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La spia dello zar
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La spia dello zar

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About this ebook

Inghilterra - Russia, 1814
Nessuno sospetta che sotto l'uniforme del capitano degli ussari Alexei Ivanovich Alexandrov si nasconda in realtà l'avventurosa Alexandra, e tutto sommato a lei non dispiace tenere nascosta la propria identità. Quando viene scelta per scortare lo zar in visita a Londra, però, accade l'imprevisto: Alex si innamora! Ma come può sperare che l'oggetto dei suoi desideri, il Duca Dominic Aikenhead, ricambi il suo amore se la considera un simpatico giovanotto un po' impacciato? Poi, una grandiosa festa in maschera le fornisce l'occasione per presentarsi in abiti femminili all'affascinante gentiluomo... e lo stratagemma funziona a meraviglia! Dominic infatti prova un'immediata attrazione per lei, senza tuttavia scoprire il suo segreto, e quando Alex si dilegua nel nulla, non gli resta che cercarla fino in Russia!
LanguageItaliano
Release dateNov 9, 2018
ISBN9788858990551
La spia dello zar
Author

Joanna Maitland

Tra le autrici più amate e conosciute dal pubblico italiano.

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    La spia dello zar - Joanna Maitland

    Immagine di copertina:

    Graziella Reggio Sarno

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    His Cavalry Lady

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2008 Joanna Maitland

    Traduzione di Graziella Reggio

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-055-1

    Prologo

    San Pietroburgo, 1812

    La terza porta conduceva a un’altra sfarzosa anticamera, vuota come le precedenti. Si poteva soltanto proseguire.

    Il giovane cavalleggero raddrizzò le spalle e attraversò a passi decisi il locale. Nel palazzo non potevano nascondersi nemici! Esitò un istante prima di posare la mano sulla maniglia, poi si convinse ad affrontare i propri timori e aprì.

    «Soldato Borisov, eccovi dunque!» esclamò sorridendo un gentiluomo corpulento. «Sono il Principe Volkonsky, ministro di corte di Sua Maestà Imperiale.»

    Lui scattò sull’attenti. «S... signore, io...» balbettò, sempre più a disagio.

    Il ministro allargò il sorriso. «Sua Maestà vi sta aspettando, giovanotto. Ha sentito tanto parlare delle vostre gesta e del vostro coraggio esemplare. Se le nostre truppe contassero diecimila soldati come voi, avremmo da tempo liberato il mondo dal flagello francese.»

    Borisov si accorse di arrossire e imprecò tra sé: era una reazione da ragazzina, non da provato combattente!

    Volkonsky attendeva una risposta.

    «Vi ringrazio per la vostra generosità, mio signore. Nell’esercito di Sua Maestà non mancano uomini arditi e...»

    «È vero, ma pochi sono giovani come voi o hanno compiuto imprese paragonabili.»

    Il soldato tacque per non dare l’impressione di vantarsi.

    «Se vi volete accomodare, ragazzo» lo invitò il principe, «avviso Sua Maestà che siete arrivato. Al momento è occupato, ma sono certo che vi accoglierà presto.» Senza aggiungere altro, bussò piano a un’ultima porta, entrò e la richiuse senza fare rumore.

    Lo Zar Alessandro è là dentro, pensò con ansia Borisov. Tra poco vedrò il Piccolo Padre in persona!

    Iniziò a camminare avanti e indietro. Non riusciva a stare fermo, come prima delle battaglie. Quell’incontro era di fondamentale importanza.

    Solo quando il battente si riaprì, Borisov si domandò cosa dire. E se lo zar gli avesse chiesto...?

    «Soldato Borisov, Sua Altezza vi riceve subito.»

    Lui deglutì a fatica, assunse la miglior postura militare e si costrinse a varcare la soglia.

    Si ritrovò in una sala immensa, quasi priva di arredi, ma decorata da dipinti e sontuosi specchi. Di fronte, sotto le grandi finestre, c’era uno scrittoio dorato con una sola poltrona. A quanto pareva, ai visitatori non era concesso sedersi.

    L’uomo dietro la scrivania si alzò e avanzò di qualche passo. Il giovane militare rimase paralizzato dall’emozione: era solo di fronte all’imperatore.

    «Venite avanti, Borisov. Fatevi vedere alla luce.»

    Lui si inchinò e obbedì.

    Il monarca era di alta statura e sfoggiava un bel paio di favoriti. Eretto e imponente nell’uniforme militare, scrutava con attenzione il nuovo arrivato.

    Noterà subito il rammendo sulla giubba, si preoccupò Borisov, rammaricandosi di non averne potuta acquistare una nuova.

    «Ho saputo dei vostri atti eroici durante i recenti conflitti. A quante cariche di cavalleria avete partecipato? Cinque?»

    Con la gola troppo secca per rispondere, il giovane si limitò ad annuire, rosso in volto.

    «A parere dei vostri comandanti, non conoscete la paura, ma vi lanciate a capofitto persino quando l’attacco non spetta al vostro squadrone» continuò lo zar con un sorriso incoraggiante.

    «È stato un mio errore, Vostra Altezza» ammise il soldato con voce arrochita dall’imbarazzo.

    Il regnante inarcò un sopracciglio, tuttavia non disse nulla.

    «Era... la mia prima battaglia. Nessuno mi aveva spiegato che le cariche avvenivano per squadroni. Ero convinto di dover partecipare a ogni attacco.»

    «Capisco. Ma a un certo punto vi siete fermato?»

    «Sì, Vostra Altezza. Il sergente maggiore mi ha ordinato di restare con la mia unità e di muovermi solo al momento opportuno.»

    «Comunque avete sempre combattuto con coraggio» notò compiaciuto lo Zar Alessandro. «E a Borodino avete salvato la vita a un ufficiale.»

    «Era ferito, Maestà. Io mi sono limitato a scacciare i nemici, che sono scappati non appena mi hanno visto arrivare con la lancia in pugno» minimizzò Borisov.

    «E gli avete dato il vostro cavallo.»

    «Sì, è vero.» Borisov non aggiunse che, quando era riuscito a recuperarlo, aveva scoperto che il suo equipaggiamento era stato rubato. Di conseguenza, aveva rischiato di morire assiderato per la mancanza del cappotto.

    «Soccorrere un ufficiale è un atto meritorio. Vi ho convocato per decorarvi con la croce di San Giorgio. E per un altro motivo...» Lo zar si voltò verso lo scrittoio e ne prese un foglio.

    Borisov si sentì vacillare sulle gambe. Per favore, no!

    «Ho qui l’appello di un padre disperato, il Conte Ivan Kuralkin, che mi prega di aiutarlo a ritrovare l’amato rampollo, scappato di casa due anni fa per arruolarsi in cavalleria sotto falso nome. Il conte spera di cuore che venga identificato e riportato in seno alla famiglia. Credete che debba accogliere la richiesta, Borisov?» Lasciò ricadere sul tavolo la missiva.

    Il giovane trattenne il fiato, temendo che la sua espressione rivelasse il panico che provava.

    «Ne sapete forse qualcosa?» lo interrogò lo zar, fissandolo negli occhi.

    «Non credo, Vostra Maestà.»

    Alessandro annuì tra sé, si voltò e si avvicinò alla lunga finestra affacciata sull’ampio giardino. Rimase immobile per parecchi minuti, poi, all’improvviso, ruotò su se stesso e disse a voce così bassa che il soldato lo udì appena: «Mi è stato riferito che siete una donna. È vero?».

    Il cavaliere rimase pietrificato. Mosse le labbra senza emettere alcun suono.

    Lo zar attraversò la sala e si parò di fronte a lui. Non sembrava adirato, soltanto incuriosito. E aspettava una risposta.

    Era inammissibile mentirgli. Inoltre, era chiaro che conosceva la verità. «Sì, è così» sussurrò infine Borisov, preparandosi alla punizione.

    Invece ricevette un sorriso e una paterna pacca sulla schiena. «Non avrei mai creduto che una fanciulla potesse compiere simili imprese, con un’audacia e una dedizione rare. Rappresentate un radioso esempio per l’intero esercito. Onore a voi, Alexandra Ivanovna Kuralkina.» L’Imperatore di tutte le Russie le appuntò al petto la croce, la baciò solennemente sulle guance e indietreggiò di un passo per valutare l’effetto. Quindi ritornò allo scrittoio e riprese la lettera. «Poiché non avete ancora risposto alla mia domanda, lo farò io per voi. Verrete rimandata dalla vostra famiglia dallo zar in persona con tutte le onorificenze. Le vostre gesta saranno festeggiate.»

    No, no! Come sarebbe potuta tornare dal padre e dalla matrigna? Era fuggita per evitare le nozze con un uomo che non conosceva nemmeno! Di certo gliene sarebbe toccato un altro. Avrebbe perso per sempre la libertà: un castigo troppo severo da sopportare. Alexandra si inginocchiò. «Vostra Altezza, vi supplico dal profondo dell’anima: non mi rimandate da mio padre. Piuttosto, preferirei morire sul campo di battaglia. Permettetemi di continuare a combattere per voi. La cavalleria incarna tutte le mie aspirazioni. Non vi potrò più servire, se mi rimanderete a casa.»

    Lo zar guardò dall’alto la giovane donna travestita da uomo. Aggrottò la fronte, poi si scostò, lasciandola genuflessa sul pavimento di legno intarsiato. Non era la postura adatta a un militare, ma lei non osava muoversi. Trattenendo il fiato, lo guardò camminare avanti e indietro. Esisteva la vaga possibilità che cambiasse idea?

    «Quanti anni avete?» la interrogò infine, facendole segno di rialzarsi.

    «Ventidue, Vostra Maestà.»

    «Davvero? Non ne dimostrate più di sedici.» Dopo una breve pausa, lo zar aggiunse: «Ditemi, ragazza, che cosa vorreste fare, se aveste tutte le possibilità del mondo?».

    «Continuare a combattere per voi in un reggimento di cavalleria.»

    «Qualche preferenza?»

    Lei esitò. Intendeva forse...? «Il corpo degli ussari, se potessi scegliere.» Si immaginò in divisa da ussaro con la sciabola in pugno, durante una spettacolare carica. Proprio quello che sognava!

    «Come ufficiale?» le domandò lo zar con un sorrisino.

    Alex sentì il cuore battere forte. Soltanto i membri della nobiltà avevano accesso ai ranghi elevati. Sotto il falso nome di Borisov e senza possibilità di dimostrare le proprie origini aristocratiche, non le era rimasto altro che arruolarsi come soldato semplice. Fino a quel momento aveva amato la vita militare. Ma diventare addirittura ufficiale! Perché no? In fondo, come suo padre, ci era portata. «Una nomina in un reggimento ussaro sarebbe... la realizzazione di un sogno che credevo impossibile.» Azzardò una timida occhiata.

    L’imperatore annuì. «Vi assegnerò agli ussari di Mariupol.»

    Lei sussultò. Era un reggimento ambitissimo dalla migliore nobiltà!

    «Ma non con il cognome Borisov» continuò il sovrano. «E nemmeno con il vostro, Kuralkina. Assumerete il mio nome: vi chiamerete Alexei Ivanovich Alexandrov.»

    «Vi... vi ringrazio, Maestà» mormorò lei, emozionata. Avrebbe voluto fare salti di gioia. Il Piccolo Padre in persona esaudiva il suo desiderio più grande! Un vero miracolo.

    «È la giusta ricompensa per avere salvato la vita a un ufficiale durante una battaglia. E, poiché non potrete richiedere a vostro padre i fondi necessari per mantenervi, ve li fornirò io stesso. Farete riferimento a me, tramite il Principe Volkonsky. Nessun altro ne sarà al corrente. Continuerete a fingervi uomo.»

    «Vostra Altezza, non so davvero come ringraziarvi. Io...»

    «Esiste un solo sistema per dimostrarmi la vostra gratitudine. Vi ho assegnato un nome nuovo e onorevole: dimostratevene all’altezza sia sul campo di battaglia sia altrove. Non infangatelo, finché lo portate.» La fissò dritto negli occhi, come per sondare l’entità del suo impegno.

    Sotto quello sguardo indagatore, Alexei Ivanovich Alexandrov si ripromise di servire fino alla morte lo Zar Alessandro.

    1

    Boulogne, giugno 1814

    Fu l’odore a svegliarlo.

    Per tre secondi, Dominic rimase immobile nel letto migliore del Lion d’Or, cercando di attribuire un senso alle percezioni. Buio... silenzio... fumo? Fuoco!

    Si alzò di scatto. Gli serviva una lanterna! E dove diavolo erano finiti i suoi calzoni?

    Un nitrito disperato si levò nella quiete che precedeva l’alba. Seguì un risucchio, come se un gigante avesse preso un’enorme boccata d’aria, poi un’intensa luce rossastra rischiarò la notte.

    Forse era scoppiato un incendio nella scuderia.

    Dominic spalancò la finestra e si sporse gridando: «Au feu! Au feu!», abbastanza forte da svegliare persino gli ubriachi. Per fortuna trovò pantaloni e stivali.

    A una voce nel cortile se ne unirono altre. Si levò il gemito disperato di una donna, poi si udì l’infausto scoppiettio del fuoco che divorava la paglia e le vecchie assi.

    Lui scese i gradini tre alla volta. Fuori regnava il caos. Gente urlante si agitava nel bagliore infernale, ma nessuno prendeva acqua né si occupava dei cavalli. Dominic afferrò per le spalle lo stalliere più vicino. «Alla pompa» gli ordinò in francese. «Riempite ogni contenitore possibile. E tu...» Afferrò un ragazzo per un lembo della camicia. «... tu chiama tutti gli uomini presenti e mettili in fila per passarsi i secchi. Voi due non state lì a guardare, iniziate a far uscire i cavalli!»

    In meno di un minuto, la confusione si mutò in una parvenza di ordine. Gli animali terrorizzati venivano tratti in salvo e l’acqua passava di mano in mano.

    L’incendio, però, non si placava.

    Il lato anteriore della scuderia e una parte dell’ingresso erano in fiamme. Un cavallo imbizzarrito rifiutava di lasciarsi condurre all’aperto: scrollava la testa, indietreggiava, agitava le zampe, infine colpì con un calcio lo stalliere e si rifugiò all’interno.

    Dominic si lanciò avanti, si caricò in spalla il giovane privo di sensi e corse verso la locanda. Vicino alla porta trovò una cameriera con gli occhi sbarrati, paralizzata dal panico. «Rendetevi utile» le raccomandò, posandole ai piedi il corpo inanimato. «Medicatelo.» Non aspettò risposta, ma corse a salvare i cavalli. Era rimasto un solo uomo a occuparsene e doveva bastare.

    Ormai il fumo era così denso che rendeva difficile vedere e respirare. Dominic cercò con lo sguardo un panno da usare per ripararsi naso e bocca, pentito di non essersi infilato la camicia. Non trovò niente, quindi dovette continuare senza ripari. Trasse un respiro profondo e si gettò nell’incendio.

    Nella stalla restavano circa dieci cavalli, forse anche di più. Verso il fondo, le fiamme non erano ancora divampate. Sentendo il battito nervoso degli zoccoli contro le pareti di legno, Dominic si lanciò all’interno a testa bassa, affidando allo stalliere l’area più vicina alla porta.

    Dalle volute nerastre emerse all’improvviso una figura snella che conduceva un cavallo per le briglie. Pareva un adolescente, in camicia da notte e stivali. Per quanto giovane, dimostrava una certa esperienza, avendo coperto gli occhi dell’animale affinché non si spaventasse.

    «Ben fatto» lo elogiò lui, senza smettere di correre. Non ottenne risposta: il ragazzo era troppo concentrato sul suo compito.

    Intanto trascorrevano minuti preziosi e l’incendio avvolgeva parti sempre più ampie dell’edificio. Eppure, l’adolescente in camicia da notte non perdeva coraggio e seguitava a entrare e uscire per salvare i cavalli. Era anche molto bravo a calmarli, mentre li guidava per le redini verso la porta. Più di una volta, Dominic ebbe l’impressione di sentirlo mormorare parole tranquillizzanti. Decise di cercarlo in seguito per complimentarsi con lui. Sarebbe stato fiero di avere un giovane così ardito al proprio servizio.

    Tornato in cortile, prese al volo uno straccio lanciato da un servitore. Si coprì il capo, sperando che lo sconosciuto facesse lo stesso, poi corse di nuovo tra le fiamme.

    La cavezza di uno degli ultimi cavalli rimasti era così tesa che Dominic non riusciva a sciogliere il nodo attorno all’anello di ferro. Mentre armeggiava disperatamente, rischiava di farsi spaccare il cranio da un calcio o di bruciare sul posto. Se solo avesse potuto reciderla!

    Una mano snella e forte emerse dal fumo con un pugnale, tagliò con un colpo deciso la fune, poi sparì nel nulla. Benedetto ragazzo! Il cavallo, di colpo libero, si impennò con un nitrito assordante. Dominic si chinò in fretta per evitare i colpi letali degli zoccoli e afferrò la corda. Doveva uscire al più presto, poiché il fuoco stava per intaccare il tetto.

    Riuscì a calmare la bestia recalcitrante e tornò all’aperto. Qualcuno aveva spaccato le assi della facciata con un’ascia per allargare la porta e rallentare il propagarsi dell’incendio. Dominic consegnò la fune a una mano tesa e, ignorando le piccole ustioni sul torso nudo, rientrò nella stalla per verificare che fosse vuota.

    A quanto pareva, il coraggioso adolescente aveva avuto la stessa idea. Le sua figura eterea si intravedeva appena nella penombra e nel fumo. Lui gli corse incontro. «Sono tutti fuori?» domandò a voce alta, per farsi udire sopra il fragore del fuoco.

    In quel momento uno schiocco inquietante echeggiò sopra le loro teste. Dominic scorse un’enorme trave in fiamme che cadeva in direzione del ragazzo. Senza esitare, si lanciò su di lui, lo afferrò per la vita e lo trasse da parte. Il pesante legno si abbatté a terra a poca distanza da loro e li inondò di scintille. La camicia da notte del giovane prese subito fuoco.

    Dominic tentò di sfilargliela.

    «Non!» fu la sua reazione disperata.

    Che sciocchezza! Non capiva che era meglio spogliarsi che bruciare?

    «Non!» gridò ancora il giovane, strappandogli di mano i lembi dell’indumento.

    Non c’era tempo per discutere e la soluzione era una sola. Dominic spinse giù il ragazzo e si gettò su di lui per soffocare il fuoco.

    A quel punto comprese: il corpo snello che si dibatteva sotto il suo non era affatto maschile, ma apparteneva a una straordinaria giovane donna.

    Glielo confermava la propria immediata reazione fisica, assurda in quel momento di emergenza.

    Un gemito di protesta lo riportò alla realtà. Non c’era tempo per interrogarsi sulla strana situazione; bisognava scappare al più presto, prima che l’intero edificio crollasse su di loro.

    Dominic balzò in piedi e sollevò la ragazza per le braccia. «Venez!» la spronò

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