Fascino italiano: Harmony Collezione
By Julia James
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About this ebook
Ricco, potente e scandalosamente sexy.
Alessandro Dinardi conosce alla perfezione l'universo femminile. Splendido esemplare di maschio italiano, non c'è donna che non possa avere. Ma ogni regola che si rispetti, ha un'eccezione pronta a confermarla.
Timida, semplice e... piuttosto ordinaria.
Non ci sono parole migliori per descrivere Laura Stowe. In realtà, però, lei nasconde dietro l'apparenza dimessa la volontà di non essere avvicinata da nessun altro essere umano, Alessandro incluso. Ma lui non è un tipo che si arrende tanto facilmente, specie quando ha in mente un obiettivo così ambizioso.
Julia James
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Fascino italiano - Julia James
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Italian’s Rags-To-Riches Wife
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2007 Julia James
Traduzione di Carla Ferrario
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5891-676-6
www.eHarmony.it
Questo ebook contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla Legge 633/1941 e successive modifiche.
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Prologo
«Che cosa significa che non intendi passare la mano?»
Pur senza celare la propria irritazione, per rispetto nei confronti del vecchio che gli stava davanti e che aveva più del doppio dei suoi anni, Alessandro Di Vincenzo mantenne l’autocontrollo.
«La situazione è cambiata» replicò l’altro, cupo. Stava seduto sulla poltrona di cuoio nello studio della sua villa, un edificio del XVIII secolo insediato nella campagna alla periferia di Roma.
Alessandro prese tempo trattenendo il fiato. Portava un abito su misura firmato da uno dei più affermati stilisti italiani e il taglio perfetto dei capelli neri dava risalto a un volto che avrebbe fatto invidia a una star del cinema. Aveva occhi scuri e ciglia lunghe e folte, zigomi alti e naso perfetto, mascella decisa e bocca scolpita, pur se stretta in una linea sottile e torva.
«L’accordo prevedeva che ti saresti ritirato...»
«Questa era la tua idea» replicò risoluto il vecchio. «Io non ho mai intrapreso i passi legali necessari, ma tu ritenevi che dopo la morte di Stefano...» La sua voce si incrinò per un attimo. «Ma, come ti ho detto, la situazione è cambiata, e in un modo imprevedibile.»
Per un attimo la sua espressione si addolcì. Quando scosse la testa dimostrava tutti i suoi settant’anni. «Come potevo immaginare...» Di nuovo si interruppe, sopraffatto dall’emozione.
Alessandro corrugò la fronte, impaziente. Spinse indietro i lembi della giacca appoggiando sui fianchi le dita lunghe e affusolate. «Di che cosa si tratta, Tomaso? Che cosa non potevi immaginare?»
Il vecchio lo guardò in silenzio, poi riprese a parlare. «Stefano me lo aveva tenuto nascosto, l’ho scoperto solo quando sono riuscito a esaminare le sue cose.» Un’altra pausa, come se dovesse raccogliere i pensieri prima di riprendere, con la stessa voce pesante.
«Le lettere risalgono a venticinque anni fa e non capisco perché mio figlio le abbia conservate. L’ultima dice che non ne sarebbero seguite altre, perché chi scriveva accettava il fatto che Stefano non intendeva rispondere. Comunque quelle lettere esistono e questo cambia tutto» concluse, lanciando ad Alessandro uno sguardo indecifrabile.
«Per quale motivo?» domandò lui, sollecitando una spiegazione che tardava a venire: cominciava a perdere la pazienza di fronte a quelle parole evasive! Da quando, dieci mesi prima, il figlio di Tomaso, Stefano, scapolo impenitente, a quarantacinque anni era rimasto ucciso in un incidente durante una gara di motoscafi, Alessandro era destinato a passare dalla posizione di amministratore delegato a quella di presidente della Viale - Di Vincenzo, la società fondata dal padre e da Tomaso Viale.
Aveva concesso a Tomaso il tempo per piangere Stefano, per quanto i rapporti tra padre e figlio non fossero mai stati buoni, e aveva persino accettato che assumesse temporaneamente il ruolo di presidente. Ora Alessandro ne aveva ormai abbastanza: Tomaso gli aveva fatto capire che si sarebbe ritirato prima della fine dell’anno, lasciandogli il pieno controllo della società, e invece...
Quell’attesa lo faceva sentire frustrato. Aveva molti progetti per la società e quell’ulteriore viaggio fino alla residenza di Tomaso gli aveva fatto perdere anche troppo tempo e occasioni... non solo di lavoro. Per esempio, avrebbe trascorso quelle ore molto più volentieri nell’appartamento di Delia Dellatore, le cui grazie in quel momento erano in esclusiva per lui...
Un’occhiata a Tomaso gli rivelò che era molto invecchiato dalla morte di Stefano. Per quanto non fosse mai stato un figlio modello, considerata la sua vita da playboy dedito a ogni eccesso, la sua morte era ovviamente stata uno shock profondo per il padre.
E pareva che in quei giorni Tomaso avesse subito un ulteriore colpo, abbastanza forte da distrarlo dalle sorti della presidenza della Viale - Di Vincenzo.
«Per quale motivo?» ripeté Alessandro, deciso a risolvere la questione una volta per tutte.
Quando rispose, Tomaso aveva sul viso una strana espressione. «Come sai, Stefano si è sempre rifiutato di sposarsi, preferendo uno stile di vita irregolare.» Nella sua voce si percepiva una nota di disappunto. «Perciò non speravo di poter avere dei discendenti diretti. Ma le lettere che ho trovato sono di una donna, una ragazza inglese che implorava Stefano di raggiungerla, o almeno di risponderle. E la ragione per la quale scriveva quelle lettere...»
Fece una pausa, ma questa volta la sua espressione tradiva un sentimento di speranza.
«Quella ragazza ha dato a Stefano una figlia. Mia nipote.» Fissò Alessandro dritto negli occhi. «E tu adesso devi trovarla e portarla da me.»
1
Laura si fece forza e sollevò le stanghe della carriola troppo carica.
La catasta di legna umida appena raccolta ondeggiò per un attimo senza cadere. Sbattendo le palpebre per liberare le ciglia dalla pioggia, Laura si inoltrò sul terreno accidentato del frutteto, diretta al cancello del cortile sul retro della casa. Gli stivali di gomma sibilavano nell’erba fradicia e i pantaloni consunti di velluto a coste, la giacca sformata e il cappuccio erano inzuppati.
Ma Laura non ci faceva caso, perché da quelle parti pioveva spesso. Raggiunta la superficie asfaltata del cortile, proseguì più agevolmente verso la legnaia. La legna da ardere era preziosa, perché le serviva a ridurre le bollette di gas ed elettricità.
Doveva assolutamente mettere da parte una somma consistente, non solo per le ristrutturazioni indispensabili alla proprietà che i suoi nonni avevano sempre rinviato a causa della mancanza di denaro, ma anche per pagare le tasse di successione, ora che loro erano morti e lei aveva ereditato Wharton.
Fu colta dall’ansia. Per quanto si rendesse conto che vendere la proprietà sarebbe stata la scelta più sensata, il suo cuore si ribellava. Wharton era l’unica casa che avesse mai avuto, il suo rifugio. Era cresciuta tra quelle mura, protetta dai suoi nonni dopo la tragica fine di sua madre, la loro unica figlia, che era morta nubile lasciando lei ancora piccola e già priva del padre, dato che lui aveva sempre rifiutato di riconoscerla.
Ma con Wharton, Laura non aveva ereditato alcun reddito, perciò la sua sola speranza era la possibilità di affittarla come una esclusiva casa per vacanza, progetto che però richiedeva riparazioni e imbiancature, oltre all’installazione di una nuova cucina e di bagni interni alle camere. Il peggio era che si avvicinava la scadenza del pagamento delle tasse, e l’unico modo per riuscire a sostenerle consisteva nel vendere qualche pezzo di antiquariato di famiglia. L’idea di essere costretta a vendere le era insopportabile, ma non aveva scelta.
Mentre svuotava il carico di legna e si preparava a tornare nel frutteto a raccoglierne altra, un rumore insolito attirò la sua attenzione. Un’automobile risaliva la strada.
Difficile che si trattasse di una visita. I suoi nonni avevano sempre condotto una vita solitaria e Laura seguiva il loro esempio. Tese l’orecchio e si rese conto che l’automobile imboccava il vialetto principale, poco frequentato. Abbandonata la carriola, si mosse per andare a ricevere quell’inaspettato visitatore.
Una berlina argentata, infangata sui fianchi ma ancora elegante, si fermò proprio davanti all’ingresso, così fuori luogo in quel contesto da apparire irreale quanto una nave spaziale.
E ancora più irreale sembrava il guidatore.
Laura lo fissò a bocca aperta, sbattendo le palpebre sotto la pioggia.
Alessandro scese dalla macchina, tenendo a malapena a bada il cattivo umore. Persino con il navigatore satellitare era stato difficilissimo trovare quel posto! Il luogo sembrava deserto e la pietra della casupola trasudava la stessa umidità del paesaggio circostante. Imposte rotte e sporche oscuravano le finestre del piano inferiore, il vialetto era verde di erbacce, le aiuole apparivano trascurate e vecchi rododendri si addensavano sui lati. Una grondaia penzolava nel vuoto, rovesciando acqua sul porticato che stava andando a pezzi.
Correndo sotto la pioggia, Alessandro raggiunse il riparo più o meno valido dell’entrata. Pioveva intensamente fin da quando era atterrato a Exeter, e aveva tutta l’aria di voler continuare. I suoi occhi scuri rivolsero un’occhiata denigratoria allo stato di abbandono della casa, che appariva disabitata.
Lo scricchiolio della ghiaia calpestata richiamò la sua attenzione, rivelando una presenza.
Qualcuno si stava avvicinando; era vestito con stivali pesanti, la figura tozza avviluppata in una cerata e la testa nascosta da un cappuccio.
«La signorina Stowe è in casa?» domandò Alessandro, alzando la voce al di sopra della pioggia.
Laura Stowe. Quello era il nome della figlia di Stefano. Il nome di sua madre, come Alessandro aveva scoperto dopo accurate indagini, era Susan Stowe.
La donna aveva conosciuto Stefano durante un soggiorno-studio in Italia. Doveva essere stata una ragazza molto carina e ingenua, e l’incontro con Stefano aveva prodotto un risultato facilmente prevedibile.
Dalle ricerche effettuate da Alessandro era emerso che la donna era morta quando la figlia aveva solo tre anni, perciò la piccola era stata cresciuta dai nonni materni, proprio in quella casa.
Sarà felice di scoprire di avere un nonno ricco che non desidera altro che riconoscerla, considerò Alessandro cupamente. Questo posto è veramente una spelonca e lei sarà lieta di lasciarlo.
Era di pessimo umore. Non gli andava di fare il messaggero per Tomaso e si era lasciato convincere ad accettare l’incarico solo perché gli aveva promesso di ritirarsi dagli affari una volta conosciuta la nipote, per passare più tempo con lei. Un programma che si accordava alla perfezione ai desideri di Alessandro.
Invece non gli andava proprio di essere costretto a rimanere