Sospetti e passioni
By Mary Nichols
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About this ebook
Non è facile per una donna trovare lavoro, soprattutto se non può presentare referenze adeguate, ma Diana è decisa a riuscirci, e quando viene a sapere che l'emporio Harecroft sta cercando un commesso non si lascia sfuggire l'occasione. Assunta grazie al provvidenziale intervento di Lady Harecroft in persona, la giovane si ritrova a dover affrontare uno spinoso problema: il suo passato infatti è avvolto nel mistero e il nipote della gentildonna cerca in ogni modo di ostacolarla, convinto che lei sia una donna priva di scrupoli e pronta a tutto pur di assicurarsi un posto nell'alta società. Più Richard conosce Diana, tuttavia, più desidera essere lui la posta in palio nella pericolosa partita che la giovane sta giocando.
Mary Nichols
Nata a Singapore, si è trasferita in Inghilterra giovanissima e prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura ha lavorato in ospedale, nella scuola e nell'industria. La ragazza di cristallo è collegato a La contessina ribelle.
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Sospetti e passioni - Mary Nichols
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Rags-to-Riches Bride
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2008 Mary Nichols
Traduzione di Silvia Zucca
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-690-5
1
Londra, 1837
«Papà, finirete con l’ammalarvi se non mangiate qualcosa» disse Diana, requisendo il bicchiere di cognac dalle mani del padre e mettendogli davanti un vassoio con del cibo.
«Non ho fame.»
Diana gli si sedette di fronte. Una volta, era stato un uomo robusto, allenato da anni passati per mare, marito e padre affettuoso, che aveva permesso alla famiglia di condurre una vita interessante e spensierata.
Quattro anni prima, però, gli era stato amputato il braccio sinistro dopo un incidente nell’Oceano Indiano e, per esaudire la preghiera della moglie, aveva lasciato il servizio. La perdita del braccio e la vita a terra avevano segnato il suo declino. Finché la madre di Diana era stata in vita, suo padre aveva continuato a essere quello di sempre. Dalla sua morte, lui non era più stato lo stesso. «Non possiamo andare avanti così, papà.»
«Perché?»
«Per via delle nostre finanze.»
«Ho una rendita.»
«Lo so.» Diana sospirò. «Ma non è abbastanza.» Lui ne beveva gran parte, però evitò di dirlo per non ferirlo. Suo padre aveva ricevuto anche un premio per i servigi resi in Marina, tuttavia non ne rimaneva ormai più nulla e, per continuare a vivere dignitosamente, avevano dovuto licenziare i servitori, vendere gli arredi e trasferirsi in quelle stanze ammobiliate in un palazzo di Southwark. Diana faceva del suo meglio per tenerle pulite, ma la sporcizia sembrava incorporata a mobili e muri.
Sua madre aveva lavorato per una modista di Bond Street, confezionando merletti, poi era morta, consumata dalla fatica. Diana sapeva che ora toccava a lei fare qualcosa prima che i creditori si presentassero alla porta. Non aveva nessuno cui rivolgersi, nessun parente, e suo padre era sempre più assente. Se solo si fosse ripreso, sarebbe stato in grado anche lui di svolgere qualche piccolo lavoro, ma dalla morte della moglie, due mesi prima, aveva quasi smesso di parlare e ingoiava pressoché solo liquori.
«Devo trovare un lavoro» dichiarò lei.
«Fa’ quello che faceva tua madre.»
«Ho provato. Madame Françoise sostiene che non sono abbastanza brava.»
«Ce la faremo lo stesso.» Suo padre si sporse ancora verso il bicchiere di liquore e Diana si diede per vinta.
Avvolta nell’abito nero del lutto, nonostante la calura estiva, lasciò l’alloggio, determinata a trovare qualcosa. Ovunque andasse, proponendosi come dama di compagnia o cameriera personale, le veniva richiesto di trasferirsi e Diana non lo poteva fare. Chi avrebbe badato a suo padre se non fosse tornata a casa ogni sera? Pensò di insegnare, ma la sua educazione era stata poco convenzionale e non era considerata accettabile, senza contare che la paga di una maestra sarebbe bastata a malapena a sfamare lei. Inoltre, sapeva che Mrs. Beales, la padrona di casa, non le avrebbe lasciato usare l’appartamento per quello scopo.
Si fermò davanti a una vetrina in cui erano disposte costose sete, ornamenti e ninnoli importati dall’Oriente. Aveva già visto oggetti come quelli quando, benestante e felice, aveva compiuto qualche viaggio. Meglio non rimuginarci troppo. Poi l’occhio le cadde su un annuncio appeso al vetro: Cercasi commesso, lesse, coscienzioso e veloce. Essenziale buona disposizione di carattere. Diana sapeva perfettamente che volevano un uomo. Le donne perbene non svolgevano quel tipo di lavoro, eppure lei non ne capiva il motivo. Aperta la porta, un bel giovanotto alto le venne incontro con un largo sorriso. Inutile chiedere a lui dell’impiego, non l’avrebbe presa sul serio. «Desidero parlare con il proprietario.»
«Mr. Harecroft?»
«Se questo è il suo nome, sì.»
«Avete un appuntamento?»
«No, ma mi riceverà. Il mio nome è Miss Diana Bywater.» Riuscì a pronunciare quelle frasi con tanta sicurezza che il commesso non dubitò un attimo di lei. Il negozio era grande e ben tenuto. C’erano scaffali pieni di seta, mussolina e percalle, disposti in un arcobaleno di colori, oltre a ornamenti d’avorio, tabacchiere, ventagli e barattoli di tè. Sul fondo c’erano gli oggetti più voluminosi, sgabelli e ceste intrecciate. Non aveva notato il nome del negozio, perciò vi pose rimedio tornando alla porta e leggendovi Harecroft Emporium, che era scritto in lettere dorate.
Venne condotta per un labirinto di stanze, tutte stipate di mercanzia, poi su per una scala e lungo un corridoio con molte porte chiuse, quindi a un secondo piano, per un altro corridoio e a un’ultima porta che l’uomo aprì annunciando: «Miss Bywater, signore».
Diana entrò nella stanza, cercando di non mostrare il proprio turbamento all’uomo che si era alzato dalla scrivania per accoglierla. Era di mezza età, con capelli sale e pepe e profondi occhi blu. «Miss Bywater, molto piacere» esordì.
«Piacere mio» ribatté lei, stringendogli la mano. Fu favorevolmente impressionata dalla pulizia e dal bel tappeto che copriva il pavimento e da ciò che vedeva intorno. «Siete voi il proprietario del negozio?»
«Sì. È uno dei diversi esercizi del marchio Harecroft. Prego, accomodatevi.» Riprese posto e attese che lei gli spiegasse il motivo della propria visita.
«Ho visto dall’annuncio che tenete in vetrina che state cercando un commesso.»
«È vero.» L’uomo aspettò ancora.
«Ebbene, io sono quel commesso.»
«Voi! Voi siete una donna.»
«Infatti.» Diana si lisciò l’abito, come a prendere coscienza del proprio stato femminile, poi sollevò gli occhi fissando quelli del proprietario con coraggio. «Dareste la preferenza a un uomo? Posso indossare abiti da uomo, se preferite. E tagliarmi i capelli. Farebbe differenza per voi?»
«No, certo che no. Miss Bywater, non penserete che prenda in considerazione un’idea tanto ridicola! Tutti i miei impiegati sono uomini, non abbiamo mai assunto una donna e...»
«Questo non è del tutto vero.» Era stato qualcuno alle spalle di Diana a parlare e, quando la giovane si voltò, si trovò di fronte una signora molto anziana, piccola di statura ma dritta come un fuso. I suoi capelli bianchi come neve erano tirati e nascosti sotto un cappellino nero con una piuma porpora che s’incurvava sul bordo. Indossava un abito di vecchia manifattura, di taffettà porporino, e una mantellina nera. Il suo volto era segnato dal tempo, ma gli occhi erano limpidi e blu come il cielo estivo.
Subito, Diana pensò che dovesse essere imparentata con Mr. Harecroft e ne ebbe conferma quando questi balzò in piedi, esclamando: «Nonna! Cosa fate qui?».
«Sono venuta a trovarti, visto che sono mesi che non ti fai vedere a Borstead Hall.»
«Siamo stati impegnati, dovresti saperlo. A Londra c’è molto più turismo del solito, con tutto quello che sta succedendo a corte, dignitari stranieri che arrivano e vogliono abiti in nero per il vecchio re. Alcuni acquistano anche stoffe per gli abiti dell’incoronazione. Pare quasi che i soldi brucino loro nelle tasche e nessuno meglio di me sa che in questi casi gli affari vengono prima di tutto.»
L’anziana signora rise. «Io ho lavorato e sono una donna.» Poi si rivolse a Diana. «Ho capito bene, state cercando un impiego?»
«Sì, signora.»
«Il mio nome è Lady Harecroft. Ora sono troppo anziana, ovviamente» si presentò la donna, «ma una volta lavoravo fianco a fianco con mio marito in questa impresa e l’ho aiutato a costruire il suo impero dal niente. È per questo che posso correggere mio nipote quando dice che nessuna donna ha mai lavorato per noi. Una delle fondatrici del marchio Harecroft era una donna... ed ero io.»
«Questo è diverso» intervenne lui.
L’anziana gentildonna lo ignorò. «Ditemi, bambina, perché volete un impiego e che cosa sapete fare?»
«Mio padre è invalido e mia madre è morta due mesi or sono, milady. Ho bisogno di un lavoro che mi consenta di tornare a casa alla sera per occuparmi di lui. Quanto a quello che so fare, so scrivere in bella grafia, so far di conto molto bene e conosco gli oggetti che avete di sotto, perché ho viaggiato in India, in Oriente e nelle Americhe.»
«Siete così giovane e avete già viaggiato tanto?»
«Ho diciannove anni, milady, e mio padre era un capitano della Marina. La mamma e io viaggiavamo spesso con lui.»
«E cosa farà vostro padre mentre sarete al lavoro?»
«Oh, non è tanto infermo da non poter stare da solo qualche ora, milady. Vedete, ha perduto un braccio e questo ha molto indebolito il suo carattere, ma spero che un giorno si riprenda. Anche la morte di mia madre è stata un duro colpo per lui.»
«Non avete parenti?»
«Nessuno di cui sia a conoscenza. Entrambi i miei genitori non avevano fratelli e i loro genitori sono mancati da tempo.»
«Allora portate davvero un grave fardello.» Si voltò verso il nipote. «John, dai a... Oh, cielo, non so neppure il vostro nome.»
«Diana Bywater, milady.»
«Santo cielo!» Il sorriso svanì dal volto della donna, mentre con una mano si copriva la bocca. Quindi si lasciò cadere sulla poltrona più vicina.
«Milady, vi sentite male?» Diana era scattata in piedi, allarmata.
Qualsiasi cosa l’avesse turbata, la gentildonna si riprese, sorridendo di nuovo. «Sono molto vecchia, mia cara, dovete perdonarmi qualche attimo di smarrimento.» Aprì il ventaglio e se lo sventolò vicino al viso con vigore. «Fa così caldo oggi...»
«Non avreste dovuto salire le scale» la rimproverò il nipote. «Se aveste mandato un messaggio, sarei sceso io ad accogliervi. Chiamo subito Stephen per accompagnarvi a casa.»
«Molto bene. Darai una possibilità a Miss Bywater. Se è brava come dice, non ha importanza che sia una donna.»
«Nonna, non ci si può aspettare che le donne siano scrupolose quanto gli uomini sul lavoro. Non hanno la costituzione adatta né l’abilità mentale...»
«Sciocchezze! Dimentichi che ora il nostro paese è governato da una donna.»
«La nuova regina sarà senza alcun dubbio guidata da ministri e consiglieri a ogni passo. E come potrei mettere Miss Bywater al lavoro nella stessa stanza con così tanti uomini? Nessuno riuscirà più a concentrarsi.»
«Allora trovale un angolino tutto suo. Sono certa che saprà far fronte alle attenzioni indesiderate.» Lady Harecroft si voltò verso Diana, scrutandola a fondo. «Levatevi il cappellino, ragazza.»
Diana fece come le veniva richiesto, rivelando una chioma ramata e lucente, che aveva tentato, senza troppo successo, di domare in una crocchia dietro la nuca. L’anziana signora le rivolse un sorriso tanto saputo quanto misterioso. «Nasconderete i capelli sotto una cuffietta, quando sarete al lavoro, mia cara, e indosserete un abito senza fronzoli, con le maniche lunghe e abbottonato fino al collo, questi sono i patti. John, ora puoi far chiamare Stephen.»
Mr. Harecroft diede una vigorosa scrollata alla campanella sulla scrivania, facendo materializzare all’istante il giovanotto che aveva accompagnato Diana per le scale, al quale venne chiesto di trovare Mr. Stephen Harecroft.
Diana si domandava se fosse giunto il momento di prendere congedo, ma ancora non le erano stati spiegati i suoi doveri né le erano stati comunicati orari e remunerazione. Non era neppure sicura che Mr. Harecroft le desse un lavoro, in fin dei conti. Di certo, non aveva detto nulla che indicasse che avrebbe dato retta alla nonna. Quindi rimase seduta, le mani giunte in grembo, e attese.
Stephen Harecroft era una versione più giovane di John e doveva avere circa vent’anni. Aveva gli stessi occhi azzurro chiaro e un’incredibile cascata di capelli d’oro con riflessi rossi. «Mi avete fatto chiamare, signore? Stavo controllando l’ultima consegna di seta. Non è della stessa qualità della precedente. Dovremo dire due paroline al nostro fornitore.» Si rivolse all’anziana dama. «Bisnonna cara, come state?» Si chinò a farle il baciamano.
«Benissimo, ragazzo. Vorrei che mi scortassi ad Harecroft House. Rimarrò con voi stanotte e farò ritorno a casa domani.»
«Che piacere, ma chi vi ha portata?»
«Richard, ma è andato a un appuntamento. Ci raggiungerà per cena.»
«Un appuntamento?» chiese Mr. Harecroft. «E con chi, di grazia?»
«Non lo so, non me l’ha detto» ribatté la nonna.
«Deve avere a che fare con il suo libro, oserei dire» azzardò Stephen, quindi, notando Diana, s’interruppe. «Vi chiedo scusa, signorina, non vi avevo vista.»
«Miss Bywater lavorerà qui» gli spiegò subito Lady Harecroft.
«Con che mansione?» domandò il giovane, perplesso.
«Commessa» borbottò suo padre.
Il giovanotto non si fece problemi a mostrare la propria sorpresa. «Ma...»
«No, niente ma, Stephen» lo azzittì Lady Harecroft. «Miss Bywater è perfettamente in grado di svolgere il lavoro e ha bisogno di un impiego, perciò tu farai il possibile per aiutarla.»
Lui passò lo sguardo dalla bisnonna al padre, sollevando un sopracciglio. Suo padre si strinse nelle spalle. A quanto pareva, la parola dell’anziana gentildonna era legge o, quantomeno, nessuno osava contraddirla.
Con lo sguardo, Diana seguì la donna uscire dalla stanza accompagnata dal nipote, quindi si rivolse a Mr. Harecroft.
«Ehm...» Lui giocherellò con la penna. «Suppongo sia inutile chiedervi delle referenze.»
«La vostra supposizione è esatta, signore, ma non vedo l’ora di dimostrarvi la mia abilità.»
Lui prese uno dei libri mastri dallo scaffale, aprendolo a una pagina a caso. «Fate l’addizione di questi numeri, per favore.» Diana lo fece. Dopo che lui ebbe controllato, le chiese di calcolare il settanta per cento del totale. Eseguito anche quell’ordine, le fu richiesto di ricopiare una colonna di numeri. Se Mr. Harecroft aveva inteso coglierla in fallo, rimase deluso. Anzi, la velocità delle risposte di Diana lo sorprese.
«Mio padre mi faceva fare pratica con i conti delle navi che comandava» gli spiegò lei. «Ed ero solita calcolare le percentuali per pagare i premi ai membri del suo equipaggio. È stato così che mi ha insegnato la matematica.»
«A quanto pare è stato un buon metodo» mormorò l’uomo, ammirato. «Che cos’altro vi ha insegnato?»
«Oh, tante cose» rispose Diana, più rilassata. «Come calcolare la rotta in base alle stelle, i movimenti delle maree e delle correnti, la geografia dei porti dove arrivavamo, quello che importavamo ed esportavamo, quanto costavano le merci all’inizio e il prezzo che veniva aggiunto una volta arrivate a destinazione, e anche qualcosa della cultura di quei paesi. Mio padre è un uomo molto erudito.»
«E ora non è più in grado di lavorare?»
«Purtroppo.» Diana stirò le labbra in una linea dura. Non voleva parlare della dipendenza del padre dall’alcol. Se ne vergognava, soprattutto perché non era in grado di aiutarlo.
«Farete un mese di prova. La vostra paga sarà di trentacinque sterline l’anno e lavorerete dalle otto del mattino alle sette di sera, dal lunedì al venerdì, e dalle otto alle due il sabato. I miei commessi hanno anche un sussidio per quanto riguarda gli abiti da lavoro, perciò l’avrete anche voi per due vestiti. Grigi. Vi sta bene?»
«Sì, grazie, ma vorrei essere pagata alla fine di ogni settimana, se possibile.»
«Molto bene.» L’uomo le sorrise.
«Quando inizierò?»
«Domani.» Aprì una cassetta e ne estrasse tre ghinee che le offrì. «Per i vostri vestiti, che rimarranno di proprietà della compagnia.»
Solo quando fu fuori dal negozio, Diana si permise di tirare il fiato e si lasciò andare a un sorriso. Ce l’aveva fatta! Almeno per un mese. Non aveva dubbi che Mr. Harecroft avrebbe colto la prima occasione per dire che l’esperimento non aveva funzionato e che l’avrebbe lasciata a casa. Aveva intenzione di fare di tutto per non deludere le sue aspettative, il che significava che non doveva essere solo brava come gli impiegati uomini, ma che doveva essere la migliore. Alla fine di quel mese, doveva essersi resa indispensabile.
Fu così. Alla fine del periodo di prova, Mr. Harecroft fu costretto ad ammettere che si era guadagnata ogni singolo penny e a dire che poteva rimanere. Ed era ancora lì l’anno successivo.
Per non distrarre gli impiegati uomini, lavorava in solitudine in uno stanzino al secondo piano. Per fortuna, aveva una finestra che dava sulla strada sul retro del negozio e che lei poteva aprire per lasciar passare un po’ d’aria. Era proprio quello che stava facendo in quel caldo giorno di giugno del 1838, quando adocchiò la carrozza degli Harecroft che si avvicinava. Si sporse per vedere di chi si trattava e vide Lady Harecroft che veniva scortata all’interno dell’edificio.
Diana non aveva più incontrato la gentildonna da quando aveva iniziato a lavorare lì un anno prima e aveva immaginato che la sua veneranda età le precludesse ogni spostamento in carrozza dal lontano Berkshire, ove risiedeva. Invece eccola lì. Che cosa l’aveva spinta a intraprendere quel viaggio, specialmente sfidando la calura estiva?
Nel tempo che aveva trascorso a lavorare per gli Harecroft, Diana aveva scoperto molto sugli affari e la gerarchia della famiglia. Al suo apice, neanche a dirlo, c’era la formidabile vedova Harecroft. Suo marito, il fu George Harecroft, aveva costruito la sua fortuna in India, presso la Compagnia delle Indie Orientali. Tornato a tasche piene, non solo aveva sposato Lady Caroline Carson,