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Segreti in pillole (eLit): eLit
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Segreti in pillole (eLit): eLit

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About this ebook

Colby Agency 4

Jennifer Ballard assiste alla morte dello zio, che le insinua dei dubbi sull'efficacia di un farmaco che la società di cui lei è a capo sta per testare sull'uomo. Si rivolge così alla Colby Agency per fare chiarezza.
Ethan Delaney dovrà proteggerla, perché qualcuno la vuole morta.
LanguageItaliano
Release dateAug 31, 2018
ISBN9788858989685
Segreti in pillole (eLit): eLit

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    Segreti in pillole (eLit) - Debra Webb

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Her Secret Alibi

    Harlequin Intrigue

    © 2003 Debra Webb

    Traduzione di Maria Letizia Montanari

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-968-5

    Prologo

    Jennifer Ballard fissò il proprio riflesso nello specchio una volta ancora, fremente di eccitazione. Un velo di pizzo francese le drappeggiava le spalle e i capelli biondi erano raccolti in una delicata acconciatura. Il corpetto dell’abito da sposa era adorno di perline e lustrini e lo strascico della gonna era lungo come quello di una principessa delle fiabe.

    Trasse un profondo respiro per calmarsi. Quello era il giorno delle sue nozze, il giorno che aveva atteso da tutta una vita.

    Aveva sempre sognato di sposarsi in quel modo. In una chiesetta dall’aria incantata in cima a una collina, unita in matrimonio a un uomo affascinante che l’avrebbe amata e protetta per il resto dei suoi giorni. Anche se di alcuni anni maggiore di lei, David Crane era gentile e premuroso. Jennifer lo rispettava sia a livello personale sia professionale. Certo, non le faceva battere all’impazzata il cuore... ma nella vita c’era ben altro. David la capiva, rispettava il suo lavoro e, cosa ancora più importante, suo padre aveva una grande fiducia nel futuro genero.

    Suo padre. Ancora una volta le lacrime tornarono a pungerle gli occhi. Se solo fosse stato abbastanza in salute per poter essere presente alla cerimonia... Purtroppo non era così. Anzi, aveva chiesto al suo vecchio amico, Russell Gardner, di sostituirlo nell’accompagnare la figlia all’altare. Jenn sorrise al pensiero. Voleva molto bene anche a Russell. Fin da quando poteva ricordare, lo aveva sempre chiamato zio Russ. Se suo padre non poteva condurla all’altare, nessun altro avrebbe potuto svolgere il compito più degnamente.

    Il rumore della porta dello spogliatoio la distolse da quei pensieri. Si voltò per guardare chi avesse infranto la regola che vietava di vedere la sposa prima che fosse intonata la marcia nuziale.

    Suo malgrado, si trovò a sorridere. «Zio Russ?»

    Lui avanzò faticosamente, incespicando nella piccola stanza, poi l’afferrò per le spalle. «Devi scappare. Scappa il più lontano possibile. Corri!»

    «Non capisco. È successo qualcosa a mio padre?»

    Russ la scosse con forza. «Ascoltami!» le ordinò con voce roca. «Scappa!»

    Solo in quel momento Jennifer si accorse di quanto fosse pallido e delle goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte. «C’è qualche problema? Dimmi che cosa è successo!»

    «Si tratta di Crane» disse lui con voce tesa, come se gli costasse fatica parlare. «Non devi credere a una parola di quello che ti dice. Lui ha mentito...» Un suono strozzato rese incomprensibile il resto della frase.

    «Che cosa stai dicendo?» Era impossibile. Lei conosceva David. Non avrebbe mai mentito e sicuramente non lo avrebbe fatto con lei. Russ tentò di proseguire, ma barcollò come se fosse troppo debole per restare in piedi. Jennifer lo sostenne. «Ti prego, dimmi che cosa sta succedendo.»

    «Il progetto Kessler. C’è qualcosa di... profondamente sbagliato» mormorò lui. «Ha mentito su tutta la linea. La tua vita è in grave pericolo. Ci sono cose di cui sei all’oscuro...» Le ginocchia gli cedettero e l’uomo si accasciò tra le braccia di Jennifer.

    «Oh, mio Dio!» Sotto il suo peso, lei barcollò mentre si abbassava per adagiarlo sul pavimento. Lui era in stato di incoscienza. Jennifer fece per scuoterlo, ma la sua attenzione fu attirata dalla macchia cremisi che segnava il corpetto dell’abito da sposa.

    Sangue.

    In quel momento, i risvolti della giacca dello smoking si aprirono e Jennifer vide che Russ stava sanguinando. Abbassò lo sguardo sul suo corpo immobile mentre lo shock si impadroniva di lei. Nel petto di Russ si apriva un piccolo foro rotondo da cui fluiva lentamente un rivolo scuro di sangue.

    Gli avevano sparato.

    Ordinando a se stessa di mettersi in azione, gli controllò il polso, con il cuore che batteva all’impazzata e le dita tremanti per il terrore. Nessun battito.

    Santo cielo, doveva correre a cercare aiuto!

    «È qui dentro.»

    Jenn girò di scatto la testa al suono della voce di David. Non si era nemmeno resa conto che fosse entrato. Insieme a lui, c’erano tre persone. Era accaduto qualcosa fuori? Qualcosa che lei non aveva sentito? Grazie a Dio, comunque, David era lì.

    Lui l’avrebbe aiutata.

    «Russ ha bisogno di un’ambulanza!» gridò, mentre lacrime cocenti le scorrevano lungo le guance.

    «Portatelo fuori di qui» ordinò David.

    Due degli amici di David sollevarono il corpo spaventosamente immobile di Russ e si diressero verso la porta.

    «Che cosa stanno facendo?» gli domandò Jennifer mentre un nuovo terrore si impadroniva di lei. «Dove lo stanno portando? Bisogna chiamare subito l’ambulanza e...»

    David si limitò a guardarla con occhi privi di emozione.

    Jennifer si alzò. Le tremavano le ginocchia. Tutta quella scena le sembrava surreale come un incubo. Era impossibile che tutto ciò stesse accadendo. «Non mi hai sentito?» chiese rivolta al fidanzato. «Russ ha bisogno di aiuto! Sta morendo!»

    David si sistemò con noncuranza la giacca dell’elegante smoking, poi si rivolse all’uomo rimasto nella stanza. «Uccidila.»

    1

    «No» rifiutò con fermezza Ethan Delaney. «Non svolgo incarichi come libero professionista. Dovrà trovarsi un altro.»

    L’uomo che era all’altro capo del telefono compì lo sforzo estremo per convincerlo a ripensarci. L’offerta balzò a un milione netto.

    Ethan si limitò a scuotere il capo. Chiunque gli offrisse una cifra del genere doveva essere coinvolto in situazioni poco pulite. Soprattutto considerando il fatto che la missione doveva essere mantenuta segreta e che quell’uomo si rifiutava di rivolgersi alla polizia. Il presunto salvataggio di un parente rapito nel terzo mondo, dove la droga era il primo articolo di esportazione, costituiva la strada più diretta per mettersi nei guai.

    «Buongiorno, signor Santiago» disse Ethan prima di riagganciare.

    Ethan era un agente della Colby Agency e assumeva incarichi solo quando gli venivano assegnati da una determinata persona, Victoria Colby. Naturalmente, la maggior parte di quei compiti gli veniva destinata tramite Ian Michaels, il braccio destro di Victoria. Ma a Ethan quello non importava. Ian gli piaceva.

    Ancora di più gli piaceva sua moglie: Nicole era veramente sensazionale. Adesso lavorava per la Colby Agency nel settore della ricerca. Ian non voleva che la madre di sua figlia fosse in prima linea ed Ethan non poteva biasimarlo. Anche lui, se avesse avuto una donna del genere, se ne sarebbe preso cura.

    Be’, non sarebbe mai accaduto. Non si sarebbe mai più concesso di avvicinarsi fino a quel punto a un altro essere umano. Ormai era abituato a quella situazione, che non portava complicazioni.

    Qualcuno bussò alla porta dell’ufficio, attirando la sua attenzione. Amy Wells gli rivolse un sorriso imbarazzato prima di entrare nella stanza.

    «Ciao, Ethan» disse, mentre sistemava alcuni incartamenti sulla scrivania. Era giovane, molto giovane. Doveva avere ventitré anni, se la memoria non lo ingannava. Ed era anche molto ingenua. «Mildred mi ha chiesto di portarti i documenti che Victoria ha già firmato.»

    Lui si appoggiò allo schienale della sedia e rivolse alla centralinista dell’agenzia un sorriso micidiale. «Buongiorno, Amy. Apprezzo molto il fatto che me li abbia portati tu di persona.»

    Bastò quella frase: lei arrossì e accennò immediatamente a ritirarsi. «Buona giornata.»

    «Sarebbe ancora più bella se tu accettassi di pranzare con me» suggerì lui, ben sapendo quale sarebbe stata la sua reazione.

    Amy spalancò gli occhi. «Io... io... credo che lavorerò anche durante la pausa pranzo.»

    Ethan scosse il capo e sospirò. «Un vero peccato.»

    «Devo andare!» squittì lei.

    Ridacchiando, Ethan la osservò praticamente fuggire dall’ufficio. La sua risposta era sempre la stessa, ogni volta. Quella ragazza aveva paura della propria ombra e lo considerava una specie di orco. Adorava prenderla in giro.

    L’interfono sulla scrivania ronzò e lui premette il pulsante per la conversazione. «Delaney.»

    «Ethan, per favore, potresti venire nel mio ufficio?»

    Victoria. «Certo.» Si alzò. «Arrivo.»

    Ethan si avviò lungo il corridoio dalla folta moquette e bussò alla porta dell’ufficio della direttrice della Colby Agency, la più quotata agenzia d’investigazione sulla piazza. La reputazione di Victoria Colby era notevole, nessuno poteva starle alla pari. Aveva clienti in ogni parte del mondo e questo grazie al fatto che aveva a disposizione uno staff d’investigatori qualificati e molto ben preparati.

    Quello era il motivo che aveva spinto Ethan ad accettare quando lei lo aveva chiamato per assumerlo. A trentun anni, a solo otto anni dalla pensione, Ethan aveva abbandonato la carriera militare senza alcun ripensamento. Un anno più tardi, Victoria lo aveva voluto nella squadra. Durante il colloquio, gli aveva detto che lui le era stato caldamente raccomandato da un amico che aveva contatti in ambiente militare, Lucas Camp... chiunque egli fosse. Pur non avendolo mai incontrato, Ethan aveva capito dalla descrizione della donna che Lucas Camp doveva essere uno di quegli uomini che lavoravano dietro le quinte e che in pratica non esistevano agli occhi del mondo. Probabilmente si dovevano contare sulle dita di una mano le persone che sapevano chi fosse Lucas Camp e che cosa facesse. Ovviamente, Victoria faceva parte di quella cerchia ristretta.

    Ventiquattro ore dopo quel colloquio, Ethan aveva accettato l’offerta di Victoria. Il compenso era alto, ma non era quella la ragione per cui aveva acconsentito a lavorare per l’agenzia. Non a caso, la telefonata di quella mattina lo aveva lasciato indifferente. Nemmeno un milione di dollari poteva sperare di comperare Ethan Delaney se lui non era d’accordo.

    Onestà e lealtà erano due delle doti a cui teneva di più. Victoria non faceva giochetti e non permetteva mai che i suoi collaboratori fossero manipolati. Era una persona perbene. Onesta e leale. Victoria, inoltre, si informava sempre su ogni cliente che varcava la soglia dell’agenzia. Ethan non doveva preoccuparsi di essere usato o turbato. Intendeva assicurarsi personal-mente che non accadesse mai più. I ricordi sconvolgenti del passato tentarono di riaffiorare. Immediatamente li mise al bando.

    Era finita. Non poteva cambiare il passato, però poteva fare in modo che la storia non si ripetesse.

    «Buongiorno, Victoria» disse entrando nell’ufficio.

    «Buongiorno, Ethan. Accomodati» lo invitò lei indicando una delle due comode sedie davanti alla scrivania. «Ho un nuovo, probabile cliente di cui vorrei discutere con te.»

    «Bene» rispose lui, contento per quel nuovo incarico. Preferiva tenersi impegnato e, poiché aveva chiuso il caso precedente una settimana prima, adesso si sentiva un po’ irrequieto. «Posso mettermi in viaggio anche oggi stesso.» Prima è, tanto di guadagnato, aggiunse dentro di sé.

    Victoria sorrise. «Questa è una delle cose che più apprezzo in te, Ethan. Il tuo entusiasmo nei confronti del lavoro.»

    Lui annuì, grato del complimento. Aveva rischiato di ottenere l’effetto contrario prima di incontrare Victoria. Tre anni addietro, la sua ultima missione per poco non gli era costata tutta la passione per il lavoro. E anche la vita. La Colby Agency gliele aveva restituite entrambe.

    Era tornato come prima. O almeno, quasi del tutto.

    Victoria si rilassò sulla poltrona di cuoio e lo studiò per un attimo. Era il suo modo di fare. Ethan si era abituato a quei momenti di riflessione in cui lei indugiava. Si limitò a rimanere seduto, godendosi la vista. Victoria era una donna molto attraente, persino a cinquant’anni. I suoi capelli erano ancora neri, anche se con qualche striatura argentata, e gli occhi erano scurissimi. Erano occhi molto penetranti. Occhi onesti. Il bel viso, comunque, non era stato risparmiato da qualche ruga dovuta ai dolori della vita. Erano rughe che parlavano di esperienza e di perdite.

    Anche se Ethan non conosceva tutta la storia, ne aveva sentito parlare. Il marito di Victoria era stato ucciso. Quell’evento sconvolgente si era verificato cinque anni dopo la perdita del figlio di appena sette anni. Lei non aveva mai parlato di quelle tragedie. Solo due persone conoscevano la vicenda: Mildred, la sua segretaria personale e Trevor Sloan, un ex investigatore della Colby. Però tutti, bene o male, conoscevano i fatti a grandi linee.

    Victoria Colby aveva sofferto parecchio nella vita. Però tutto ciò sembrava averla resa più forte, più determinata a fare in modo che ci fosse maggiore giustizia al mondo.

    «Sono sicura che avrai sentito parlare della Ballard Pharmaceuticals, nota come BalPhar, ad Aurora.»

    «È uno dei nostri vecchi clienti.» Ethan ricordava che la società era all’avanguardia nella ricerca. Quando si trattava di sperimentare nuovi farmaci, la Bal-Phar era la prima fra tutte le concorrenti.

    «La Colby Agency conclude affari con Austin Ballard da oltre dieci anni» proseguì Victoria. «Noi abbiamo effettuato ricerche sul passato di tutti i suoi impiegati e anche delle investigazioni occasionali nei confronti delle compagnie con le quali sono entrati in contatto per affari. Ho un grandissimo rispetto per Austin. Questo è il motivo principale per cui sto prendendo in considerazione l’ipotesi di assumere questo incarico nonostante le circostanze alquanto sospette.»

    «Credevo che si occupasse Simon delle faccende della BalPhar» ribatté Ethan. Simon Ruhl era un ex agente dell’FBI. Nessuno meglio di lui sapeva individuare gli affari sporchi di persone e società.

    «È vero, ma in questo momento è occupato con un incarico che non può assolutamente abbandonare. E io credo che il tempo sia essenziale per quel che riguarda questo caso.»

    Ethan si accigliò. Tutta quella faccenda aveva un aspetto un po’ sinistro. «Qual è il problema?»

    «Austin ha una figlia di ventidue anni, Jennifer. La ragazza è una specie di genio. Si è diplomata a tredici anni e si è laureata a diciotto. Lavora con il padre da quando era una bambina. Quando non era a scuola la si poteva trovare in laboratorio.»

    Ethan si raffigurò immediatamente una ragazzona con gli occhiali spessi e i capelli raccolti in una coda. E naturalmente con indosso il classico camice bianco da laboratorio. «Sembra una ragazza interessante» disse. Davanti a un microscopio, aggiunse dentro di sé.

    Un sorriso increspò l’espressione solitamente professionale di Victoria. «Sono convinta che la troverai interessantissima. Soprattutto date le circostanze.»

    Lui scrollò con vigore le spalle. «Quindi, qual è il suo problema?» volle sapere a quel punto.

    «Lei pensa che qualcuno voglia ucciderla.»

    Quella frase diretta alzò il livello di attenzione di Ethan. «Qualcuno?»

    «Lei crede che qualcuno all’interno della società del padre minacci la sua vita.»

    Ethan si accigliò. «E suo padre che cosa pensa della faccenda?»

    «Austin è gravemente infermo» spiegò lei. «I suoi problemi sono iniziati più di un anno fa, ma circa sei mesi fa è stato costretto a letto. Per quanto ne so, attualmente continua a entrare e uscire da uno stato catatonico. Probabilmente non si rende nemmeno conto dei problemi della figlia.»

    «Dove si trova la signorina Ballard adesso?»

    «In un posto sicuro e segreto. Mi ha dato indicazioni su dove trovarla. Vorrebbe potersi incontrare con qualcuno al più presto.»

    Era impossibile ignorare lo scetticismo nella voce di Victoria. «Tu non le credi?» domandò Ethan.

    Victoria sospirò. «Non la conosco. I miei contatti precedenti si sono svolti strettamente con il padre. Ho un paio di fotografie recenti della ragazza insieme al padre, nello schedario, ma non sono belle immagini. Sono un po’ confuse. Ho anche una foto scattata cinque anni fa. Austin l’ha tenuta al riparo dalla stampa. È la sua unica figlia e lui è sempre stato un po’ troppo protettivo nei suoi confronti. Il che, in un ambiente come quello degli affari, non è un male.»

    «Però qualcosa non ti quadra» insinuò Ethan, che aveva avvertito l’esitazione di Victoria.

    Lei prese in considerazione quell’affermazione per un attimo. «La nostra agenzia ha condotto indagini sul passato di tutti gli impiegati della BalPhar. Sono puliti. Ovviamente questo

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