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L onore di un principe: Harmony Destiny
L onore di un principe: Harmony Destiny
L onore di un principe: Harmony Destiny
Ebook158 pages2 hours

L onore di un principe: Harmony Destiny

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About this ebook

Carlos Medina è un chirurgo capace, un uomo ricco e affascinante, un principe deposto. Ma non è un padre. Di questo è assolutamente sicuro. Eppure Lilah Anderson, responsabile amministrativa dell'ospedale dove lavora, è convinta del contrario. La notte sconvolgente che hanno trascorso insieme alcune settimane prima non è stata priva di conseguenze. A chi credere dunque, alle proprie incrollabili certezze o alla donna sincera e sensibile che gli ha acceso il sangue e toccato il cuore? Mentre i giorni passano e la risposta si avvicina, Carlos è sempre più confuso da un sentimento che non ha niente a che vedere con la paternità.
LanguageItaliano
Release dateMay 10, 2018
ISBN9788858982297
L onore di un principe: Harmony Destiny
Author

Catherine Mann

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    L onore di un principe - Catherine Mann

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    His Heir, Her Honor

    Silhouette Desire

    © 2011 Catherine Mann

    Traduzione di Roberta Canovi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5898-229-7

    1

    «Coprite i gioielli di famiglia, egregi signori» annunciò Lilah Anderson entrando nello spogliatoio degli uomini dell’ospedale St. Mary. «Donna in arrivo.»

    Coi tacchi che rimbombavano sulle piastrelle, Lilah marciò oltre un infermiere che indossava frettolosamente un camice e un anestesista che combatteva una battaglia persa con un asciugamano troppo piccolo; procedendo imperterrita, non fece caso alle varie parti anatomiche maschili che incontrò lungo la strada, né ai colpi di tosse o alle risatine contenute a stento.

    Il suo unico obiettivo era trovare lui.

    Nessuno osò fermarla mentre avanzava tra le panche e gli armadietti: vista la sua posizione di amministratore sanitario della prima struttura ospedaliera di Tacoma, nessuno voleva rischiare il licenziamento.

    Il suo problema? Un sottoposto particolarmente testardo che sembrava determinato a boicottare ogni suo tentativo di incontro, come aveva fatto nelle ultime due settimane. Pertanto, aveva scelto l’unico luogo dove era certa di ottenere la completa attenzione del dottor Carlos Medina – le docce comuni.

    Era cresciuta con due fratelli, e si sarebbe persa fin troppe occasioni di divertimento se di quando in quando non avesse invaso il loro spazio personale.

    Arrivata in prossimità delle cabine, vide che tre su cinque erano occupate. Nella prima, dietro la cortina di plastica, intravide un’ombra bassa e rotonda. Non era Carlos.

    Dalla seconda comparivano una testa calva e un paio di occhi verdi scioccati. Un chirurgo, ma non quello che stava cercando.

    Accennò un saluto al primario di pediatria. «Buongiorno, Jim.»

    Jim si ritrasse nel cubicolo, lasciandola a concentrarsi sulla terza doccia. Procedette, i tacchi che martellavano rapidi quasi quanto il suo cuore.

    Volendo essere certa di non commettere un errore, tra le pieghe della tenda studiò la figura sotto il flusso d’acqua, le mani che si massaggiavano la nuca. Bastò un’occhiata fugace per riconoscere quel corpo che conosceva intimamente.

    L’aveva trovato: Carlos Medina, medico, amante e, come se ciò non fosse abbastanza, pure il primogenito di un deposto sovrano europeo. Il suo status principesco, tuttavia, non faceva colpo su di lei: ben prima di sapere delle sue nobili origini, era stata attratta dalla sua mente brillante, dalla compassione che mostrava verso i pazienti...

    E da un notevole posteriore che faceva una gran bella figura nei pantaloni della divisa ospedaliera. O senza niente. E questo era esattamente ciò cui non doveva pensare in quel momento.

    Lilah prese il coraggio a due mani, e con esso la tenda, per tirarla da parte, facendo tintinnare gli anelli metallici sul bastone di sostegno.

    Fu investita da un’ondata di vapore, che le accecò momentaneamente la vista; quando la nebbiolina si dissolse, però, lasciò in bella mostra un magnifico esemplare di maschio. L’acqua scorreva lungo il corpo di Carlos, girato di tre quarti, mettendo in evidenza muscoli sodi e definiti. E, per la miseria, una visione perfetta della curva del suo fondoschiena da modello.

    Sulla sua pelle bronzea indugiavano gocce d’acqua e schiuma, le braccia e le gambe spruzzate di peluria scura. Nessun segno di abbronzatura, dato che passava la maggior parte del proprio tempo al chiuso, in sala operatoria o a dormire, ma la naturale carnagione olivastra gli conferiva un aspetto perennemente abbronzato, come se si fosse concesso al sole senza veli.

    Quando si voltò verso di lei, lentamente, non mostrò il minimo segno di stupore. I suoi occhi brillavano quasi neri, enigmatici. E Lilah non riuscì a reprimere un brivido di desiderio all’incrociare il suo sguardo intenso. Lo stomaco si chiuse in un nodo di tormento che rischiava di distrarla dalla missione che si era prefissa quel giorno.

    Carlos inarcò un sopracciglio. «Sì?»

    Il lieve accento spagnolo saturò quell’unica sillaba come il vapore nell’aria, così bollente che Lilah ebbe la tentazione di togliere la giacca del tailleur.

    Nella cabina adiacente l’acqua venne chiusa in tutta fretta e il pediatra lasciò il locale praticamente di corsa. Altri indugiarono, voltando deliberatamente le spalle mentre recuperavano i vestiti.

    Lilah si strinse nella giacca per ricomporsi. «Ho bisogno di parlarti.»

    «Una telefonata avrebbe risparmiato qualche imbarazzo ai miei colleghi.» Parlò a voce bassa, come sempre, quasi sapesse per istinto che le persone avrebbero comunque prestato attenzione a ogni parola che usciva dalla sua bocca.

    «Quello che devo dirti è troppo personale per essere comunicato per telefono.» Perché, le docce comuni erano per caso il luogo ideale? Non poteva di certo parlare lì, con tutte quelle orecchie indiscrete pronte a captare ogni più piccola sillaba, ma presto lei e Carlos sarebbero stati soli.

    Tutti soli?

    L’idea le fece venire la pelle d’oca. E nei suoi occhi non era forse apparsa una scintilla in risposta? Poi lui sbatté le palpebre, cancellando qualsiasi traccia di emozione.

    «Direi che più personale di così si muore, capo.» Chiuse l’acqua. «Mi passi l’asciugamano?»

    Lei recuperò il telo appeso al gancio sul muro, il nome e il logo dell’ospedale stampati sul bordo; dopodiché glielo lanciò, piuttosto che rischiare un contatto accidentale. Mentre lui se lo cingeva in vita, Lilah non riuscì a resistere a una sbirciata.

    L’acqua gli aveva scurito i capelli, rendendoli ancora più neri e lucidi; Carlos li aveva tirati indietro dal viso, mettendo bene in evidenza ogni dettaglio degli zigomi e del naso aristocratici; le sopracciglia castane contornavano due occhi scuri che raramente apparivano divertiti, ma si trasformavano in fornaci quando faceva l’amore con lei.

    Dandole le spalle per la prima volta, Carlos recuperò lo shampoo. Lilah distolse lo sguardo dai fianchi snelli e dal fondoschiena sodo, attirata dalle cicatrici che gli marcavano la schiena; lui aveva spiegato la propria lieve zoppia con una caduta da cavallo patita da ragazzo. Nell’occasione in cui lei aveva insistito, la prima volta che aveva visto quelle cicatrici, Carlos aveva scansato ulteriori domande distraendola con baci appassionati sulla sua pelle nuda.

    Anche se era un avvocato e non un medico, lavorare in un ospedale e semplice buon senso le avevano fatto capire che aveva subito un grave trauma.

    Con la borsa della toilette infilata sotto il braccio, lui si piegò verso di lei. Le sue spalle, poi i suoi occhi, la attirarono fino a che il resto dello spazio sparì. Lilah deglutì.

    Carlos la fissò impassibile. «Facciamo in fretta.»

    «La tua carineria non manca mai di stupirmi.»

    «Se volevi la carineria, quattro anni fa hai assunto la persona sbagliata.» All’epoca lui aveva trentasei anni, lei trentuno. Un secolo prima. «Ho passato la maggior parte della giornata a ricostruire la spina dorsale di una bambina afgana di sette anni ferita da una mina. Sono a pezzi.»

    Nonostante Lilah si opponesse, la compassione si fece strada dentro di lei. Era ovvio che fosse esausto dopo una simile operazione. Anche quando metteva da parte il proprio orgoglio e usava uno sgabello durante le lunghe operazioni, il prezzo che doveva pagare era sempre evidente. Ma Lilah non poteva permettersi di cedere in quel momento.

    Erano stati amici per anni, e dopo un’impulsiva, folle notte insieme lui si era trasformato in un bastardo di prima categoria. Come se lei gli avesse presentato la lista degli invitati al matrimonio cinque secondi dopo il terzo orgasmo!

    Già, il terzo. Al mero ricordo le si arricciarono le dita dei piedi.

    Il sesso era stato straordinario. Più che straordinario, in effetti, e dopo quell’impulsiva occasione Lilah aveva immaginato che il loro rapporto di amicizia si sarebbe arricchito di determinati privilegi che sarebbe stata ben felice di sfruttare. Un’opzione da pelle d’oca, e sicura. Ma lui si era tirato indietro con la stessa velocità con cui si era rinfilato i pantaloni il mattino dopo. Era stato freddo, distaccato e dolorosamente composto.

    Ma lei non intendeva tirarsi indietro. «Non ho tempo per le tue frecciatine. Quindi mettiti qualcosa addosso e parliamo.»

    Lui chinò il capo al punto che la sua voce le riscaldò l’orecchio. «Non sei il tipo da fare una scenata. Vediamoci quando sarai più calma, questa situazione è già abbastanza imbarazzante.»

    «Vorresti fissare un appuntamento? Non credo proprio.» Abbassò la voce, anche se dal rumore dei passi che si allontanavano, dovevano essere rimaste ben poche persone nello spogliatoio. «Parliamo adesso. L’unica cosa che puoi decidere è se farlo qui, davanti a tutti, o in un ufficio. E credimi, se scegli di restare qui presto diventerà ancora più imbarazzante.»

    Carlos strinse gli occhi e corrugò la fronte.

    Dietro di sé, Lilah sentì qualcuno che si schiariva la voce, o forse tratteneva una risatina. Alzò gli occhi su di lui, tutt’a un tratto penosamente consapevole di quanto fossero vicini uno all’altra, con nient’altro che un asciugamano a coprire i suoi più che generosi gioielli di famiglia.

    Si costrinse a non indietreggiare – e a non avvicinarsi. Carlos l’aveva ignorata per quasi tre mesi, ferendo lei e insultando la loro amicizia. O meglio, la loro ex amicizia.

    In un modo o nell’altro, gli avrebbe suscitato una qualche reazione. «In fondo, non è che non ti abbia mai visto prima. Anzi, ricordo alla perfezione...»

    «Basta così» la zittì seccamente.

    «L’onnipotente principe Medina ha parlato» lo schernì allora lei, scostandosi da lui per recuperare una divisa ospedaliera da passargli. «Vestiti. Ti aspetto.»

    Quando gli diede le spalle, si ritrovò di fronte tre uomini mezzi vestiti, che la fissavano a bocca aperta e occhi sbarrati. Per la prima volta fu investita dalla portata della scenata di cui si era resa protagonista, e dovette resistere alla tentazione di scavare un buco per nascondersi.

    L’argomento era troppo importante per mostrare vulnerabilità. Sperava solo di riuscire a mantenere il distacco necessario per superare la conversazione che avrebbero affrontato una volta soli, per la prima volta da mesi. Si appoggiò le dita sulle labbra, incapace di dimenticare la scarica di passione del loro primo, impetuoso bacio, una passione che aveva portato a molto di più, con tanto di conseguenze.

    Presto Carlos avrebbe appreso la verità che lei stessa aveva appena cominciato ad accettare, una verità che non poteva più evitare.

    Nel giro di poco più di sei mesi, il dottor Carlos Medina sarebbe diventato padre di un principino.

    Nel giro di poco più di sei secondi, Carlos avrebbe perso la pazienza – cosa che non permetteva mai che accadesse.

    Certo, per questo non poteva che biasimare se stesso; era stato uno sciocco a concedersi di andare a letto con Lilah. Aveva rovinato un perfetto rapporto di lavoro.

    Il suo studio avrebbe garantito la privacy necessaria alla discussione che lei aveva in mente. Quando era stato svelato il segreto del suo retaggio nobiliare, l’ospedale era stato invaso dai paparazzi. Carlos aveva temuto di dover rassegnare le dimissioni per assicurare la tranquillità dei propri pazienti.

    Ma aveva sottovalutato Lilah.

    In un batter d’occhio aveva ricoperto la stampa di ordini restrittivi e ingiunzioni. Aveva incrementato la sicurezza dell’ospedale. E aveva spostato il suo studio nell’angolo più nascosto dell’edificio. I giornalisti troppo zelanti avrebbero dovuto superare due livelli di sicurezza e una mezza dozzina di stazioni di infermieri prima di ritrovare la sua tana. Fino a quel momento, non c’era riuscito nessuno.

    Sì, l’aveva sottovalutata, un errore che non avrebbe commesso di nuovo. Avrebbe dovuto fare leva su

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