Prigioniera di un segreto: Harmony Collezione
By Maisey Yates
5/5
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About this ebook
Dopo aver trascorso una giovinezza solitaria e al riparo da qualsiasi pericolo, Charlotte Adair è ora pronta ad affrontare il mondo e ad andare alla ricerca dell'unico uomo che abbia mai amato. Quando lo ritrova, è sconvolta nello scoprire che Rafe Marelli, ora multimilionario, è convinto che lei lo abbia abbandonato e che è deciso a sedurla solo per vendetta.
Per affermare il proprio diritto sulla donna che non ha mai dimenticato e sui gemelli che aspetta in seguito alla loro unica, infuocata notte d'amore, Rafe la porta nel proprio castello. Ma Charlotte non si rivela l'ospite docile e arrendevole che credeva ed è costretto a usare l'unica arma che sembra riuscire a domarla: quella della seduzione.
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Prigioniera di un segreto - Maisey Yates
successivo.
1
C'era una volta...
Sciogliti i capelli...
Il cuore le batteva così forte che Charlotte Adair ebbe il timore che chiunque fosse vicino potesse sentirlo. Inoltre tremava. Tremava e lottava contro la ridda di emozioni e ricordi che rischiavano di compromettere il suo equilibrio.
Anche se il fatto che fosse lì era già una dimostrazione della sua totale mancanza di razionalità.
Era fuggita. Per cinque anni era stata libera.
Ma c'era una storia in sospeso. Rafe.
Sarebbe sempre stata in sospeso. Non c'era una possibile conclusione. Ma almeno avrebbe potuto vederlo. Vederlo ancora una volta.
E se non altro lui non sarebbe stato in grado di vedere lei.
La sofferenza le attanagliò lo stomaco. Sì, il suo abbandono l'aveva fatta soffrire in un modo indicibile. Ma questo non significava che l'idea di un uomo così aitante, menomato in quel modo, non fosse veramente penosa.
Certo, ogni pensiero su Rafe era penoso.
Si fermò nell'angolo buio dell'anticamera che conduceva al salone, i palmi umidi di sudore, l'abito aderente che indossava che le pareva improvvisamente così stretto da non poter respirare.
Non riusciva più a liberarsi dai ricordi...
«Sciogliti i capelli.»
«Sai bene che non posso» rispose Charlotte scostandosi da Rafe, ogni terminazione nervosa che formicolava, ogni parte di lei che chiedeva obbedienza a quella sua semplice richiesta, a dispetto delle conseguenze.
L'aveva desiderato fin dal primo momento in cui l'aveva visto. Cosa realmente significasse non l'aveva compreso bene. Sapeva solo che lei voleva stargli vicino per sempre.
«Capisco. Ed è una delle regole che riguardano gli uomini nella tua camera da letto?»
Lei arrossì. «Be', direi che non mi è permesso sciogliere i capelli. Naturalmente mio padre non me l'ha mai vietato espressamente, ma ritengo che lo dia per scontato.»
Rafe sorrise, e lei subì l'impatto di quel sorriso. Era l'uomo più bello che avesse mai visto; questa era stata la sua riflessione quando due anni prima lui aveva cominciato a lavorare per suo padre.
Non sapeva esattamente quali fossero le sue mansioni, solo che era una sorta di aiutante e questo le provocava un tremito spiacevole allo stomaco. Benché suo padre le tenesse segreto il tipo di affari di cui si occupava, lei non era una sciocca. Sì, viveva praticamente reclusa nella villa in Italia, dopo essersi trasferita da New York quando era bambina, ma in quella specie di reclusione, osservando con grande attenzione, aveva trovato il modo d'informarsi.
Charlotte da anni era parte della tappezzeria della villa, e come risultato era sottovalutata. Questo le piaceva.
Essere invisibile.
Ma poi era comparso Rafe, e non le aveva più permesso di essere invisibile. L'aveva vista, fin dall'inizio. Aveva sedici anni la prima volta che aveva posato gli occhi su di lui, e si era ritrovata con il cuore in gola. Non solo perché lui era splendido, a poco più di vent'anni, con quelle spalle ampie, la mascella squadrata e quegli occhi scuri nei quali si sarebbe voluta perdere.
Era alto, robusto e sicuramente perfetto per appoggiarsi al suo petto.
Sì, la sua ossessione aveva avuto inizio fin dal primo momento, e non si era esaurita.
Apparentemente, per lui era stata la stessa cosa. Aveva cercato di metterla in guardia nei propri confronti, ma lei aveva insistito. Si era resa ridicola seguendolo ovunque. Ma quella strategia aveva funzionato. Alla fine lui aveva smesso di dirle di andarsene e avevano istaurato una specie di amicizia.
Salvo che, immaginava, gli amici non avessero necessità di nascondersi. Gli amici non dovevano aspettare finché la casa fosse buia per incontrarsi nelle stalle o per rubare un attimo alla luce del sole in uno dei campi lontano dalla casa.
Era qualcosa di semplice, puro.
Finché un pomeriggio, quando erano in un angolo del fienile, le aveva detto che per lui era tempo di tornare alla base, qualsiasi cosa significasse, e lei si era disperata.
Gli aveva sfiorato il viso con le dita, e lui le aveva afferrato il polso, lo sguardo bruciante.
Prima che potesse protestare, che potesse porsi delle domande, la bocca era stata sulla sua.
Prepotente, l'aveva marchiata come propria.
Lei non era mai stata baciata, ma baciare Rafe era stato come sfiorare la superficie del sole.
Era troppo caldo. Troppo ardente. Troppo... tutto.
E troppo breve.
Ma quella notte lui si era arrampicato sul pergolato e l'aveva raggiunta in camera sua. Una stanza nella torre, distante da qualsiasi altra, separata da tutti, com'era sempre stata lei. Nessuno veniva mai in camera sua.
Ma lui l'aveva fatto e le aveva dato un altro bacio e un altro ancora.
Nel corso delle due settimane seguenti era andato tutte le notti da lei. I loro baci si erano fatti più esigenti, più disperati. Avevano cominciato a togliersi i vestiti, a stare coricati insieme sul letto, condividendo intimità che lei avrebbe trovato scioccanti se non si fosse trattato di lui.
Ma con Rafe tutto le pareva giusto. Aveva chiesto di più, gli aveva offerto la propria verginità, ma pur dandole piacere lui non si era mai spinto fino all'atto conclusivo.
D'accordo, lei avrebbe aspettato. Ma quella notte aveva provato un'urgenza particolare. Aveva come un macigno sullo stomaco e sapeva di dovergli confidare la conversazione che quel giorno aveva avuto con la matrigna.
Suo padre raramente le rivolgeva la parola. La maggior parte delle informazioni le giungeva tramite Josefina, la matrigna, la persona più acida e sospettosa che Charlotte avesse mai conosciuto.
E dato che Charlotte viveva in mezzo a una cricca di criminali, era una bella sfida.
Quella mattina Josefina l'aveva informata che suo padre era riuscito a mettere a punto il suo proposito. Aveva scovato un altro boss, in una parte d'Italia che Charlotte non conosceva, che cercava moglie. Si trattava di un'alleanza che suo padre voleva cementare con un vincolo di famiglia. Un'unione dinastica, l'unico utilizzo per una figlia che non aveva mai voluto.
Josefina pareva più che felice di sbarazzarsi della figliastra della quale era sempre stata gelosa.
Una gelosia che Charlotte non comprendeva, poiché lei non era altro che una specie di prigioniera nella casa del padre. Ma Josefina era stata una ragazza povera, che abitava in un villaggio accanto alla villa di suo padre, ed era riuscita a diventare l'amante di Michael Adair per poi farsi sposare. Ma non era ancora tranquilla per quella conquista e Charlotte era convinta che la matrigna temesse di perdere la posizione di prestigio che si era conquistata e che fosse proprio questo a renderla pericolosa.
Charlotte aveva sempre saputo che si sarebbe giunti a quel punto, perché suo padre non era altro che un signorotto medievale, dal quale tutti dipendevano per ogni cosa. Ed era più che plausibile che cercasse di cementare il proprio potere attraverso i matrimoni. Come un re che si serviva dei membri della famiglia per evitare guerre. O per darvi inizio, a seconda delle circostanze.
Benché l'avesse sempre considerata una possibilità, aveva fatto del proprio meglio per non soffermarsi troppo su quell'idea. E adesso c'era Rafe.
Rafe, che faceva dell'amore e del sesso qualcosa di non teorico, qualcosa che lei voleva, qualcosa per cui spasimava. Non in senso generale. Lo voleva con lui.
L'idea di condividere il corpo con qualcun altro... era qualcosa d'intollerabile. Il desiderio per Rafe, per le sue carezze, i suoi baci... Era tutto così intimo. Andava ben al di là del puro desiderio fisico. Coinvolgeva il cuore.
«Sì» convenne lui a quel punto. «Immagino che sia la lettera della legge, se non lo spirito.» Lo sguardo era intenso, una fiammata scura che la faceva ardere. «Vorrei che tu infrangessi qualche regola per me. So che i tuoi capelli sono considerati come qualcosa di valore. Non ti è permesso tagliarli, vero?»
Charlotte si sfiorò il pesante chignon. «Non del tutto. Me li faccio spuntare. Ma sì, mio padre considera i miei capelli parte della mia bellezza.» E l'importanza della sua bellezza era diventata chiara in modo scioccante con quell'impegno di matrimonio che suo padre aveva assunto per lei.
«Raccapricciante.»
Lei rise, poi gli rammentò: «Lavori per lui».
«Lavoro per lui solo finché il mio debito non sarà pagato. Non sono leale a tuo padre. Devi credermi.»
Era la prima volta che Rafe diceva qualcosa del genere. «Non... non sapevo...»
«Mi è proibito parlarne. Ma del resto credo che mi sia proibito anche stare qui, e toccarti.» Le accarezzò la guancia poi la baciò. «Sciogliti i capelli» le sussurrò di nuovo sulle labbra.
E questa volta lei lo accontentò. Era per lui. Solo per lui...
Charlotte tornò al presente, il cuore che batteva fuori controllo come le era successo tanto tempo addietro. Erano trascorse solo poche settimane prima che andasse tutto a rotoli. Quando lei si era ritrovata devastata, ferita al di là di ogni immaginazione, senza nessuna scelta se non sposare Stefan. Aveva protestato, al punto da essere stata chiusa a chiave, da scorgere la vera natura di suo padre. Non le voleva bene, e l'avrebbe uccisa se non avesse sposato l'uomo che aveva scelto per lei, questo le aveva detto. E lei l'aveva creduto possibile.
Non era disposta ad accettare il proprio destino, perché stando con Rafe aveva capito che là fuori c'era ben più della vita che si dipanava monotona alla villa.
Così, quando gli scagnozzi che suo padre aveva pagato per portarla a destinazione si erano fermati a un distributore di benzina nel mezzo del nulla, aveva colto l'occasione.
Era scivolata via dalla macchina, si era messa a correre nel bosco, certa che non l'avrebbero seguita da quella parte. E aveva avuto ragione. L'avevano cercata lungo la strada, convinti che chiedesse un passaggio.
Non si erano aspettati che proprio lei, la viziata principessa, s'inoltrasse nella foresta in mezzo alle volpi e ai lupi.
Ma lei l'aveva fatto.
Alla fine aveva trovato una certa sicurezza lontano da casa, spostandosi da fattoria a fattoria, mai fermandosi a lungo in un luogo, sopravvivendo nel corso degli anni con lavori temporanei in negozi e fattorie.
Era stata un'esistenza solitaria ma, in un certo senso, liberatoria.
Solo qualche anno dopo aveva saputo qualcosa di Rafe. Eccola, sbattuta in prima pagina di una rivista, la storia di un uomo che si era fatto dal niente, che proveniva dai bassifondi italiani ed era diventato uno degli uomini più ricchi del mondo.
Un uomo cieco, diventato tale in seguito a un incidente del quale non voleva parlare.
In seguito l'aveva visto spesso sulle copertine. Non era facile, non era meno penoso. Soffriva per lui, per ciò che loro due avrebbero potuto avere se lui l'avesse amata davvero come lei aveva creduto. E per l'incidente che l'aveva privato della vista.
Pensava ben poco ai suoi milioni, forse perché non aveva mai dubitato che Rafe sfondasse. Era un uomo singolare, lo era sempre stato.
E per questo, quando aveva saputo della morte di suo padre, quando aveva scoperto che ci sarebbe stata una cerimonia funebre alla quale anche Rafe sarebbe intervenuto, aveva deciso di approfittare dell'occasione.
Con il padre ormai fuori dalla scena, non le sarebbe successo niente. Inoltre dubitava che qualcuno dei suoi uomini la riconoscesse. Non era più una ragazzina di diciotto anni.
E per quanto riguardava Rafe... Be', non sarebbe stato