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Un milionario al bacio: Harmony Bianca
Un milionario al bacio: Harmony Bianca
Un milionario al bacio: Harmony Bianca
Ebook158 pages1 hour

Un milionario al bacio: Harmony Bianca

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About this ebook

Il medico: Rodrigo Valderrama, dottore milionario spagnolo.

La paziente: la donna che ha sempre amato.

Il problema: uno scottante segreto che potrebbe dividerli per sempre.

La cura: sessioni appassionate in camera da letto.



È corso da lei non appena ha saputo dell'incidente. Portando Cybele Wilkinson nella sua villa di fronte al mare, Rodrigo Valderrama si è ripromesso di averne cura, di proteggerla e soprattutto di non rivelarle mai i suoi veri sentimenti. Probabilmente Cybele non sarebbe felice di sapere che il fratellastro di suo marito la ama da impazzire e che... è il padre di suo figlio!
LanguageItaliano
Release dateApr 9, 2018
ISBN9788858980941
Un milionario al bacio: Harmony Bianca
Author

Olivia Gates

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Un milionario al bacio - Olivia Gates

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Billionaire, M.D.

    Silhouette Desire

    © 2010 Olivia Gates

    Traduzione di Silvia Govoni

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-094-1

    1

    Aprì gli occhi su un altro mondo: un mondo dall’aspetto grigio e granuloso, un po’ come un canale televisivo privo di trasmissioni. Però non le importava. In quel mondo c’era un angelo che vegliava su di lei... e non soltanto un angelo. Un arcangelo, se gli arcangeli erano la personificazione della bellezza e del potere, se erano fatti di roccia viva e bronzo e virilità incontaminata.

    La sua immagine fluttuava tra luce e ombra e lei si domandava se fosse un sogno o un’allucinazione. Magari peggio... probabilmente peggio. Nonostante la presenza dell’angelo o forse proprio a causa di questa. Gli angeli non vigilavano su chi non era in serio pericolo, vero?

    Sarebbe stato un peccato se si fosse rivelato essere l’angelo della morte. Perché renderlo così ammaliante se era dedito soltanto a risucchiare la vita? O forse la sua estrema bellezza serviva a rendere i suoi bersagli desiderosi di andare dove li avrebbe portati?

    Lei, per esempio, sarebbe stata più che disposta a seguirlo, se solo fosse riuscita a muoversi.

    La gravità la sopraffaceva, schiacciandola sulla schiena, contro qualcosa che all’improvviso sembrava un letto di spine. Ogni cellula del suo corpo cominciò ad agitarsi, ogni nervo a trasmettere impulsi. Le cellule però non avevano alcun collegamento l’una all’altra e i nervi non riuscivano a dominare neppure un accenno di movimento volontario. Lo sconforto si impadronì di lei, il rumore crebbe nelle sue orecchie, pulsante, facendole provare nausea.

    Il viso si avvicinò, calmò la vertigine, spazzò via la cacofonia.

    L’agitazione in lei si calmò: non doveva lottare contro la gravità né temere la paralisi. Lui era lì e si sarebbe occupato di ogni cosa.

    Lo conosceva: senza avere idea di come, sapeva di conoscerlo. Non che avesse idea di chi fosse, ma tutto in lei le diceva che era al sicuro, che sarebbe andato tutto bene perché lui era lì.

    Ora, se solo fosse riuscita a far funzionare una qualsiasi parte di sé... Non avrebbe dovuto sentirsi così inerte, svegliandosi. Ma si stava svegliando, o stava ancora sognando?

    Questo avrebbe spiegato la sensazione di distacco tra il suo cervello e il suo corpo. Avrebbe spiegato lui, che era decisamente troppo per essere vero.

    Lui però doveva essere vero: non aveva abbastanza fantasia per averlo solo immaginato. Sapeva anche qualcos’altro: quest’uomo era importante, in generale, e per lei lo era anche di più. Vitale, lo avrebbe definito.

    «Cybele?»

    Era la sua voce, così oscura, profonda e carezzevole? Si adattava perfettamente alla pura magnificenza del suo viso...

    «Riesci a sentirmi?»

    Che diamine, certo che lo sentiva: la sua voce sembrava penetrarle attraverso la pelle, i suoi pori l’assorbivano beati come se fosse prezioso nutrimento. Era come se la sua vibrazione risvegliasse ogni fibra e ogni nervo.

    «Cybele, se mi senti, se sei sveglia, por favor rispondimi.»

    Por favor? Spagnolo? Ecco da dove veniva quel leggero accento che rendeva più musicale il suo inglese. Voleva rispondergli, voleva che continuasse a parlare. Ogni sillaba che usciva da quel capolavoro che erano le sue labbra la spingeva nuovamente verso un oblio, questa volta benedetto.

    Il viso di lui riempì il suo campo visivo e lei si immerse nelle sfumature di oro, smeraldo e caramello che non aveva mai visto, salvo che nei suoi occhi.

    Avrebbe voluto affondare le dita fra la lussureggiante chioma leonina e farlo avvicinare ancora per poterlo ammirare, toccare quei lineamenti perfetti. In quel momento sul viso dell’angelo erano dipinte ansia, senso di responsabilità, distinzione. Avrebbe voluto le sue labbra contro le proprie, sentirsi riempire da quella lingua che sapeva creare tanta magia con le parole.

    Era consapevole che non avrebbe dovuto provare nulla del genere ma in quel momento il suo corpo non si comportava come avrebbe desiderato.

    Il suo corpo le chiedeva solo di averlo più vicino, tutto virilità e potere, tenerezza e protezione. Desiderava allo spasmo quell’uomo, lo aveva sempre desiderato.

    «Cybele, por Dios, dì qualcosa.»

    Fu l’asprezza della sua voce a spingerla a uscire da quello stato ipnotico, a farle produrre il suono che chiedeva con tanta ansia.

    «I... Io ti sento.»

    La voce le uscì rauca e, se non fosse stato per il fatto che lui piegò la testa per ascoltare, avrebbe dubitato anche di aver emesso un suono intelligibile.

    Riprovò. «So... Sono sveglia... credo... spero... e sp... spero tu sia reale...»

    Non poté dire altro: aveva la gola in fiamme. Cercò di tossire ed ebbe la sensazione che un grumo di lava le risalisse in gola, ustionando la laringe. Le si riempirono gli occhi di lacrime. Anche gli occhi sembravano in fiamme.

    «Cybele!» E all’improvviso fu tutt’intorno a lei, la sollevò, la cullò in una fortezza calda e confortante, scaldandola fino alle ossa intirizzite. Lei si abbandonò al suo potere, arrendendosi, sollevata.

    «Non cercare più di parlare, sei stata intubata durante l’operazione e la tua laringe deve essere infiammata.»

    Qualcosa di fresco le toccò le labbra, poi qualcosa di caldo e profumato le lambì. Non era la sua bocca né la sua lingua. Schiuse le labbra, d’istinto, e il contenuto del bicchiere le scivolò in bocca in un flusso gentile.

    Accorgendosi che non deglutiva, le tenne la testa con una presa ferma. «È solo una tisana di anice e salvia» spiegò. «Lenirà il bruciore alla gola.»

    Aveva intuito il suo disagio e le aveva offerto un rimedio, ma perché le stava dando tutte quelle spiegazioni? Lei avrebbe inghiottito qualsiasi cosa le avesse dato, se solo non avesse avuto la sensazione che le stessero piantando dei chiodi nella gola. Però lui voleva che deglutisse e doveva fare ciò che lui desiderava.

    Chiuse gli occhi, stringendoli per combattere il dolore, e deglutì. Il liquido sembrava pepe mentre scendeva, ma durò solo un attimo, lasciando il posto al sollievo. Sospirò, sentendosi rifiorire sotto il tocco del pollice dell’arcangelo sulla sua guancia.

    «Va meglio?» le chiese con una sollecitudine che la colpì. Tremò per la violenza delle emozioni, gratitudine, bisogno di affidarsi a lui, alle sue cure. Tentò di rispondere, ma questa volta aveva la gola chiusa per la commozione. Il viso di lui era molto vicino, pieno di preoccupazione eppure perfetto in ogni linea. La stanchezza aveva disegnato un orlo rosso intorno ai suoi occhi e aveva contratto la sua mascella, ombreggiata dalla barba di qualche giorno.

    Lei girò il viso, gli posò le labbra sulla guancia. La barba era ruvida ma il profumo della sua pelle era inebriante, le penetrò nella carne, risvegliando i suoi sensi. Il respiro le uscì a fatica, spezzato.

    Aprì la bocca per assaporarlo meglio mentre lui girava il viso. Le loro labbra si sfiorarono e lei seppe: era questa, la cosa di cui aveva bisogno. Questa intimità con lui.

    Qualcosa che aveva sempre avuto prima e ora le mancava? Qualcosa che aveva perso? Che non aveva mai avuto e aveva desiderato a lungo?

    Non aveva importanza. Ora c’era.

    Strofinò le labbra contro quelle di lui, lasciando che l’onda di sensualità la penetrasse, godendo della dolcezza della sua pelle.

    All’improvviso le sue labbra divennero fredde e il tocco virile del suo corpo era scomparso. Si agitò contro quello che, ora lo capiva, doveva essere un letto. Dov’era andato? Era stato tutto un sogno, un’allucinazione? Un effetto collaterale del risveglio dal coma?

    Le si riempirono di nuovo gli occhi di lacrime al pensiero di averlo perso: girò il viso, cercandolo, terrorizzata di trovare solo il vuoto.

    Per la prima volta si accorse di ciò che la circondava: era la camera d’ospedale più lussuosa che avesse mai visto. Ma se lui non era lì...

    Il suo sguardo si bloccò di colpo. Lui era lì, in piedi proprio dove l’aveva visto quando aveva riaperto gli occhi la prima volta, Ma la sua immagine questa volta era distorta: al posto di un angelo vide un dio inaccessibile, inavvicinabile, che la fissava con espressione di rimprovero.

    Batté le palpebre, una, due volte, il cuore batteva così forte da farle quasi male. Non era il volto di un angelo che l’avrebbe protetta, quella era la faccia di un uomo che sarebbe rimasto in disparte, indifferente, mentre lei annegava.

    Lo fissò dal basso verso l’alto, situazione che le sembrò familiare e provò un senso di sconforto.

    Non era stata che un’illusione: qualsiasi cosa avesse provato, era stata causata dal suo disorientamento, si era trattato solo di ciò che aveva voluto vedere e sentire.

    «Vedo che riesci a muovere la testa, puoi muovere qualcos’altro? Provi dolore? Batti le palpebre se parlare ti è troppo difficile. Una volta per il sì, due volte per il no.»

    Le salirono di nuovo le lacrime agli occhi e sentì un gemito profondo farsi strada in lei. Doveva essere la frustrazione per non essere capace nemmeno di seguire quelle semplici istruzioni. Eppure, non ce la faceva. Le sue domande erano quelle che si rivolgevano di prassi a chi aveva subito traumi e perdita di conoscenza. Non c’era alcuna preoccupazione personale, solo distacco clinico. Quasi non riusciva a respirare per quanto le mancavano la sua tenerezza e la sua ansia per lei. Anche se le aveva solo immaginate.

    «Cybele! Tieni gli occhi aperti, resta con me.»

    L’urgenza nella sua voce la sferzò, facendola lottare per obbedirgli. «Io... non posso...»

    Lui sembrò farsi più grande, torreggiava su di lei con un’espressione furiosa. Espirò per calmarsi. «Rispondi solo alle mie domande e ti lascio riposare.»

    «M-mi sento... confusa, stordita, ma...» Si concentrò e inviò un segnale alle dita dei piedi. Si mossero. Voleva dire che tutto quello che stava fra lei e il suo cervello funzionava. «Sembra che... le funzioni... motorie siano intatte. Dolore... non saprei. Mi sento indolenzita... come se fossi rimasta sotto il crollo di un muro... m-ma non è il t-tipo di dolore che indica un danno...» Proprio mentre pronunciava l’ultima parola, tutti i dolori sembrarono risvegliarsi e convergere in un unico punto del suo corpo: il braccio sinistro.

    In un istante il dolore divenne insopportabile.

    «Il m-mio br-braccio...»

    Avrebbe giurato che lui non si fosse mosso, ma lo trovò al suo fianco, come per magia. Un fresco sollievo serpeggiò attraverso il dolore e lei gemette, rendendosi conto di ciò che aveva fatto. Un analgesico dall’azione istantanea. Lo aveva iniettato direttamente nella flebo di soluzione fisiologica che aveva nel braccio.

    «Provi ancora dolore?» Lei scosse la testa.

    «Per il momento va abbastanza bene. Tornerò più tardi.» Cominciò ad allontanarsi.

    «No.» La sua mano sana scattò senza che la volontà potesse controllarla, attivata dal terrore che potesse sparire. Era terrorizzata al pensiero che non tornasse... o rassegnata all’idea di averlo già perso?

    Gli strinse la mano come se quel contatto le permettesse di leggergli nella mente, ricordarle quello che era stato per lei. Lui rivolse il suo sguardo incandescente al punto in cui le loro mani erano allacciate. «I tuoi riflessi, coordinazione e forza motoria sembrano tornati alla normalità. Sono tutti segnali molto buoni di ripresa, meglio di quanto mi aspettassi.»

    Dal modo in cui l’aveva affermato le sue speranze vennero distrutte.

    «Questo... dovrebbe essere... un sollievo.»

    «Dovrebbe? Non sei contenta di stare bene?»

    «Sì, immagino di sì. Sembra... che non sia ancora... del tutto qui.»

    La cosa

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