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Piovuta dal cielo (eLit): eLit
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Piovuta dal cielo (eLit): eLit
Ebook152 pages2 hours

Piovuta dal cielo (eLit): eLit

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About this ebook

The personal touch 1

Jane Dobson sa benissimo di essere un caso senza speranza. Che chance può avere lei, segretaria poco appariscente, di far colpo sul capo, Charles Warren, il sogno di ogni donna? Quasi nessuna... almeno finché viene colpita, con tanto di bernoccolo in testa, da Cupido in persona, sotto forma di una statuetta. E da quel momento, convinta di essere l'ex fidanzata di Charles di nuovo in auge, non pensa ad altro che a organizzare le nozze.
LanguageItaliano
Release dateNov 5, 2018
ISBN9788858993910
Piovuta dal cielo (eLit): eLit
Author

Jo Leigh

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Book preview

    Piovuta dal cielo (eLit) - Jo Leigh

    Immagini di copertina:

    Depositphotos / eyematrix

    Depositphotos / rea_molko

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Ms. Taken

    Harlequin Temptation

    © 2000 Jolie Kramer

    Traduzione di Domenica Franzini

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2000 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-391-0

    1

    Un’arancia. Cinque cracker. Tre carote. Una fetta di emmental svizzero tagliato a cubetti. Due biscotti al cioccolato.

    Jane Dobson osservò compiaciuta il proprio pranzo, sorridendo della precisione geometrica con cui lo aveva disposto sul tovagliolo, davanti a sé.

    Prima di iniziare a mangiare prese il frutto e si accinse a sbucciarlo, imprecando con se stessa a causa delle unghie troppo corte. Prima o poi doveva smettere di mangiarle, ma per quanto si sforzasse non ci era ancora riuscita.

    Non che avesse molta importanza per Jane. Le notava soltanto quando batteva sulla tastiera del computer, al lavoro. Inoltre, come amava ripetere a coloro che le facevano notare quella pessima abitudine, lei era una semplice segretaria, non una modella o qualcosa di simile.

    Quando l’arancia fu totalmente priva della buccia, divise con attenzione gli spicchi e li dispose artisticamente sul tovagliolo. Portò il primo alla bocca e, nel percepire la sua acidità, le labbra si piegarono in una smorfia di disgusto.

    Ma le bastò voltare lo sguardo alla propria destra per dimenticare il sapore aspro del frutto. Quel lato della scrivania era sommerso di cartoncini di Natale di sua creazione e, benché non li avesse ancora completati, era piuttosto soddisfatta del risultato. Alcuni erano molto religiosi e rappresentavano la Sacra Famiglia e i Re Magi, altri erano più bucolici, con renne, pecore e cerbiatti immersi in delicati paesaggi invernali, altri ancora rappresentavano il lato più consumistico del Natale e ritraevano Babbo Natale in svariate pose.

    Decisamente un buon lavoro, ma d’altronde lei era sempre stata brava con carta, forbici e colla.

    Infilò in bocca un cubetto di formaggio e lo masticò piano, come faceva sempre quando mangiava. Quella sua abitudine irritava profondamente gli altri membri della famiglia Dobson, ma Jane non ci faceva caso. Non le importava nulla di essere considerata una persona eccentrica e un po’ fuori di testa, perché erano proprio quelle caratteristiche a renderla speciale.

    «Fa’ in modo che lui non ti veda giocare con quei cartoncini, o farai la fine delle altre!»

    Jane alzò lo sguardo su Kadisha King, che occupava la scrivania accanto alla sua, e fece spallucce. «È Natale.»

    «A lui non importa. Il signor Warren ha dichiarato espressamente che ogni tipo di decorazione personale è bandita dall’ufficio» ribatté l’altra con espressione fin troppo seria.

    «Lo so, ma sono certa che la regola non vale durante le festività.»

    «Fossi in te non ne sarei così sicura» le fece notare la collega. «Comunque, fa’ come vuoi. Ti ricordo soltanto che il grande capo ha cambiato ben undici assistenti negli ultimi tre anni. Sai cosa significa, vero?»

    Jane scrollò il capo. Era impiegata alle Industrie Warren da un anno soltanto e non conosceva tutti i succulenti pettegolezzi dell’ufficio. «Non credo. Io...»

    «Scusa, ora devo tornare al lavoro.» Kadisha le sorrise e si affrettò verso la propria postazione, lasciando l’altra alle prese con il suo spuntino e i suoi cartoncini.

    Charley non è severo come lo dipingono. Semplicemente non ha accanto le persone giuste. Di questo Jane era certa. Il giorno in cui la loro storia fosse iniziata, anche il rigido Charles Warren sarebbe cambiato.

    Per il momento, però, doveva accontentarsi di vederlo quando lui la convocava nel suo ufficio oppure di sognarlo. Notte e giorno.

    Lui le sorrise in quel suo modo adorabile, facendole tremare le ginocchia. Un estraneo non avrebbe colto la complicità tra loro, ma Jane... Lei conosceva il significato di un sorriso come quello. Amore, passione, impegno e dedizione. Glielo aveva rivelato lui stesso pochi giorni prima. Senza di lei la sua vita sarebbe stata vuota e miserabile.

    Charley la prese tra le braccia e alzò lo sguardo sull’enorme albero di Natale che adornava il loro salotto. Nella scatola era rimasta una sola decorazione e lui l’appese al ramo più vicino, cercando con gli occhi l’approvazione di lei. Jane rise, quindi spostò l’angioletto dorato un po’ più in alto.

    «Che stupido» si rimproverò lui. «Hai ragione tu, come al solito. Cosa farei senza di te?»

    Aveva parlato in tono dolcissimo, e lei arrossì emozionata. Gli allacciò le braccia al collo e posò le proprie labbra sulla sua bocca. Lui la strinse a sé e...

    Il suono dell’interfono, mai così acuto come in quell’istante, fece sobbalzare Jane sulla sedia, risvegliandola. Charley la voleva nel suo ufficio.

    Senza perdere neppure un secondo, prese matita e blocco per appunti e si diresse a grandi passi verso l’ufficio del capo. Giunta davanti alla sua porta si aggiustò la gonnellina scozzese da venticinque dollari e il maglioncino rosso acquistato al mercato per soli sei dollari e ottanta, quindi si portò una mano al baschetto a quadri che portava in testa. Era coordinato alla gonna, e nonostante le sue colleghe lo avessero giudicato leggermente ridicolo, a lei piaceva molto. Adorava i cappelli e a casa ne aveva una collezione intera, di ogni foggia e colore.

    Fu solo dopo aver aperto la porta che ricordò di controllare di non avere rossetto sui denti. Con nonchalance si passò l’indice destro sugli incisivi ed emise un sospiro di sollievo. Bene. Lui non l’aveva vista. A dire la verità, non si era neppure accorto che qualcuno era entrato nella stanza.

    Mentre si avvicinava piano all’enorme scrivania in rovere, il cuore di Jane batteva all’impazzata. Più si avvicinava all’uomo dei suoi sogni, più il respiro si faceva affannoso e le gambe vacillavano. Sarebbe dovuta essere abituata allo sconvolgimento emotivo che la sua vicinanza le causava, ma non era così. Ogni volta era certa che sarebbe svenuta ai suoi piedi. Fortunatamente non era successo. Non ancora, perlomeno.

    «Mi dica, signore.»

    Lui ci mise parecchi secondi prima di alzare lo sguardo su Jane, e lei ne approfittò per contemplarlo. Charles Warren era un uomo bellissimo, anche se non in modo convenzionale. Il naso leggermente aquilino, la piccola cicatrice sulla fronte... Quanto amava quei piccoli difetti! I suoi occhi, invece, erano perfetti. Scuri e penetranti, ipnotici, a volte. E quando sorrideva, mettendo in mostra i denti perfetti, a lei sembrava di morire e subito risuscitare in paradiso. Era alto un metro e ottanta circa, con un corpo forte e possente. Per non parlare delle braccia! Il giorno in cui l’impianto di condizionamento dell’aria era andato in tilt e lui era stato costretto ad arrotolare le maniche della camicia sugli avambracci per ripararlo, Jane non era riuscita a staccare lo sguardo dai suoi muscoli.

    «Si sieda. Devo dettarle una comunicazione.»

    Lei sobbalzò impercettibilmente. «Sissignore» rispose. Si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania, accavallando piano le gambe e aggiustandosi la gonna per non scoprire troppo le cosce.

    «Scriva, e faccia attenzione a non sbagliare. Holly Baskin, ex alunna di Vassar, chiama C. W.»

    «Continui.»

    «Tutto qui.» rispose lui, in tono brusco. «Voglio che trascriva questo messaggio e che lo porti alla redazione della rivista Attitudes domani mattina presto. Desidero che compaia sul numero che uscirà esattamente il diciotto dicembre.»

    «Nella rubrica degli annunci personali?»

    «Sì.»

    «Holly Baskin?»

    Lui sillabò di nuovo quel nome, lettera per lettera, quindi alzò lo sguardo sulla sua assistente. A un estraneo sarebbe sembrata più un’occhiata distratta che uno sguardo intenzionale, ma lei, che lo conosceva bene, non si fece ingannare. I suoi occhi erano colmi di bruciante passione. La amava, di questo era certa. Semplicemente lui non lo sapeva ancora.

    Ma in quel momento il problema era un altro: chi era Holly Baskin? Perché Charles la stava cercando tramite una rivista? Che Attitudes non fosse una rivista qualunque, ma la più letta dalla buona società newyorkese, non aveva alcuna importanza. La preoccupava che il suo uomo fosse alla ricerca di un’altra donna. Un’amica di vecchia data? Una collega di lavoro? Una compagna di università? O forse una vecchia amante?

    Dio, fa’ che non si tratti di una ex fidanzata!

    Jane si mise a fissare Charles, ma la sua espressione impenetrabile non le permise di scoprire ciò che voleva.

    «Signorina Dobson?»

    «Sì?»

    «Si può sapere perché è ancora qui?»

    Fu come se qualcuno le avesse versato addosso un secchio di acqua gelata. Si alzò in fretta dalla sedia e, farfugliando un saluto incomprensibile, corse verso la porta. Il taccuino degli appunti le scivolò dalle mani e dopo averlo raccolto, imbarazzata più che mai, si chiuse la porta alle spalle.

    Accidenti a lei e alla sua emotività! Quando fu di nuovo alla scrivania, si mise a fissare l’annuncio che lui le aveva dettato. Holly. Che nome assurdo. Charles aveva bisogno di una donna con un nome più deciso, più tradizionale. Jane, per esempio.

    Il telefono accanto a lei squillò in quell’istante, interrompendo i suoi pensieri. «Ufficio del signor Warren» rispose in tono professionale.

    «Ciao, Janey.»

    «Oh, Darry, sei tu. Come stai?»

    «Bene» rispose sua sorella in tono affettato. «Ti chiamo per dirti che fra poche settimane inaugureremo un altro ristorante non lontano dal tuo ufficio.»

    Quell’annuncio stupì Jane. La sorella e le sue colleghe modelle avevano aperto ben cinque ristoranti negli ultimi due anni, ma non si erano mai degnate di invitarla e unirsi così a loro e agli amici altolocati. Perché questa volta sarebbe dovuto essere diverso?

    «Jane, sei ancora in linea?»

    «Sì.»

    «Ti piacerebbe venire?»

    «Io?»

    «Sì, tu. È ora che tu veda di che cosa mi occupo, oltre ai servizi fotografici, le sfilate e la pubblicità.»

    «Be’, sono stata nel vostro ristorante di Soho, qualche mese fa.»

    «Davvero?» ribatté Darry in tono assai sorpreso. «Come ti è sembrato?»

    Jane tossicchiò prima di rispondere. «Carino. Moderno.» Troppo moderno, per i suoi gusti. Ma questo non lo disse alla sorella, per paura di offenderla.

    «Bene, ti metto nella lista degli invitati allora. L’inaugurazione si terrà domenica ventitré dicembre.»

    «Grazie.»

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