Preziosi ricordi: Harmony Destiny
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Soldi e potere aprono ogni porta.
Tranne quella del cuore.
Un istante... e la vita può cambiare. È precisamente ciò che accade ad April Fairchild quando, all'improvviso, si ritrova senza memoria, con un hotel da sogno che non immaginava di possedere e un sexy milionario molto interessato a lei, anche se per i motivi sbagliati. Seth Kentrell infatti è lì per riprendersi l'albergo di famiglia e, sebbene sensibile al fascino ammaliante e alla voce di velluto di April, non intende farsi coinvolgere da qualcuno della cui onestà dubita fortemente. April, dal canto suo, non ha intenzione di prendere alcuna decisione se prima non le sarà tornata la memoria. A questo punto Seth può solo cercare di persuaderla... con ogni mezzo.
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Book preview
Preziosi ricordi - Rachel Bailey
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Million-Dollar Amnesia Scandal
Silhouette Desire
© 2011 Rachel Robinson
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-085-9
1
Entrando nella stanza della clinica privata di New York, Seth Kentrell infilò le mani nelle tasche e si guardò intorno. Che cosa vedeva? Trattamento medico di prim’ordine, il meglio che il denaro potesse comprare, e una camera che non avrebbe affatto sfigurato in uno dei lussuosi alberghi di sua proprietà. Per una star del jazz come April Fairchild, non ci si sarebbe potuto aspettare nulla di meno.
Spostò lo sguardo sulla donna che giaceva nel letto, apparentemente illesa, gli occhi chiusi, la pelle diafana... meravigliosa. Che era bella lo sapeva già, la sua immagine gli era familiare. Ma in carne e ossa era addirittura divina. Persino addormentata.
Era con la sua bellezza che aveva irretito suo fratello Jesse, portandoselo a letto per poi sottrargli uno dei suoi lussuosi alberghi?
Al pensiero del fratello, fu come se ricevesse una staffilata in petto. Erano passati otto giorni e ancora non si capacitava che Jesse non ci fosse più. Che fosse morto.
Serrò i pugni nelle tasche, come se potesse difendersi dal dolore. Ma non c’era nulla in grado di mitigarlo. Suo fratello se n’era andato per sempre. E quella donna era l’ultima persona ad averlo visto vivo.
Mentre si avvicinava, lei si mosse nel sonno e Seth si fermò. Non voleva svegliarla. Non conosceva la gravità delle ferite riportate durante l’incidente che era costato la vita a Jesse. Televisione e giornali avevano trasmesso solo notizie generiche. Per questo Seth era lì. Per saperne di più.
April Fairchild si mosse di nuovo. Il viso si contrasse in una smorfia, poi si rilassò. Seth increspò la fronte. Soffriva? Aveva riportato ferite che le avevano danneggiato il bel corpo nascosto sotto le coperte? Inspirò e trattenne il respiro, incerto se chiamare o no un’infermiera. E se...
Bloccò il pensiero appena abbozzato. Non poteva permettersi di perdere di vista il motivo per il quale si era recato lì. Rivoleva indietro il Lighthouse Hotel o rischiava di perdere le alleanze che si era così faticosamente costruito all’interno del consiglio d’amministrazione. Nel lasciare eguali quote societarie ai suoi figli legittimi e illegittimi, l’intento di suo padre era stato quello di riunire la famiglia; e invece non aveva fatto altro che scatenare un pandemonio. Con la morte di Jesse, la parte di patrimonio che lui e Seth avevano congiuntamente ereditato dal genitore era passata tutta a Seth. Il che significava che ora lui e il suo fratellastro Ryder Bramson possedevano ciascuno la metà del patrimonio di Warner. Finché non era comparso un altro uomo, J.T. Hartley, che diceva di essere anche lui figlio di Warner e, in quanto tale, reclamava parte dell’eredità.
Allo stesso modo, Seth non voleva trovarsi in svantaggio neppure con Ryder Bramson. Nel giro di pochi mesi aveva perso suo padre e Jesse; avrebbe perso anche la sua compagnia, se non fosse riuscito...
La porta si aprì e si richiuse dietro di lui. Piroettò su se stesso e si trovò davanti una donna di mezza età, esageratamente magra, che entrava, con piglio determinato, nella stanza.
«Lei chi è? Un altro dottore?» gli chiese con modi spicci.
«No.»
«Un fisioterapista?»
«Non faccio parte del personale ospedaliero.»
La donna si irrigidì. «È un giornalista?»
«No. Il mio nome è Seth Kentrell.»
La vide sgranare gli occhi. Aveva riconosciuto il nome. «Come ha fatto a entrare?»
Domanda più che legittima. Aveva detto all’uomo che sorvegliava la stanza di April di essere dell’ufficio legale della cantante e gli aveva mostrato il suo nome sul contratto che si era portato dietro. L’uomo aveva sì controllato il nome, ma lo aveva fatto entrare senza problemi. Se fosse stato un addetto alla sorveglianza della Bramson Holding, lo avrebbe licenziato seduta stante.
Inarcò un sopracciglio. «La domanda che dovrebbe rivolgermi è perché sono qui.»
«È lei l’intruso. Le domande le faccio io.» La donna si morse le labbra. Si capiva che voleva chiedergli proprio ciò che lui le aveva appena suggerito, ma esitava. Alla fine, però, cedette. «Perché è qui?»
Seth sorrise. «Per salvare la signorina Fairchild da una spiacevole battaglia legale. Mi creda, è nel suo interesse parlare con me quanto prima.»
Dei mugolii giunsero dal letto e, voltandosi, Seth vide che April si stava svegliando. Aprì gli occhi lentamente, occhi di un meraviglioso color nocciola che, non appena si posarono su di lui, lo lasciarono senza fiato. Era come una rosa calpestata, gettata da una parte e abbandonata, eppure sempre stupenda. Aveva una pelle di porcellana, i capelli una cascata di caramello con striature di miele che le fluiva attorno alle spalle. Seth si sentiva attirato da lei come per effetto di un campo magnetico... Distolse lo sguardo, spezzando l’incantesimo.
Allargò le spalle, si riprese e tornò a guardarla. April teneva gli occhi strizzati per metterlo a fuoco nella luce abbagliante che inondava la stanza. Seth corse alla finestra e chiuse le tende. Lei si rilassò e aprì gli occhi completamente.
La donna di mezza età la raggiunse. «April, cara, ti sei svegliata.»
Lei corrugò la fronte, poi fece una smorfia di dolore. «Ci dev’essere un errore.»
Scosse il capo e guardò di nuovo Seth. «Io non mi chiamo April.»
La donna le strinse la mano e le parlò dolcemente: «Sì, invece. Ti chiami April Fairchild. E sei mia figlia».
E così, la signora era sua madre, oltre che il suo manager, così come aveva appreso dalle indagini che Seth aveva svolto. La guardò più attentamente. Pareva un ragno, con quelle sue gambe e braccia sottili come stecchi, e quel modo di fissare la figlia, come se volesse attirarla nella sua tela. L’istinto gli diceva di non fidarsi di lei.
April si tirò su con la schiena e guardò fissa la madre, poi si riappoggiò al cuscino. «Mi dispiace, ma io non ti conosco. Ci dev’essere un errore.»
La donna esibì un sorriso tirato. «Dimmi di tua madre, allora. E dimmi come ti chiami.»
Gli occhi marroni di April si spostarono verso Seth, poi tornarono su di lei, atterriti.
La donna le chiuse il viso fra le mani. «Non preoccuparti, tesoro, i dottori dicono che presto ricorderai.»
«Da quant’è che mi trovo qui?» chiese April, poggiando una mano pallida sul petto e raggrinzendo le lenzuola nel pugno.
«Otto giorni» rispose la madre, con lo stesso sorriso tirato di prima. «Sei rimasta incosciente per i primi cinque giorni, ma negli ultimi tre hai cominciato a svegliarti. E, ogni volta, non ricordi nulla.»
La mano di April tremò, serrandosi ancora di più attorno alle coperte. «Perché ho perso la memoria? Ho battuto la testa?»
«I medici dicono che è tutto a posto» la rassicurò la madre con voce melodiosa. «Hai solo un’amnesia retrograda. Ma al più presto comincerai a ricordare.»
Seth rimase immobile mentre osservava April per scoprire eventuali segni che potessero indurlo a pensare a una recita. In fondo, era riuscita ad abbindolare suo fratello e a sfilargli un albergo di lusso in cambio di uno studio di registrazione e un’etichetta discografica che presto non sarebbero valsi nulla. E ora che Jesse era morto e lui era andato da lei per sistemare le cose, quella donna diceva di non ricordare più nulla.
Non credeva nelle coincidenze e c’era qualcosa in quella sua amnesia che non lo convinceva...
Rifocalizzò l’attenzione sulla cantante dalla bellezza stratosferica distesa in quel letto d’ospedale. Le tremavano le labbra. Gli occhi parevano enormi in quel suo viso delicato. L’effetto d’insieme era di grande fascino misto a ingannevole vulnerabilità. Incrociò le braccia sul petto. Non poteva permettersi di farsi incantare anche lui.
April si rivolse alla donna che le stava accarezzando la mano. «Tu sei mia madre?»
«Sì.»
Guardò lui, gli occhi scrutatori. «E tu chi sei? Il mio fidanzato?» Seth non disse nulla, ma il cuore si impennò al solo pensiero che lei fosse la sua amante. «Marito?»
La madre le si parò davanti, interrompendo il contatto visivo tra i due. «Non lo conosci. Non dovrebbe neppure essere qui» disse, torcendo le dita attorno al lenzuolo.
Seth si spostò, superando la barriera che la donna gli aveva fornito con il suo corpo, ostruendogli la visuale. «E, invece, eccomi qua.»
«Penso che sia meglio che se ne vada, ora. Affronteremo l’argomento quando...»
«Sei proprio sicura che mi chiamo April?» la interruppe la figlia, agitata. «Il mio nome, almeno, dovrebbe suonarmi familiare.»
La madre si sforzò di sorridere. «Sei April Fairchild. Ne sono più che sicura, dal momento che ho compilato io stessa il tuo certificato di nascita.»
April si succhiò il labbro inferiore e lo bloccò fra i denti mentre si voltava verso di lui. «E lei chi è?»
L’intensità del suo sguardo gli scaldò il sangue nelle vene.
Si schiarì la voce. «Seth Kentrell. Abbiamo una faccenda urgente da risolvere.»
«Così urgente da venire a trovarmi in ospedale?» April batté le palpebre, con aria confusa e innocente, ma Seth rammentò a se stesso che era una persona abituata a recitare. Calcava le scene da quando aveva tredici anni.
Che fosse necessario il suo ricovero in ospedale dopo il grave incidente stradale in cui era rimasta coinvolta era fuori discussione. Che se ne stesse o no approfittando per tenersi l’albergo che aveva sottratto al fratello era un altro paio di maniche. «Sì.»
Lei aggrottò la fronte ed emise un lamento. Si portò, quindi, le mani alle tempie. «Che cosa mi è successo?»
Le dita ossute della madre si strinsero di nuovo attorno alla sua mano. «Hai avuto un incidente d’auto.»
April ansimò. «Credi che possa avere un antidolorifico?»
Seth si protese verso di lei e pigiò un tasto sul pannello sopra il letto. April poggiò la testa contro il cuscino e lo guardò, chiedendosi chiaramente se lui e sua madre non le stessero mentendo. Seth continuò a tenere la mano contro il pannello, domandandosi se per caso non gli stesse dicendo la verità e davvero non ricordasse più nulla.
L’infermiera si precipitò nella stanza e disinserì la chiamata.
«La signorina Fairchild ha bisogno di un antidolorifico» la informò Seth.
L’infermiera consultò la cartella clinica