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Una distrazione per il capo: Harmony Collezione
Una distrazione per il capo: Harmony Collezione
Una distrazione per il capo: Harmony Collezione
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Una distrazione per il capo: Harmony Collezione

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About this ebook

Nella macchina perfettamente oliata che è la vita di Rafael, non c'è spazio per le distrazioni.

Il primo contatto di Libby Marchant con Rafael Alejandro, il suo nuovo capo, non è esattamente quello che si può definire un incontro. Più che altro, infatti, si è trattato di uno scontro... con la sua macchina sportiva.
La bella e imprevedibile Libby fa immediatamente colpo su di lui, ma essendo una sua dipendente Rafael è sicuro di saperla tenere alla giusta distanza. O, almeno, questi sono i programmi, visto che la sua politica di separazione fra lavoro e vita privata sta per essere messa in discussione. Da lui stesso...
LanguageItaliano
Release dateSep 9, 2018
ISBN9788858986608
Una distrazione per il capo: Harmony Collezione
Author

Kim Lawrence

Autrice inglese, rivela nei suoi romanzi la propria passione per le commedie brillanti.

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    Una distrazione per il capo - Kim Lawrence

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Thorn in His Side

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2011 Kim Lawrence

    Traduzione di Laura Pagliara

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    HHarlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-660-8

    1

    Il telefono squillò proprio mentre Libby stava imboccando l’uscita per l’area di servizio dell’autostrada.

    Raggiunse il primo parcheggio libero e infilò impaziente la mano in tasca. «Mamma...?»

    «Ti sembro tua madre?»

    No, sempre che sua madre non avesse acquisito un forte accento irlandese nelle due settimane in cui Libby era stata a New York. «Chloe?»

    «Libby, tesoro, mi stavo giusto chiedendo se passi per il paese quando rientri dal lavoro.»

    «Veramente, non sono al lavoro. Sto tornando dall’aeroporto.»

    Ci fu un breve silenzio, poi l’amica, con un sospiro colpevole, aggiunse: «Oddio, certo! Scusa, me ne ero dimenticata».

    Non era l’unica, pensò Libby, aggrottando preoccupata la fronte. «Per caso hai visto i miei genitori, Chloe?»

    «Perché, tu non li hai visti? Pensavo che fossero venuti a prenderti in aeroporto.»

    «Sì, dovevano» ammise Libby. «Ma non si è presentato nessuno e quando li ho chiamati non hanno risposto... così ho noleggiato una macchina.» Smise di parlare e scosse la testa, le sopracciglia regolari s’incresparono in un’espressione di ansia. «Non è da loro, ma sono sicura che ci sia una spiegazione molto semplice...» aggiunse, senza riuscire a soffocare una nota di dubbio nella voce.

    «Sono certa che è così» rispose Chloe in tono rassicurante. «E non ha niente a che vedere con ambulanze o attacchi di cuore, tuo papà sta bene, e non negare che ci stavi pensando. So bene come funziona la tua mente.»

    Prima che Libby potesse rispondere all’accusa, dall’altra parte del filo risuonò uno sbadiglio talmente forte da farla sorridere.

    «Perché nessuno dice mai che la maternità ti manda il cervello in pappa?» si lamentò l’amica.

    Libby fece una smorfia di comprensione. «Mi sembri esausta.»

    «Sono rimasta in piedi tutta la notte» ammise Chloe, sbadigliando di nuovo.

    «Come sta la mia figlioccia?»

    «Credo stia mettendo i denti, o sono coliche, non so. Sono appena riuscita a farla addormentare. Allora, com’è andato il viaggio?»

    «A meraviglia.»

    «E la tua amica Susie ti ha presentato qualche bel fusto americano?»

    «Sì, in effetti.»

    All’altro capo del telefono esplose un grido di gioia. «Dai, raccontami tutto.»

    «Non c’è assolutamente niente da raccontare, lui era carino, ma...»

    Chloe mugolò, delusa. «Fammi indovinare... non era il tuo tipo. C’è mai uno che sia il tuo tipo, Libby?» Sembrava esasperata. «Con il tuo aspetto potresti avere tutti gli uomini che vuoi... uno per ogni giorno della settimana!»

    «Perché? Ti sembro una donna dozzinale e facile?»

    «Dozzinale quanto uno champagne d’annata, per questo fai scappare la metà degli uomini... troppa classe.»

    «Bella teoria, ma, tornando a cose più sensate... cosa vuoi che ti prenda in paese?» chiese Libby, soffocando il forte desiderio di arrivare a casa. Qualsiasi cosa fosse accaduta, cinque minuti in più non avrebbero fatto una grande differenza.

    «No, non ti preoccupare, non importa.»

    Dopo una breve discussione, Libby scoprì che l’articolo di cui Chloe aveva bisogno era Eustace, un labrador piuttosto incline agli incidenti, da prelevare dal veterinario.

    «Qualcuno ha lasciato il cancello aperto e quel disastro di Eustace è uscito. Secondo me, in una vita precedente, quel cane è stato un vagabondo. Mike lo ha trovato tutto aggrovigliato nel filo spinato.»

    «Ahi, povero Eustace! Non ti preoccupare, sono di strada, lo...»

    «Non è vero.»

    Libby ignorò l’interruzione. «Non è un disturbo» mentì.

    Un’ora più tardi, Libby si sentì sollevata alla vista del paese. La pioggia aveva reso la guida in autostrada un incubo, ma ora finalmente era cessata, anche se le pozzanghere nella stradina di campagna dove aveva parcheggiato sembravano piccoli laghi. Quando tornò alla macchina con il labrador aveva tutte le scarpe zuppe e le gambe schizzate di fango.

    L’animale tirava il guinzaglio, irrequieto, mentre Libby armeggiava alla ricerca delle chiavi per aprire la portiera. Quando finalmente le strinse fra le dita, il tacco le rimase impigliato in una buca del terreno accidentato. Libby vacillò e, nello sforzo di rimanere in piedi per non atterrare schiantandosi sgraziatamente nel fango, perse l’equilibrio e mollò il guinzaglio.

    «Perfetto!» disse a denti stretti, mentre, continuando a sorridere, si avvicinava al cane che se ne stava seduto poco distante con un’espressione compiaciuta.

    «Bravo, Eustace» lo blandì, avanzando lentamente con la mano tesa. «Rimani dove sei, non ti muovere...»

    Il guinzaglio era a pochi allettanti centimetri di distanza dalle dita, quando il cane scappò via lungo la stradina abbaiando come un matto.

    Libby chiuse gli occhi e sospirò. «Non ci posso credere!» Poi scattò all’inseguimento.

    Quando lo raggiunse, aveva il fiatone e una fitta al fianco. Il cane sedeva nel mezzo della stretta stradina e batteva la coda contro il terreno come fosse un metronomo, guardando Libby con occhi espressivi.

    «Mi fa piacere che almeno qualcuno si diverta» gracidò Libby piegandosi in avanti, le mani appoggiate alle cosce, mentre cercava di riprendere fiato. «Oddio, sono così fuori forma.»

    Con l’avambraccio scostò dagli occhi alcune ciocche ostinate dei suoi folti capelli castano ramati. Si drizzò, sistemò i capelli dietro le orecchie in modo professionale e mosse cauta un altro passo verso il cane. Quello abbaiò giocoso e fece un balzo indietro.

    Frustrata, Libby si morse il labbro, lanciando a Eustace uno sguardo truce.

    «Mi rifiuto di essere presa in giro da un animale che perfino i padroni considerano un imbranato!» protestò, e nello stesso istante pensò: Ehi, stai parlando a un cane. E quando ti aspetterai che ti risponda sarà il momento di cominciare a preoccuparsi.

    Il monologo interiore fu bruscamente interrotto dal rumore di un potente motore. I trattori erano di solito l’unico genere di veicolo che percorreva le strade dei dintorni, ma quello non sembrava un trattore.

    Non lo era.

    Fu difficile ricordare la sequenza esatta degli eventi dopo il fatto, i pochi secondi che seguirono rimasero sempre sfocati nella mente di Libby. Un momento prima lei stava osservando l’elegante macchina nera dirigersi a velocità impressionante contro Eustace, che pensava chiaramente si trattasse della seconda fase del grande gioco, e il momento dopo si trovava in mezzo alla strada con le mani alzate – le era sembrata una buona idea, al momento – in procinto di essere investita dall’auto.

    Quando Rafael aveva preso la deviazione per evitare l’ingorgo in autostrada, e si era ritrovato a percorrere stradine strette e tortuose, non se ne era preoccupato eccessivamente. Non aveva pensato a usare il navigatore, né a consultare la mappa stradale nel vano portaoggetti. Aveva preferito affidarsi al suo eccellente e innato senso dell’orientamento. E le verdi stradine dell’Inghilterra non sembravano così pericolose, se paragonate ad alcuni luoghi che aveva percorso in passato.

    Mentre guidava, i pensieri tornarono a un viaggio in solitaria che aveva fatto a diciassette anni attraverso le catene montuose della Patagonia, con una Jeep sgangherata che andava regolarmente in panne e che alla fine era stata spazzata via dall’acqua. Come faceva a sapere che quella strada in realtà era il letto di un fiume? Il ricordo di com’era riuscito ad aprire la portiera bloccata e a saltare fuori nel torrente violento, pochi secondi prima che la Jeep fosse scaraventata giù dalla montagna, disegnò un sorriso rapace sul suo volto magro.

    D’improvviso, Rafael avvertì una stretta al petto, una sensazione simile all’invidia, e l’espressione tornò a farsi seria, intensificando la qualità cupa dei suoi lineamenti scuri.

    Invidia?

    O insoddisfazione?

    Rafael aggrottò le sopracciglia scure e socchiuse gli occhi ambrati. Né l’una né l’altra potevano essere risposte logiche o motivate, non per un uomo che possedeva tutto quello che aveva lui.

    Attribuì in parte quel suo stato d’animo insolitamente introspettivo a un incontro che aveva avuto il giorno precedente.

    Un incontro che avrebbe potuto evitare, ma per Rafael c’erano cose che chiunque, anche un uomo irresponsabile e vergognosamente incompetente come Marchant, meritava di sentirsi dire di persona, e spiegare che stava per perdere l’azienda e la casa era una di quelle cose!

    Non si era certo aspettato che fosse piacevole e, difatti, non lo era stato! Vedere quell’uomo annientato, per quanto incapace e idiota che fosse, era stato penoso.

    Gli si era disintegrato davanti agli occhi. Imbarazzato per lui, Rafael aveva trovato di cattivo gusto l’esibizione lacrimevole di vittimismo da parte dell’inglese.

    E pur sapendo che Marchant era stato il solo artefice della propria sfortuna, non senza un piccolo aiuto da parte del nonno di Rafael, nel prendere congedo aveva provato un irrazionale senso di colpa, che era ben presto svanito quando l’altro gli aveva gridato dietro: «Se tu fossi mio figlio...».

    «Se fossi suo figlio, l’avrei mandata in pensione prima che facesse fallire l’azienda e perdesse la casa di famiglia» gli aveva fatto eco Rafael con voce strascicata.

    Dando prova di una presenza di spirito maggiore di quanto lui avesse osservato, l’uomo gli aveva risposto per le rime.

    «Spero che un giorno tu possa perdere tutto quello che ami e spero, lo spero davvero, di essere lì a osservare!»

    Forse, quelle parole gli erano rimaste dentro perché la maledizione era apparsa del tutto inopportuna?

    Rafael aveva perso l’unica cosa che avesse mai amato molto tempo prima, e del dolore di quella perdita non era rimasto che un ricordo ora. Non voleva più rischiare di esporsi a una simile esperienza; non c’era nulla e nessuno nella sua vita che lui amasse. Avrebbe potuto perdere tutta la ricchezza accumulata anche il giorno dopo senza provare alcun dolore; una piccola parte di lui avrebbe perfino gradito la sfida di ricominciare daccapo.

    A trent’anni aveva ottenuto tutto quello che aveva voluto e ben di più. La domanda adesso era: dove sarebbe potuto arrivare ancora?

    Il problema principale era rimanere motivati. Il successo finanziario che aveva raggiunto andava oltre i sogni più sfrenati della maggior parte delle persone. Gli angoli delle labbra di Rafael si sollevarono, accennando un sorriso di scherno. La sua vita era dolce, così dolce che quasi invidiava il bambino che era stato, il bambino che aveva condotto una vita dura e grama, confidando solo sull’intelligenza e la scaltrezza per sopravvivere.

    «Allora, di cosa hai bisogno per essere felice, Rafael Alejandro?» si schernì.

    Fu un tutt’uno fra la domanda e l’imprecazione che gli uscì dalle labbra quando, all’improvviso, vide una figura di donna apparire dal nulla in mezzo alla strada.

    Sembrava essersi materializzata nel crepuscolo; per una frazione di secondo si trovò nella luce dei fari, simile a un’apparizione spettrale.

    Rafael ebbe l’impressione fugace di una figura esile, un volto color alabastro e una nuvola di capelli rosso scuro. Non ebbe il tempo di registrare altro. Era troppo occupato a non aggiungere l’omicidio alla lista dei peccati di cui si era macchiato di recente, mentre lottava per evitare la collisione che sembrava ormai inevitabile.

    Non aveva mai accettato l’inevitabile nella sua vita.

    Di fronte al pericolo, reagiva dimostrando riflessi felini e sangue freddo... oltre a una buona dose di fortuna, s’intende. Mai sottovalutare

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