Giorno dopo giorno: Harmony Collezione
By Lynne Graham
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Lynne Graham
Lynne Graham vive in una bellissima villa nelle campagne dell'Irlanda del Nord.Lynne ama occuparsi della casa e del giardino, soprattutto nel periodo che lei considera il più magico dell'anno, il Natale.
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Giorno dopo giorno - Lynne Graham
successivo.
1
Meg Bucknall pigiò il pulsante dell'ascensore e la guardò. «Che cosa diavolo ti sei messa in testa?» chiese.
Ellie si tastò meccanicamente il fazzoletto a fiori che le riparava i capelli dalla polvere.
«C'è un tipo che lavora fino a tardi, al mio piano» sospirò. «Ed è... sì, insomma...»
«Ci prova?» Il viso a luna piena della matura Meg non mostrò un briciolo di sorpresa. Anche in tuta, Ellie non sarebbe mai passata inosservata. Magari non era altissima, ma aveva un fisico perfettamente proporzionato e ricco di curve, una cascata di capelli biondi così chiari da scintillare come l'argento, e occhi verdi straordinariamente luminosi sotto le ciglia scure. «Immagino che crederà di andare sul sicuro, con una povera donna delle pulizie. Giovane o vecchio?»
«Giovane.» La porta dell'ascensore si schiuse ed Ellie cedette il passo alla collega più anziana. «Ormai sta diventando pesante. Incomincio a chiedermi se non sia il caso di parlarne con la sorveglianza.»
Meg storse il naso. «Meglio di no, Ellie. Non ti conviene ufficializzare la cosa. Se quel tipo lavora fino a tardi vuol dire che è un pezzo grosso, e quelli come lui trovano sempre il modo di farla franca.»
«Già. Il mondo è degli uomini» brontolò lei.
Meg si accigliò. Ellie era una persona sensibile, a dispetto dei modi spicci e del carattere deciso, e questa volta sembrava davvero molto infastidita. «Perché non ci scambiamo i piani, per questa sera? Ti servirà a riprendere fiato, e poi potrai chiedere di cambiare il turno con qualcun'altra delle ragazze.»
«Non si può» le ricordò lei, con riluttanza. «Non sono assicurata per un piano diverso dal mio.»
«Lascia stare» tagliò corto Meg. «Non se ne accorgerà nessuno. Basta che tu non ti faccia notare se senti i passi dell'agente di sorveglianza, e che ti tenga alla larga dalla grande porta doppia di fronte all'ascensore. È l'ufficio del signor Alexiakis e nessuno ha il permesso di entrarci. D'accordo?»
Ellie la guardò spingere il carrello e scendere al piano che di solito toccava a lei. La salutò con la mano e le rivolse un gran sorriso di ringraziamento. «Sei davvero un'amica, Meg» disse mentre la porta scorrevole si richiudeva con un sibilo.
Non era mai stata all'ultimo piano del grande edificio che ospitava gli uffici della Alexiakis International, ma sbucando dall'ascensore si rese subito conto che lì la disposizione era diversa da quella dei piani sottostanti. Sulla destra si apriva una lussuosa area di ricezione in fondo alla quale, nel buio, si intravedeva un'imponente porta doppia.
A sinistra, invece, un'altra porta doppia dava accesso a un corridoio fiancheggiato da una lunga teoria di porte.
Ellie decise di incominciare da quella parte e si rilassò, assaporando la prospettiva di una serata senza agguati da parte di Ricky Bolton.
Aprì la prima porta ed entrò senza fare rumore nella stanza. Raggiunse il cestino vicino alla scrivania e lo svuotò, prima di rendersi conto all'improvviso che l'ufficio adiacente era ancora occupato. Dalla porta socchiusa arrivava il suono di due voci maschili.
In circostanze normali avrebbe rivelato la sua presenza, ma siccome si trovava in una posizione irregolare e non intendeva creare problemi a Meg, preferì battere rapidamente in ritirata. Ma proprio mentre indietreggiava, udì dei passi avvicinarsi in corridoio e poco mancò che non le venisse un infarto. Senza fermarsi a riflettere si nascose dietro la porta, con il cuore che batteva forte.
I passi si avvicinarono, e si arrestarono esatta mente all'altezza della porta. Ellie smise di respirare.
Nel silenzio si udì distintamente ogni parola del dialogo in corso nell'ufficio adiacente.
«...finché continuo a mostrarmi interessato all'acquisto della Danson Components, le azioni della Palco Technic rimarranno a zero.» La voce era pro fonda e con un marcato accento straniero, e suonava soddisfatta. «Così mercoledì, all'apertura dei mercati, potrò fare la mia mossa indisturbato.»
Ellie udì distintamente l'uomo al di là della porta trattenere il fiato. Si sentì una perfetta idiota. Chi credeva di ingannare? In fondo, il carrello delle pulizie denunciava la sua presenza nelle immediate vicinanze.
Ma l'uomo sulla soglia non avanzò. Invece si ritrasse e fece marcia indietro molto più silenziosa mente di quando era arrivato. Ellie rimase ferma dietro la porta ancora per un istante, poi fece per squagliarsela in punta di piedi, ma proprio in quel momento la porta socchiusa dell'ufficio si spalancò di colpo e inquadrò una minacciosa figura maschile, che in quel momento le sembrò alta come un grattacielo.
Un paio di occhi neri come la pece la squadrarono da capo a piedi, con un'occhiata al tempo stesso intimidatoria e un po' insolente.
«Ehi, tu! Che cosa diavolo ci fai qui?» chiese con rabbiosa incredulità.
«Ecco, stavo proprio andando via »
«Niente affatto! Origliavi dietro la porta!» la contraddisse lui, al colmo dell'indignazione.
«No, mi creda, non stavo affatto origliando.» L'intensità della sua irritazione la stupì, e fu allora che lo riconobbe e si sentì gelare il sangue.
Non l'aveva mai incontrato di persona, naturalmente, ma c'era un suo ritratto, immenso, nell'atrio al piano terra. E quel ritratto era il bersaglio di molti commenti femminili, divertiti e ammirati. Perché? Ma perché Dionysios Alexiakis era semplicemente splendido. Tutti lo conoscevano come Dion, nome che ben si addiceva al plurimiliardario greco proprietario della Alexiakis International.
Diavolo, pensò Ellie. Alla fine era proprio quella la doppia porta dalla quale non sarebbe dovuta passare. Aveva messo nei guai Meg e se stessa.
Un secondo uomo, più anziano e con i capelli grigi, comparve alle spalle di Dion Alexiakis e la guardò con espressione accigliata. «Non è l'inserviente che lavora qui di solito» sibilò prendendo il cellulare. «Adesso chiamo la sorveglianza.»
«No! Non è necessario» protestò lei, facendo ricorso a tutto il proprio sangue freddo. «Ho solo sostituito una collega per stasera. Non volevo disturbarvi, e stavo proprio per andarmene.»
«Non avevi alcun motivo di entrare qui» l'accusò il secondo uomo.
Dion Alexiakis la studiò con attenzione. «Si nascondeva dietro la porta, Millar.»
«Può darsi che vi sia sembrato così» obiettò Ellie, ormai sull'orlo della disperazione. «Ma perché avrei dovuto? Sono solo una delle donne delle pulizie. Capisco di aver commesso uno sbaglio nell'entrare qui dentro. Me ne scuso e tolgo immediatamente il disturbo.»
Senza preavviso una grande mano abbronzata le imprigionò il polso. «Tu non vai proprio da nessuna parte, ragazzina. Come ti chiami?»
«Ellie voglio dire, Eleanor Morgan. Ma che cosa fa?» Ellie cercò di liberarsi.
Troppo tardi. Dion Alexiakis aveva già sciolto il nodo del fazzoletto che le incorniciava il viso, liberando una cascata di chiarissimi capelli biondo cenere. Ora, a un passo di distanza, la sovrastava con espressione minacciosa. Sembrava alto quasi due metri. Ellie lo fissò intimidita.
E di colpo provò una sensazione strana, con le ginocchia che le tremavano e la testa improvvisamente vuota. L'interesse che gli lesse negli occhi la spiazzò.
«Non assomigli proprio a una donna delle pulizie» brontolò lui con una strana voce gutturale, continuando a fissarla.
«Oh, ne ha conosciute parecchie?» obiettò lei, in tono irriverente.
«Ellie. Sì, c'è una Eleanor Morgan in servizio» si intromise l'uomo che poco prima Alexiakis aveva chiamato Millar e che, evidentemente, aveva trovato il modo di controllare. «Però dovrebbe essere di turno all'ottavo piano, non qui. Farò venire qualcuno a identificarla.»
«No. Chiudi quel telefono.» Il viso di Alexiakis si indurì. «Meno gente saprà di quest'intrusione e meglio sarà.» Poi prese una sedia girevole e la piazzò davanti a Ellie. «Siediti» ordinò.
«Ma io...»
«Siediti» ripeté lui con forza.
Ellie strinse i denti e gli ubbidì. E va bene, era entrata dove non avrebbe dovuto. Ma si era scusata, no? Dunque, perché tante storie?
«Forse, adesso vorrai spiegarmi come mai ti trovi a questo piano. E anche perché sei entrata nel mio ufficio e ti sei nascosta dietro la porta.» Dion Alexiakis scandì ogni sillaba con precisione esasperante.
Scese il silenzio. Per un attimo Ellie si chiese se scoppiare a piangere sarebbe servito a qualcosa. Alzò gli occhi e incontrò quelli scuri e penetranti di Alexiakis. A quel punto, visto che lui la trattava già come una criminale, tanto valeva essere sincera.
«Lavorando di sera all'ottavo piano ho avuto qualche piccolo problema» ammise con grandissima riluttanza.
«Che tipo di problema?» la sollecitò Millar.
Dion Alexiakis percorse con lo sguardo tutta la sua figura, senza fretta. Indugiò sulle curve ben delineate sotto la tuta leggera, sulla perfezione delle lunghe gambe snelle. Sogghignò vedendola trasalire. «Guardala bene, Millar» suggerì seccamente. «E poi dimmi se hai davvero bisogno che qualcuno ti risponda.»
Lei soffocò il risentimento. «Ne ho parlato con la collega che lavora di solito a questo piano, e le ho chiesto se potevamo scambiare il turno solo per una sera. Dopo molte insistenze, lei ha accettato, e mi ha raccomandato di non entrare nell'ufficio con la porta doppia. Peccato che di porte doppie ce ne siano due...»
«Già» concordò Alexiakis, senza entusiasmo.
«Ho commesso un errore» continuò lei, «e quando ho cercato di andarmene ho sentito arrivare qualcuno. Avevo paura che l'agente di sorveglianza mi sorprendesse qui, e che Meg passasse dei guai per colpa mia, così mi sono nascosta dietro la porta. Lo so, è stata una cosa stupida, ma...»
«Nessuno della sorveglianza è salito qui dopo le sei» riferì Millar, impassibile. «E al piano non c'era nessuno a parte noi.»
«Be', io non so chi fosse. È rimasto fermo sulla soglia per una ventina di secondi e poi se n'è andato via.»
Dion Alexiakis si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Infine si appoggiò al bordo della scrivania più vicina e lanciò un'occhiata all'amico. «Vai a casa, Millar. Ci penso io.»
«Posso aiutarti, se vuoi.»
«Se non sbaglio, hai una cena che ti aspetta» gli ricordò seccamente lui. «E sei già in ritardo.»
L'altro fece per protestare, ma ci ripensò. «Farò il tifo per te, domani» disse prima di andarsene.
Nella stanza rimasero solo in due. Dion fissò Ellie con espressione determinata. «Mi dispiace, ragazzina, ma non posso fidarmi. Hai ascoltato una conversazione molto privata.»
«Io non ho ascoltato proprio niente, non mi interessava!» Nonostante l'espressione decisa Ellie si sentiva stranamente a disagio.
«Ho due domande da porti» continuò lui, in tono mellifluo. «Ci tieni a conservare il lavoro?»
Lei si irrigidì. «Sicuro.»
«E vuoi che lo conservi anche la tua collega, quella con cui hai scambiato il turno?»
Ellie impallidì. «Per favore, non coinvolga anche lei. L'errore è stato mio, non suo!»
«È stata lei a infrangere le