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Avventura in corsia: Harmony Bianca
Avventura in corsia: Harmony Bianca
Avventura in corsia: Harmony Bianca
Ebook158 pages2 hours

Avventura in corsia: Harmony Bianca

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About this ebook

Erin Taylor, medico d'urgenza al Pronto Soccorso, non ha mai conosciuto l'amore. Fredda e compassata, crede prima di tutto nella scienza e nella medicina, ritenendo che le emozioni e il coinvolgimento siano solo un ostacolo allo svolgimento della professione medica.



La sua vita però sta per essere stravolta dal nuovo capo, Eamon Chapman, dal suo approccio dolce e comprensivo nel lavoro, coi pazienti, e con lei! Come riuscire a mantenere il controllo davanti a quegli ammalianti occhi verdi?



E' STATO PROCLAMATO LO STATO DI EMERGENZA!

LIVELLO DI ALLERTA: Massimo.

CONSIGLI UTILI: Barricarsi in casa, possibilmente in camera da letto.
LanguageItaliano
Release dateOct 10, 2017
ISBN9788858973400
Avventura in corsia: Harmony Bianca
Author

Melanie Milburne

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Book preview

    Avventura in corsia - Melanie Milburne

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Emergency Doctor And Cinderella

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2010 Melanie Milburne

    Traduzione di Giovanna Seniga

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A..

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-340-0

    1

    Per il terzo giorno consecutivo qualcuno aveva parcheggiato nel posto auto di Erin. E, come se non bastasse quel gesto di maleducazione, chi aveva parcheggiato aveva occupato tanto posto da costringerla a lasciare la sua auto vicino ai bidoni della spazzatura. Era quasi certa che questo le sarebbe costato almeno un paio di graffi all’immacolata carrozzeria.

    Frugò nella borsetta, estrasse un foglio di carta e una penna e si appoggiò sbuffando alla prima superficie piatta che trovò. "Lei occupa un posto sbagliato!" scrisse. Infilò il messaggio nel tergicristallo dell’auto pirata e, finalmente, si diresse verso il portone.

    Attese con impazienza che l’ascensore scendesse dal quindicesimo piano. Dopo un turno di dieci ore al Pronto Soccorso del Metropolitan di Sydney, la sola cosa che desiderava era raggiungere la calma del suo appartamento. Nelle orecchie aveva ancora le urla e i pianti di una madre di mezza età che aveva perso il suo unico figlio a causa di una coltellata mortale. Un altro affare di droga finito male.

    Le porte dell’ascensore si aprirono e lei si ritrovò faccia a faccia con un uomo alto che indossava un paio di jeans e una T-shirt bianca impolverata sulla spalla destra. Aveva in mano uno scatolone vuoto e le lanciò un sorriso forzato mentre usciva. «Trasloco,» spiegò scoprendo i denti bianchissimi.

    Erin sollevò il mento e lo fulminò con lo sguardo. «È sua l’auto parcheggiata nel mio posto?»

    Gli occhi verdi dell’uomo si indurirono un po’ e il suo sorrise si spense. «Non sapevo che i posti auto fossero riservati.»

    Lei sollevò ancora di più il mento. «I numeri sono dipinti per terra. Li vedrebbe anche un cieco.»

    Lui aggrottò la fronte. «Lei deve essere la ragazza del 1503» disse dondolandosi leggermente sulle ginocchia. «Mi avevano avvisato.»

    Erin lo guardò, improvvisamente furibonda. «Prego?»

    Gli occhi di lui percorsero tutta la sua figura con rilassata lentezza. «Erin Taylor, vero?»

    Lei strinse le labbra. «Esattamente.»

    Il sorriso dello sconosciuto si fece quasi di derisione. «Di lei mi ha detto tutto il mio padrone di casa.»

    «Davvero?» chiese Erin con voce indifferente.

    «Sì» confermò lui, posando lo scatolone per terra. «Lei lavora come medico al Sydney Metropolitan.»

    Dentro di sé Erin alzò gli occhi al cielo pensando che era arrivato un altro che cercava una consulenza gratuita. Senza dubbio il tizio sperava di scroccarle un consiglio su come combattere qualche malanno, come già avevano provato a fare altri vicini. «Anche questo è esatto» disse lei seccamente. «Ho appena finito il mio turno di lavoro. Se mi vuole scusare.»

    «Ho affittato l‘appartamento vicino al suo» aggiunse lo sconosciuto.

    «Ah... Bene» mormorò Erin senza nemmeno cercare di sembrare sincera.

    L‘uomo continuò a sorridere. «Sono molto determinato a mantenere buoni rapporti con i vicini. Sposto subito l‘auto.»

    «È meglio» approvò lei e premette il pulsante per far riaprire le porte dell‘ascensore. «Ma non la metta nel posto riservato ai disabili. Lo usa la signora Greenaway del decimo piano.»

    «Starò attento.»

    Nonostante il suo sorriso cortese c‘era qualcosa nel suo tono che fece pensare a Erin che, in realtà, si prendesse gioco di lei. Premette di nuovo il pulsante cercando di non fare caso al modo in cui i jeans e la maglietta mettevano in risalto il fisico sottile, ma muscoloso dello sconosciuto. Doveva ammettere che l‘uomo aveva un corpo davvero notevole. Niente grasso superfluo, solo muscoli tonici distribuiti su oltre un metro e ottanta di statura. I capelli erano castano scuri e folti e aveva quel tipo di pelle che si abbronza subito. La mascella ombreggiata dalla barba di un giorno gli dava un‘aria decisa e il naso aquilino e i penetranti occhi verdi facevano pensare a una durezza di carattere che lei trovò stranamente affascinante.

    Le porte dell‘ascensore si aprirono ed Erin spinse il bottone del quindicesimo piano. Non voleva essere scortese e forzò un sorriso formale. «Ci vediamo.»

    «Certamente» rispose lui sorridendo a sua volta.

    Le porte si chiusero ed Erin si lasciò sfuggire un sospiro. Quel tipo bruno, alto e bello sarebbe stato un cambio migliore dei suoi precedenti vicini, un terzetto di studenti che davano continuamente delle feste e che utilizzavano il suo bidone della spazzatura quando avevano riempito il loro. Le erano servite due settimane per togliere dalle sue tende la puzza delle sigarette, visto che i due appartamenti avevano in comune un balcone diviso solo da una mezza parete di vetro.

    Se il nuovo inquilino si faceva gli affari suoi e non occupava il suo posto auto Erin era sicura che fra loro non ci sarebbero stati problemi.

    «Buongiorno, Erin» la salutò la mattina dopo Tammy McNeal, l‘infermiera di turno addetta allo smistamento dei pazienti in chirurgia d‘urgenza. «Come mai non c‘eri all‘incontro di stamattina con il nuovo primario? Aveva insistito che partecipasse tutto il personale di turno. Vuole incontrare tutti, anche gli addetti alla pulizia.»

    Erin sistemò la borsa nell‘armadietto prima di rispondere. «Avevo di meglio da fare, per esempio recuperare un po‘ di sonno. Sono sicura che prima o poi lo incrocerò.»

    Tammy si sporse dalla sua scrivania. «Non sembra che tu abbia dormito così bene. So che il decesso di ieri è stato un duro colpo per te. La madre era fuori di sé e ha cercato di incolparti di non avere salvato suo figlio. Stai bene? Sembri esausta.»

    Erin odiava che la gente le dicesse che sembrava stanca. La facevano sentire senza forze anche quando non era vero, ma doveva ammettere che la notte precedente era stato difficile a prescindere dal dramma della morte del ragazzo. Fino a tarda ora era stata disturbata dai rumori di scatoloni e mobili che venivano trascinati nell‘appartamento di fianco, e mettersi un cuscino sulle orecchie non era servito a niente. E quando finalmente si era addormentata aveva continuato a svegliarsi in preda agli incubi, come le capitava tutte le volte in cui aveva a che fare con malati drogati. I fantasmi del suo passato la colpivano quando era più vulnerabile. «Sto bene, Tammy» disse afferrando il suo stetoscopio. «Sono abituata a essere usata come capro espiatorio dai pazienti e dai loro famigliari. Fa parte del lavoro. Non è come se li dovessi vedere di nuovo. È uno dei vantaggi di lavorare in Pronto Soccorso. Faccio per loro il meglio che posso e poi li passo a qualcun altro che se ne occupi.»

    Tammy lo guardò con ironia. «Penso che dovrai ripensarci dopo aver sentito i progetti del nuovo direttore, il dottor Chapman, per il reparto.»

    Erin si infilò il camice e si legò i capelli con un elastico che teneva in una delle tasche. «Non mi importa dei progetti del dottor Chapman. Sicuramente non potrà farmi lavorare più di quanto non faccia già.»

    Si sistemò il tesserino di riconoscimento nel taschino. «Se è come il vecchio primario ci metterà poco a rendersi conto che facciamo del nostro meglio e ci lascerà lavorare in pace.»

    Tammy trasalì. «Erin...»

    «Cosa succede?»

    Erin sentì una voce profonda e tagliente alle sue spalle. «Dottoressa Taylor, vorrei scambiare due parole con lei. Si accomodi nel mio ufficio, per favore. Adesso.»

    Erin si girò e spalancò gli occhi dallo stupore quando si trovò davanti il tizio dell‘ascensore. «Sto per prendere servizio» rispose. «Ci sono già cinque postazioni occupate da persone che attendono di essere visitate.»

    Lui la fissò con occhi gelidi. «Di turno ci sono altri due medici e uno specializzando. Sono sicuro che potranno fare a meno del suo aiuto per cinque o dieci minuti.»

    Con una smorfia di risentimento dipinta sul viso, Erin lo seguì nello studio che lui aveva sistemato vicino alla radiologia e, quando lui le tenne aperta la porta, gli passò davanti fremente di irritazione.

    Lui chiuse la porta e si diresse alla scrivania ancora sottosopra. «Si accomodi. Non voglio trattenerla a lungo.»

    Erin esitò per un attimo. Se si fosse seduta gli avrebbe concesso un vantaggio. Lui era alto e la guardava da sotto in su facendola sentire una quindicenne, mentre aveva quasi il doppio di quell‘età. Per un attimo i loro occhi si sfidarono, poi Erin cedette e si lasciò cadere pesantemente su una sedia. Incrociò le braccia al petto e accavallò le caviglie. Si rendeva benissimo conto che si trattava dell‘atteggiamento di chi vuol comunicare che non vede il momento di andarsene, ma non gliene importava.

    «Anzitutto sarebbe opportuno che mi presentassi come si deve, visto che ieri sera ho trascurato di farlo.»

    «Già. Perché poi?» chiese lei con una smorfia. «Sapeva benissimo chi ero visto che era stato messo in guardia su di me.»

    Eamon decise di non sedersi sulla poltroncina accanto alla scrivania, ma si appoggiò allo schedario a osservare la smorfia dipinta sulle labbra di Erin Taylor e i suoi occhi castani che mandavano lampi. Se ne stava seduta in atteggiamento di sfida con tutto il corpo teso pronto a lottare e lui decise che sarebbe stata incredibilmente bella se solo avesse cambiato quell‘espressione di stizza in un sorriso. Aveva la pelle chiara con una spruzzatina di efelidi sul naso. I capelli, raccolti in una coda di cavallo, erano lucidi e le incorniciavano il viso a forma di cuore. La bocca era piena, anche se lei la teneva sempre stretta, e gli zigomi erano classici, come quelli di una modella. Alti ed evidenti, davano al viso un‘espressione altera. Era snella, ma innegabilmente molto femminile e le braccia che lei teneva incrociate mostravano, anche se era sicuro che fosse del tutto non intenzionale, la perfetta forma del seno.

    L‘improvviso stimolo che provò all‘altezza dell‘inguine lo colse del tutto di sorpresa. Certamente era da un po‘ che non teneva una donna fra le braccia, ma era difficile immaginare che Erin Taylor potesse finire nel suo letto, anche se nella sua testa ci fece un pensierino. Non c‘era nulla che amasse di più delle sfide difficili.

    «Come avrà già saputo sono il dottor Eamon Chapman, il nuovo direttore del reparto di Pronto Soccorso. Avrebbe dovuto ricevere l‘email con la comunicazione della mia nomina.»

    Lei non rispose e continuò a fissarlo con quella espressione recalcitrante dipinta in faccia.

    «E dovrebbe avere anche ricevuto l‘invito all‘incontro di questa mattina, cui lei ha deciso evidentemente di non partecipare.»

    Lei si irrigidì sulla sedia. «Non era obbligatorio.»

    Eamon spinse la lingua contro la guancia come se cercasse di stare calmo. Qualcosa nell‘atteggiamento di quella donna gi faceva venire in mente una studentessa con nessun rispetto per l‘autorità. «È vero, ma sarebbe stato gentile da parte sua informarmi che non avrebbe potuto partecipare. Come può immaginare la mia posizione richiede grande impegno e senso di responsabilità. Sarei felice di poter credere che tutti i componenti del mio gruppo siano coinvolti al cento per cento fin dal primo giorno del

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