragione. Non amava lasciare Mina sola per tanto tempo.
Si voltò di nuovo, ma non vide nessun membro del suo staff. Il suo istinto le diceva di non andarsene senza di loro, però ebbe la meglio il panico che provava da alcune ore al pensiero della sorella. Era dal giorno prima che Ghizlan non riusciva a mettersi in contatto con lei. Mina aveva solo diciassette anni, e aveva da poco finito la scuola. Come aveva affrontato la morte del padre?
A Jeirut, solo gli uomini potevano partecipare ai funerali, persino a quelli di Stato, ma lei aveva voluto lo stesso tornare benché suo padre fosse stato sepolto entro i tre giorni successivi alla morte, mentre lei era bloccata in un altro continente.
«Grazie, lo apprezzo.» Si voltò verso Azim. «Ti dispiacerebbe avvisare la scorta che sono andata a palazzo e che sono in buone mani?»
«Ma... mia signora...» Azim osò lanciare uno sguardo verso le guardie che li circondavano. «Ho bisogno di parlare con lei in privato. È di estrema importanza.»
«Certo ci sono cose importanti di cui parlare.» La morte di suo padre era un incubo a livello costituzionale. Non essendoci un erede, ci sarebbero volute settimane per decidere il successore. Ghizlan sentiva sulle proprie spalle il peso della responsabilità. Lei, in quanto donna, non poteva succedergli, però avrebbe avuto un ruolo chiave nel mantenere la stabilità fino a che la successione non fosse stata finalizzata. «Dammi due ore, poi ci incontreremo.»
Annuì in direzione dell'ufficiale affinché riprendessero il cammino.
«Ma, mia signora...» Azim si azzittì davanti all'espressione belligerante della guardia.
Ghizlan fissò il militare con un'espressione che aveva imparato da suo padre. «Se vorrà continuare a lavorare a palazzo, dovrà imparare la differenza tra assertività e intimidazione.» Lo sguardo dell'uomo incontrò il suo e lei vi lesse lo stupore. «Quest'uomo è un prezioso collaboratore. Mi aspetto che venga trattato con rispetto. È chiaro?»
L'ufficiale annuì e fece un passo indietro. «Certo, mia signora.»
Ghizlan avrebbe voluto afferrare di nuovo la mano di Azim. Sembrava anziano e fragile. Però aveva terribilmente bisogno di vedere Mina. Gli sorrise perciò con gentilezza. «Ci vedremo presto, e potremo parlare di tutto.»
«Grazie per avermi scortata.» Ghizlan si fermò nell'enorme atrio del palazzo. «In ogni caso, in futuro non ci sarà bisogno che lei, o alcuno dei suoi uomini, entri con me all'interno del palazzo.» Le regole della sicurezza non prevedevano la presenza di uomini armati nei corridoi.
Il capitano accennò un inchino. «Temo di avere ordini diversi, signora. Per favore, mi segua.»
«Ordini?» Ghizlan fissò il militare. Forse aveva l'attenuante di essere nuovo, ma di certo stava esagerando. «Fino a quando non verrà annunciato il successore di mio padre, sarò io a dare gli ordini a palazzo.»
L'espressione dell'uomo non cambiò.
Ghizlan era abituata ai militari. Proteggere i membri della famiglia reale poteva essere una spinta prestigiosa per salire la scala della carriera militare, però lei non ne aveva mai conosciuto uno così. Lui guardò un punto oltre le sue orecchie, con espressione impassibile.
«Cosa sta succedendo qui?» gli domandò Ghizlan mantenendo calmo il proprio tono di voce nonostante la sensazione sgradevole che le si agitava dentro e il brivido freddo che le percorreva la schiena. Non ci aveva fatto caso prima, ma ora le bastò un'occhiata per rendersi conto che i visi delle guardie le erano tutti sconosciuti. Una, due poteva anche essere, ma tutte...
«Ho avuto l'ordine di accompagnarla nell'ufficio dello Sceicco.»
«L'ufficio di mio padre?» Nonostante l'abitudine a mantenere un contegno, Ghizlan non riuscì a evitare che il cuore iniziasse a battere forte contro la cassa toracica. Senza rendersene conto si portò una mano alla gola, quasi volesse farlo smettere. Si costrinse ad abbassarla subito. «Chi ha dato l'ordine?»
Il capitano non rispose, e le fece cenno di precederlo.
Tra la confusione e lo shock ben presto si fece strada la rabbia. Qualsiasi cosa stesse accadendo, lei aveva diritto alle risposte e intendeva ottenerle! Si mosse in avanti con passo deciso, ma si bloccò di scatto. Dietro di lei, tutti i militari avevano iniziato a muoversi.
Parlò con lentezza, articolando con precisione ogni parola. Non si scomodò nemmeno a voltare la testa. «Dica ai suoi uomini di fermarsi qui, capitano. Non sono né necessari né i benvenuti in questo luogo.» Aspettò un paio di istanti, prima di continuare. «A meno che lei non si senta in grado di fare la guardia a una donna sola.»
Ghizlan non aspettò la sua risposta e riprese a camminare. I tacchi alti facevano rumore sul pavimento di marmo mentre il suo sangue sobbolliva di rabbia benché i soldati avessero ubbidito. Solo il militare continuò a seguirla, impedendole di provare sollievo.
C'era qualcosa che non andava. Qualcosa di grave, e Ghizlan sentì un formicolio alla base della nuca.
Ignorando un'etichetta che era parte di lei, Ghizlan non bussò alla porta e l'aprì con un gesto deciso. L'ufficio di suo padre era vuoto. La persona che aveva impartito gli ordini oltraggiosi al capitano non era lì.
Barcollò alla vista della grande scrivania e il cuore le si contrasse nel percepire il profumo familiare di carta e sandalo, e delle foglie di menta che suo padre era solito tenere in una scatola.
Il tempo sembrò fermarsi, e riavvolgersi su se stesso, e le sembrò di vivere un incubo. Suo padre non sarebbe mai più entrato dalla pesante porta che si apriva sulle sue stanze private, con in mano un documento o l'ultimo progetto studiato per migliorare la vita del suo popolo.
Ghizlan posò le mani sul legno liscio della scrivania e respirò a fondo. Doveva farsi forza. Qualsiasi cosa stesse succedendo, suo padre non c'era più.
Raddrizzò le spalle. Non aveva tempo per lasciarsi prendere dai sentimentalismi. Doveva scoprire cosa stava succedendo. Le guardie sembravano decise a tenerla prigioniera, piuttosto che a proteggerla. Di nuovo provò un moto di disagio.
Si passò le mani contro la stoffa della gonna, sistemò la giacca e alzò la testa, decisa ad affrontare al meglio qualsiasi cosa fosse sul punto di accadere.
Aveva quasi raggiunto la porta posteriore dello studio, quando una voce profonda interruppe il filo dei suoi pensieri, come un tuono che rimbalza sulle montagne durante un temporale.
«Principessa Ghizlan.»
Lei si voltò di scatto, girando sui tacchi a spillo. Il battito del cuore perse un colpo alla vista dell'uomo grande che era fermo in piedi, davanti alla porta da cui era entrata, e che torreggiava su di lei nonostante i tacchi alti e la statura sopra la media. Lo sconosciuto non solo era alto, ma aveva anche spalle larghe, il torace ampio e lunghe gambe muscolose.
Indossava abiti da cavallerizzo, una camicia chiara e pantaloni infilati in alti stivali di pelle. Un mantello gli cadeva lungo le spalle, lasciando intravedere un coltello appeso a una cintura legata intorno alla vita. Non era una lama cerimoniale, come quelle che suo padre aveva portato di tanto in tanto, ma un'arma vera, col manico lucido per l'uso frequente.
«Non sono ammesse armi all'interno del palazzo» sbottò lei. Era più facile concentrarsi su quello, che sul ritmico battito accelerato del suo cuore quando i loro occhi si incontrarono. La propria reazione la preoccupò quanto l'inesplicabile comportamento delle guardie del palazzo.
Le pupille dell'uomo erano grigio azzurre, un fatto abbastanza comune nelle province di Jeirut a causa degli antichi commerci tra Europa, Asia e Africa. Eppure Ghizlan non aveva mai visto occhi come i suoi. Occhi che cambiarono di colore sotto il suo scrutinio. Sotto