Emergenza d'amore: Harmony Bianca
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Dopo anni di incomprensioni, tradimenti, speranze, adesso per Kate Althorp sembra davvero giunto il momento di chiudere la sua difficile relazione con Nick Tremayne. Per questo gli ha consegnato la sua lettera di dimissioni dal St Piran's Hospital. Ma Nick è di tutt'altro parere ed è convinto che Kate sia la sua anima gemella. Anche se il destino non è stato dalla loro parte lui è lì per dimostrarle di essere cambiato e di essere disposto a tutto per proteggere la sua famiglia.
Caroline Anderson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Emergenza d'amore - Caroline Anderson
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
St Piran’s: The Wedding Of The Year
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2010 Harlequin Books S.A.
Special thanks and acknowledgement are given to Caroline Anderson
for her contribution to the St Piran’s Hospital series
Traduzione di Giacomo Boraschi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-341-7
1
«Oh, dottor Tremayne. Kate ha lasciato questa busta per lei.»
Nick si fermò presso il banco della reception e prese la busta sigillata che Sue gli porgeva. La guardò perplesso. Era molto strano.
«Kate è ancora qui?»
«Credo di sì, ma sta per andarsene. Va a prendere Jem al Club di Vacanze. Devo cercarla?»
«No, grazie, non occorre.»
Nick guardò ancora la busta, poi salutò con un breve cenno del capo i pazienti e andò a chiudersi nella propria stanza, dove lacerò la busta prima di sedersi dietro la scrivania. Estrasse un foglio elegantemente scritto a mano e lo fissò incredulo.
Lunedì, 12 aprile
Caro Nick,
nei prossimi giorni lo dirò a Chloe e agli altri colleghi e amici, ma vorrei che tu lo sapessi per primo. Ho deciso di lasciare il mio posto di ostetrica. Intendo vendere la casa. Jem e io ce ne andremo d’estate, così Jem potrà cominciare la scuola media il prossimo settembre. Per quanto riguarda i suoi studi, è il momento giusto per andarcene. Vorrei trasferirmi a Bristol per stare più vicino a mia madre. Mi mancheranno l’ambulatorio e i colleghi, ma dobbiamo cambiare. Qui non c’è più niente per me.
Vorrei ringraziarti per la tua gentilezza e per tutto l’aiuto che mi hai dato in questi anni.
Kate
Nick rilesse la lettera. No, Kate non poteva partire. Dove voleva andare? E si portava via Jem...
Lasciò la sedia e si accostò alla finestra. Era scoppiato un temporale e la pioggia rigava il vetro, rimbalzando sui tetti delle macchine all’esterno, mentre la gente correva in ogni direzione per mettersi al riparo.
Come Kate. Mentre saliva in macchina, alzò la testa e incontrò il suo sguardo. Lo ricambiò un momento attraverso le cortine di pioggia, poi scosse la testa, richiuse la portiera e partì.
Nick trasse un sospiro e girò sui tacchi, scostandosi dalla finestra per non pestare rabbiosamente il pugno sul vetro. Vedendo la lettera sulla scrivania, l’accartocciò e la gettò verso il cestino della carta straccia. Sbagliò la mira e la raccolse, stringendola nel pugno.
Perché? Perché proprio adesso, mentre cominciava a credere che per loro due ci fosse qualche speranza?
Bussarono alla porta, poi l’anziana Doris Trefussis fece capolino nella stanza sorridendo.
«Una tazza di tè e qualche ciambella di Hazel prima di cominciare il lavoro, dottor Tremayne? Gliele ho tenute da parte.»
«Grazie, Doris» borbottò lui, trattenendo il fiato finché la donna ebbe richiuso la porta.
Non voleva mangiare. Gli sarebbe andato tutto di traverso, ma non poteva dirlo a Doris. Sarebbe rimasta male se non lui avesse mangiato i biscotti di Hazel, pensò accasciandosi sulla sedia e passandosi una mano sul viso prima di spiegare la lettera accartocciata e rileggerla.
La seconda volta non riuscì a capirne il senso. E nemmeno la terza.
Forse il tè lo avrebbe aiutato.
Tenne la tazza fra le mani mentre guardava dalla finestra. Pioveva a dirotto e i battelli nel porto rollavano sotto le raffiche di vento. Conosceva quella sensazione. Da quando Annabel era morta, cinque anni prima, anche lui ballonzolava come quelle barche, non sapendo che cosa gli riservasse il futuro e dove lo avrebbe spinto la marea.
Per qualche tempo aveva creduto che Kate intendesse sposarsi, poi i pettegolezzi ospedalieri lo avevano informato che la relazione era finita. Senza Rob di mezzo, aveva pensato che forse ora, essendo entrambi vedovi... ma Kate aveva improvvisamente deciso di partire. Non se l’era aspettato. Non avrebbe mai creduto che potesse andarsene.
Non poteva. Abitava a Penhally da sempre. Nick la conosceva da quando lei aveva dodici anni, la frequentava da quando ne aveva quindici e lui diciassette. L’aveva lasciata a diciotto per andare all’università, avrebbe voluto tornare per lei... ma poi aveva conosciuto Annabel ed era cambiato tutto.
A parte Kate. Era rimasta la stessa... dolce, allegra, gentile, ma da allora la delusione e il rimprovero le avevano offuscato lo sguardo. O forse se l’era immaginato. Sapeva soltanto che, quando lei lo guardava, si sentiva in colpa. Chiuse gli occhi e trasse un sospiro. Dio santo, aveva validi motivi per sentirsi in colpa in tutti gli ultimi trent’anni della sua vita.
Ripiegò la lettera e se la mise in tasca. Quella sera poteva andare da lei, cercare il modo di convincerla a restare... ma era inutile, pensò cupamente. Kate aveva deciso e forse era meglio così.
Gli sarebbero mancati entrambi, ma specialmente Kate. Nei momenti difficili era sempre dipeso dalla sua gentilezza e dal suo buon senso. Kate aveva diretto l’ambulatorio per anni prima di riprendere il suo antico lavoro e diventare l’ostetrica preferita delle mamme.
Kate, che tanti anni prima Nick aveva amato.
Amato e perduto... per colpa sua. Gli bastava pensarci per sentirsi male e ora guardò nuovamente dalla finestra, immaginando l’ambulatorio senza di lei. La sua vita senza di lei. No, non poteva lasciarla partire. Era rimasto in quel paese soltanto per lei.
Purtroppo non aveva scelta. Come poteva trattenerla?
Spinse da parte la tazza di tè e andò ad aprire la porta. «Signor Pengelly, vuole accomodarsi?»
Cercò di concentrarsi, di dedicare al paziente tutta la propria attenzione mentre ascoltava la descrizione dei suoi sintomi, ma la lettera gli bruciava in tasca.
«Dev’essere successo un incidente» osservò il signor Pengelly, accennando alla finestra.
«Mmmh?»
Nick tornò al presente e tese l’orecchio, poi sentì il suono sopra lo scroscio della pioggia. Un ululato di sirene, quindi dei rapidi passi mentre Oliver Fawkner correva verso la macchina parcheggiata sotto la finestra e partiva in quarta. Quel giorno era di guardia e doveva intervenire in caso di gravi incidenti. Sembrava che lo avessero chiamato.
«Le sirene» disse il signor Pengelly.
«Sì» borbottò Nick, poi le scordò per visitare il paziente. Lo pesò, controllò la pressione, auscultò il torace. Rischiava l’infarto, rifiutando di seguire i saggi consigli che Nick gli dava da anni. Ancora sirene. L’incidente doveva essere molto grave, pensò Nick di sfuggita, quindi guardò severamente il paziente. «Davvero, signor Pengelly, credo che dovrebbe cambiare vita. Pesa troppo, non sta bene, non prende regolarmente le medicine e poi viene a dirmi che ha dolori al petto. Ma sembra che non intenda fare niente per rimediare. Continuando così, finirà per accorciarsi la vita, mi creda. Dobbiamo controllare di nuovo il livello del colesterolo. L’ultima volta era molto alto e lei continua a fumare, vero?»
«Sì, ma meno di prima.»
«Quanto?»
Il signor Pengelly esitò, poi trasse un sospiro. «Solamente venti al giorno.»
Solamente? «Sono venti di troppo. Prenda appuntamento al più presto per farsi controllare il colesterolo e mi porti il risultato del test. Ma dovrà fare dell’esercizio fisico e frequentare quel corso per smettere di fumare...»
«Dev’essere un incidente grave. Sta arrivando anche l’elicottero» commentò il paziente, accennando nuovamente alla finestra.
In quel momento suonò nuovamente il telefono e Nick alzò il ricevitore, irritato per il fatto che il paziente sembrava non prestargli attenzione.
«Mi scusi un momento... Tremayne.»
«Sono Sue. Mi scusi se la disturbo, ma ha telefonato Oliver. Kate ha avuto un incidente e stanno portando Jem all’ospedale con l’ambulanza aerea. Ha detto che lei dovrebbe andare al St Piran.»
Nick provò un senso di gelo. «Che cos’è successo? È grave?»
«La testa e il bacino, ha detto Oliver. Vorrebbe che andasse subito all’ospedale. Kate avrà bisogno di lei. E le raccomanda di dirle di non preoccuparsi per il cane, ci penserà lui.»
Il cane? Nick borbottò qualcosa e riattaccò il ricevitore. «Ehm... signor Pengelly, purtroppo devo andare. Mi dispiace. Prenda appuntamento per il test, mi raccomando. Parleremo di tutto quando avremo i risultati.»
«Quei biscotti... non li mangia?»
Quell’uomo era incorreggibile. «Si serva pure» borbottò Nick, poi si alzò e andò alla reception. «Il signor Pengelly ha bisogno di un controllo urgente del colesterolo e di un successivo appuntamento» disse a Sue. «Vado al St Piran. Puoi dire a Sam di sostituirmi?»
Senz’aspettare la risposta, senza nemmeno fermarsi a prendere la giacca, infilò la porta e uscì sotto la pioggia.
Il tragitto per l’ospedale fu un incubo. Stringeva convulsamente il volante, respirava con affanno. Senza nessuno che lo distraesse, pensava a tutto quello che poteva essere successo, a tutto quello che poteva succedere. La lista era angosciante.
Chiamò Ben con il cellulare. Quel giorno suo genero lavorava al Pronto Soccorso e lo avrebbe informato. Tamburellò con le dita sul volante, aspettando impazientemente di sentirlo. Quando rispose, Ben andò subito al sodo senza aspettare domande. «Tutto okay, Nick. Siamo pronti. Sento l’elicottero, stiamo andando a riceverlo. Non correre e raggiungici in Rianimazione. Mando qualcuno a cercarti.»
«Grazie. Potresti dare un’occhiata a Kate? O chiedere a qualcuno di farlo? Era in macchina con Jem, forse è ferita. Dille che sto arrivando.»
«Certamente. Devo andare. A fra poco.»
La comunicazione fu interrotta. Quando arrivò in ospedale, Nick lasciò la macchina sul marciapiede e si precipitò nel Pronto Soccorso. Probabilmente lo avrebbero multato, ma ci avrebbe pensato più tardi.
Un’infermiera lo accolse sulla soglia e lo condusse in Rianimazione. Quando la porta fu spalancata, s’irrigidì un attimo, assalito da un’ondata di ricordi. No, non poteva andare là. E proprio in quel reparto...
Ma doveva. Come un automa, guardò il caos organizzato che lo circondava. Ben impartiva ordini, il team li anticipava come una macchina bene oliata. Una macchina che teneva nelle sue mani la vita del ragazzo?
La stessa macchina... e lo stesso uomo... che avevano tenuto nelle loro mani la vita di Annabel e l’avevano persa?
Gli sembrava di rivedere un film che conosceva a memoria. Poté soltanto sperare che stavolta finisse in modo diverso.
Stavano tagliando i vestiti di Jem, togliendoli per poterlo visitare, e nello stesso tempo gli parlavano in tono rassicurante. Avrebbe potuto essere uno dei suoi figli, tutto gambe e braccia.
Fa’ che non muoia. Dio mio, non lasciarlo morire.
«Facciamo il test per determinare il gruppo sanguigno e per cominciare diamogli cinque unità di 0 negativo» disse Ben. «Una serie di radiografie della testa, della spina dorsale e del bacino. Gli avete già dato un analgesico?»
«Tre milligrammi di morfina, ma la pressione scende. Dobbiamo provare il...?»
Le voci si confusero tutt’intorno e Nick notò solamente due cose. Una fu il viso escoriato del ragazzo, appena visibile sotto la maschera. L’altra