Il dottore senza passato: Harmony Bianca
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About this ebook
Marco non ricorda più nulla, tranne la dolorosa scomparsa della moglie, ma sente che Gina, per cui ha provato da subito un'attrazione potente e pericolosa, possiede la chiave per far luce sul proprio passato. Ed è intenzionato a ottenere quella chiave, a ogni costo.
Jennifer Taylor
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Il dottore senza passato - Jennifer Taylor
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Gina’s Little Secret
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Jennifer Taylor
Traduzione di Rita Orrico
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-579-3
1
11 dicembre. Ore 16.00
«Hanno appena chiamato dal pronto soccorso. Indovina cosa volevano?»
L’infermiera Georgina Lee staccò lo sguardo dal monitor del computer e sbuffò. «Non dirmelo. Vogliono che troviamo loro ancora un altro letto per ancora un altro paziente.»
«Indovinato!» esclamò Rosie James, l’infermiera praticante. «Datti una pacca sulla spalla.»
«Lo farei se ne avessi il tempo.» L’espressione di Gina si rabbuiò. «È la terza volta che cerco di compilare questo modulo d’ordine. Di questo passo finiremo persino le scorte di cerotti.»
«C’è molto da fare» convenne Rosie. «Non pensavo che la vita nell’unità di Osservazione Breve Intensiva fosse così febbrile. Sinceramente, credevo che i pazienti venissero portati qui per qualche ora prima di essere mandati in reparto o dimessi.»
«È quello che crede la gente che non ha mai lavorato qui» replicò Gina ridendo e i suoi grandi occhi grigi si accesero di divertimento. «Lo pensavo anche io quando ho accettato l’incarico e ho scoperto molto presto quanto mi sbagliavo!»
«Dev’essere stato uno shock.»
Gina si strinse nelle spalle. «Un po’, ma confesso che mi piace la varietà. Se lavori in un reparto come la chirurgia, per esempio, sai che il paziente si prepara per un’operazione oppure è in convalescenza post-operatoria. Qui invece, non sai mai con che cosa avrai a che fare. Di sicuro non ci si annoia.»
«Immagino che tu abbia ragione, ma non sono sicura che potrei reggere la pressione» ammise Rosie.
«Non è da tutti» confermò Gina con fermezza. Non voleva scoraggiare la giovane praticante, ma nemmeno illuderla. Con un’ultima occhiata allo schermo del computer, si alzò. «Sarà meglio andare a vedere se riusciamo a recuperare un letto. Il signor Walker dovrebbe essere trasferito in Cardiologia, forse riusciamo a convincerli a prenderlo in reparto prima del previsto.»
Quando annunciò al resto dello staff che era in arrivo un altro paziente, Julie Grey sospirò.
«Ti capisco, Jules» mormorò Gina all’amica. «Siamo talmente sovraccarichi, che di questo passo dovremo usare la stanza dei dottori!»
«Oppure lasciare i pazienti sulle lettighe in corridoio, come accadeva in passato» le ricordò Julie.
«Grazie al cielo quei tempi sono finiti. Il solo pensiero di abbandonare i pazienti in quel modo mi fa rabbrividire.»
«Sì, era terribile» convenne l’amica. «Questa nuova unità sarà anche affollata, ma è un enorme miglioramento rispetto al passato.»
Gina lasciò i colleghi al loro lavoro e andò a parlare con Frank Walker. Il paziente era arrivato all’ora di pranzo, accusando dolori al petto. Gli esami avevano rivelato ostruzioni in ben tre arterie coronariche e il chirurgo aveva deciso di applicare un bypass.
«Come si sente, signor Walker?» domandò lei con un sorriso di incoraggiamento, per metterlo a proprio agio.
«Così così. Il dolore è passato però, grazie alle medicine» replicò il paziente, sospirando. «So che è colpa mia. Sono anni che mia moglie mi dice di smettere di fumare e di mangiare meglio, ma non le ho dato ascolto. Pensavo che facesse tante storie per niente.»
«Non è sempre facile accettare i consigli» osservò Gina con tatto. «A ogni modo, dopo l’intervento si sentirà molto meglio.»
«Lo pensa davvero?» Frank appariva preoccupato. «Quel dottorino che mi ha visitato sembrava molto sicuro di sé, ma non posso fare a meno di preoccuparmi. In fondo, mi devono fermare il cuore.»
«È vero, ma nel frattempo la collegheranno a una macchina che farà il lavoro del cuore e dei polmoni» spiegò lei, rammaricandosi, non per la prima volta, che Miles Humphreys non avesse più tatto coi pazienti. Un’operazione che per lui era di semplice routine, non lo era per il paziente.
«Perciò lei pensa che sia un intervento sicuro, infermiera? Dovrei farmi operare?»
«Penso proprio di sì, signor Walker. Anche se si tratta di un’operazione importante, viene effettuata di frequente e posso assicurarle che il team di cardiologia del St. Saviour è il migliore.» Gina rassicurò il paziente con un buffetto sulla mano. «Starà bene, glielo prometto.»
«Grazie» mormorò Frank con un sorriso. «Mi sento molto meglio. Peccato che quel medico non si sia preso la briga di rassicurarmi come ha fatto lei. Dovrebbe dargli un paio di dritte su come parlare ai pazienti.»
Gina sorrise senza replicare. Parlare con Miles era una cosa che cercava di evitare. Da quando lei aveva declinato il suo invito a uscire insieme, tra loro si era creato molto disagio. Se solo lui avesse accettato il fatto che non c’era nulla di personale nel suo rifiuto!
Gina sospirò. La verità era che non era interessata a Miles, né a nessun uomo. Le avevano spezzato il cuore una volta e nulla al mondo l’avrebbe indotta a ripetere l’esperienza, soprattutto per l’impatto che poteva avere su Lily. La sicurezza e la felicità della sua bambina di due anni venivano prima di tutto il resto. Non c’era spazio nella sua vita per una relazione seria.
Frank Walker era appena stato trasferito in cardiologia quando i paramedici arrivarono con il nuovo paziente. Gina era in ufficio e tentava di mettere ordine tra gli incartamenti, ma uscì per andare loro incontro. Stavano sistemando il letto in fondo alla sala quando lei arrivò.
«Allora, chi abbiamo?» domandò, prendendo la cartella per leggere le generalità. Nome: Marco Andretti. Età: trentasette. Indirizzo: Villa Rosa, Firenze, Italia.
Per un attimo il significato delle parole restò sospeso nell’aria, poi il cuore di lei accelerò i battiti. Doveva esserci per forza un errore! Non poteva trattarsi del suo Marco...
Gina trasse un profondo respiro e si costrinse a guardare l’uomo disteso nel letto. Lui aveva gli occhi chiusi e il lato destro della testa era avvolto in uno spesso bendaggio bianco, ma nulla di tutto ciò le impedì di riconoscere la carnagione abbronzata, il naso elegante e la curva sensuale delle labbra. Il panico l’assalì.
Era davvero Marco, non c’erano dubbi!
«Gina? Stai bene?»
Gina sobbalzò quando Julie le posò una mano sulla spalla. Sapeva che era inutile fingere che andasse tutto bene, perché l’amica non le avrebbe creduto.
«Io... mi sento un po’ debole. Forse è la fame.»
«Forse perché hai lavorato durante la pausa pranzo» la rimproverò l’altra. «Vai subito a mangiare qualcosa. Noi possiamo cavarcela qui, vero Rosie?»
Alla fine, Gina accettò di allontanarsi. In condizioni normali, non avrebbe mai rinunciato a supervisionare l’accettazione di un nuovo paziente, ma quella non era affatto una situazione normale. Mentre si dirigeva nella stanza delle infermiere, dovette portarsi una mano alla bocca per non scoppiare in una risata isterica. Per fortuna all’interno non c’era nessuno e lei poté mettere dell’acqua sul fuoco e lasciarsi cadere su una sedia quando le gambe smisero di reggerla.
Che strano scherzo del destino aveva portato Marco proprio nell’ospedale in cui lei lavorava? Il Natale seguente sarebbero trascorsi tre anni dall’ultima volta che lo aveva visto, quando lui le aveva detto di punto in bianco che non vedeva un futuro per loro due. La sua espressione era stata così fredda che qualsiasi protesta di lei era rimasta inespressa. A cosa sarebbe servito tentare di convincerlo che tra loro c’era qualcosa di speciale, qualcosa per cui combattere, quando lui stesso non ci credeva? Non poteva costringerlo ad amarla e di certo non l’avrebbe supplicato, così aveva fatto ciò che lui voleva e se n’era andata.
Gina ricordò quel periodo terribile della propria vita col cuore pesante. All’inizio aveva sperato che, vedendola andare via, lui si sarebbe reso conto che gli mancava; ma dopo settimane di angosciante silenzio, si era arresa all’evidenza. A Marco era piaciuto fare l’amore con lei, magari anche trascorrere un po’ di tempo in sua compagnia, ma non aveva mai avuto bisogno di lei, né l’aveva amata davvero.
Affrontare la realtà era stato molto difficile, ma quantomeno aveva reso le cose più semplici alla nascita di Lily.
Adesso però Marco era lì ed era inevitabile che la sua ricomparsa nella sua vita avrebbe avuto delle conseguenze. In fondo, Marco era il padre di Lily. Lui aveva una figlia di cui non sapeva nulla.
2
«Tutto organizzato. Uno dei team di neurologia sarà qui a momenti... ehi! Pianeta Terra chiama Gina, mi ricevi?»
«Cosa?» Gina trasalì quando Julie le apparve di fronte. Trasse un rapido respiro, sforzandosi di ignorare il panico che l’aveva assalita. «Scusa, ero sovrappensiero» si schermì, alzandosi per versare del caffè solubile in due tazze. Aggiunse l’acqua e lo zucchero, trovando un po’ di conforto in quelle azioni quotidiane.
Forse era quella la risposta: comportarsi in modo normale, così che Marco non avrebbe sospettato nulla di strano. In fondo, non c’era ragione di parlargli di Lily.
«È vero che il caffè mi piace dolce, ma tre cucchiai di zucchero sono troppi anche per me!» protestò Julie spingendola da parte. Gettò il caffè nel lavandino e ricominciò da capo. Alla fine, fu lei a servire il caffè a entrambe.
«Se non ti conoscessi bene, direi che la vista del nostro nuovo paziente ti abbia sconvolta.»
«Sciocchezze!» Gina scoppiò in una breve risata, ansiosa di togliere di mezzo quell’idea prima che mettesse radici. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era diventare l’oggetto di speculazioni. «Sono solo affamata, come ti ho detto. Non ho avuto tempo di fare colazione, quindi è colpa mia.»
«Io ho dei panini. Prendine uno» offrì Julie, aprendo il frigorifero e passandole un contenitore di plastica.
«Grazie.» Gina si sforzò di affondare i denti nel panino al prosciutto, sebbene non avesse alcuna voglia di mangiare. La sua mente era occupata dal pensiero di Marco e di come avrebbe fatto a tenerlo all’oscuro dell’esistenza di Lily. In fondo, non sarebbe rimasto a lungo in quell’unità: sarebbe stato trasferito in reparto o dimesso, a seconda della terapia di cui aveva bisogno. Non c’era ragione di tirare in ballo il discorso di sua figlia.
Il cuore le si strinse in una morsa e lei mangiò un altro boccone in tutta fretta. La loro figlia. La bambina che avevano concepito insieme. Lei aveva davvero creduto che quello che c’era tra loro fosse amore, ma chiaramente Marco la pensava diversamente. Per lui si era trattato di semplice sesso e il fatto che avesse avuto come risultato una bellissima bambina era un semplice incidente di percorso.
«Non mi sono mai occupata di un caso del genere. È una di quelle cose di cui si legge ma che capitano di rado» commentò Julie.
Gina sollevò lo sguardo, rendendosi conto che si era distratta di nuovo. «Cosa vuoi dire?»
«L’amnesia. Si spera che recuperi presto la memoria, ma dev’essere terribile non sapere nemmeno chi sei.»
«Stai parlando di Marco?» domandò Gina, arrossendo quando Julie la guardò sorpresa. «È il suo nome, giusto? L’ho letto sulla cartella.»
«Sì, Marco Andretti. A quanto pare è un dottore, nientemeno che uno specialista in traumi. Non so se ciò migliori la situazione o la peggiori. Cosa ne pensi?»
«Non saprei» replicò Gina, facendo uno sforzo per seguire ciò che l’amica le stava dicendo. «Mi stai dicendo che ha perso