Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Uno scapolo milionario: Harmony Collezione
Uno scapolo milionario: Harmony Collezione
Uno scapolo milionario: Harmony Collezione
Ebook157 pages2 hours

Uno scapolo milionario: Harmony Collezione

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Quando in un attimo il fascino di un uomo trasforma una donna in una regina. Dell'amore.



Leonardo West è abituato alla vita mondana e a tutto ciò che questa comporta: feste, belle donne e serate di gala. Quello di cui non ha alcuna esperienza è la vita del papà single. Così, quando le sue prospettive cambiano dal giorno alla notte, decide di assumere una tata. E Heather gli sembra la ragazza perfetta. Il punto è che non ha fatto i conti con le sue curve mozzafiato, e in breve tempo capisce di non vederla più solo come una collaboratrice. Lui la desidererebbe al proprio fianco per sempre, ma il problema è che lei non ha alcuna intenzione di farsi spezzare il cuore ancora una volta da un uomo come lui.
LanguageItaliano
Release dateOct 10, 2017
ISBN9788858973226
Uno scapolo milionario: Harmony Collezione
Author

Cathy Williams

Autrice originaria di Trinidad, ha poi studiato in Inghilterra, dove ha conosciuto il marito.

Read more from Cathy Williams

Related to Uno scapolo milionario

Related ebooks

Romance For You

View More

Related articles

Reviews for Uno scapolo milionario

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Uno scapolo milionario - Cathy Williams

    1

    Quando la madre gli aveva detto in tono neutro che avrebbero sperato di vederlo arrivare un po’ prima, Leo aveva percepito il suo disappunto, nonostante lei si fosse limitata ad ascoltare le sue scuse senza commentare: la riunione più lunga del previsto, una chiamata urgente all’ultimo minuto, l’inevitabile traffico del venerdì.

    «Daniel è uscito un attimo per andare a salutare Heather» si era limitata ad annunciargli alla fine della sua tirata. «Abita proprio qui accanto. Il modo più rapido per arrivare a casa sua è attraversare i campi, ma suppongo che tu preferisca guidare. Oppure, naturalmente, puoi aspettarlo qui. Le ho detto che il bambino non doveva rientrare più tardi delle sette.»

    «Andrò a piedi.»

    E così eccolo lì, intento a godersi in prima persona l’ampio appezzamento che circondava la lussuosa casa di campagna da lui acquistata per la madre sei anni prima, in seguito alla morte del padre.

    Non si era mai spinto oltre i giardini sempre molto ben curati attorno alla villa. Ovviamente sapeva che i terreni si estendevano a perdita d’occhio, ma fu solo in quell’istante, mentre vagava per quei prati senza fine con indosso un paio di scarpe in cuoio fatte a mano e un completo grigio chiaro costato una fortuna, che si rese conto dell’effettiva vastità del proprio investimento. Chissà se la madre, sulla soglia dei settant’anni, arrivava mai a esplorare i confini più estremi della tenuta?

    Di colpo si accorse di non avere la più pallida idea di come Katherine impegnasse le proprie giornate. Le telefonava doverosamente tre volte a settimana – e anche di più, ora che era entrato in scena il bambino – per sentirsi dire che lei stava bene, che Daniel stava bene, che la casa andava bene e che la vita andava bene; ma i dettagli di quella vita così positiva non venivano mai discussi, tant’è che Leo in quel momento non avrebbe saputo dire se la madre fosse consapevole della lunghezza reale della passeggiata verso la casa proprio accanto.

    Il milionario si maledisse per aver pensato che un po’ d’aria fresca e di movimento gli avrebbero fatto bene. Appiattendo alcuni rovi, mentre il sole cocente gli ricordava quanto fosse stupido avventurarsi in piena campagna in giacca e cravatta, si disse che l’aria fresca era molto meglio se limitata alle minuscole pause chiamate vacanze che si concedeva un paio di volte l’anno. E di moto ne faceva più che a sufficienza nella palestra londinese nella quale sfogava su un sacco da boxe lo stress delle responsabilità del lavoro, per poi rilassarsi con una cinquantina di vasche nella piscina olimpionica!

    L’abitazione di Heather non poteva sfuggirgli, gli aveva assicurato la madre. Era un delizioso cottage bianco, il cui giardino traboccava di fiori di tutti i tipi. Mentre glielo descriveva, il volto le si era addolcito e Leo si era chiesto se questa Heather fosse un’amica conosciuta al paese, qualcuno con cui spettegolare una volta alla settimana sorseggiando infinite tazze di tè. Era un pensiero rincuorante. In qualche modo si sentiva un figlio meno snaturato, sapendo che la madre aveva qualcuno a due passi da casa con cui trascorrere il tempo. E si sentiva anche un padre meno assente, sapendo che quella vicina gentile aveva legato pure con suo figlio.

    Il cottage in questione gli si stagliò di fronte senza preavviso, e dovette riconoscere che la madre aveva ragione: non si correva il pericolo di non vederlo! Non si era mai reso conto che esistessero così tanti tipi di fiori e si sorprese a fermarsi un istante per ammirare quella profusione di colori.

    Quindi girò attorno alla casetta, notando la staccionata bianca, le rose rampicanti e tutti quei dettagli che segnalavano la presenza di una persona schiava dei cliché.

    Per quanto lo riguardava, lui era minimalista fino al midollo. Il suo attico londinese era un omaggio all’essenzialità: pelle nera, cromature e cristallo. Sulle pareti rigorosamente bianche, quadri astratti oltremodo costosi, il cui valore cresceva di giorno in giorno, creavano macchie di colore. Che, poi, era il motivo principale per il quale li aveva acquistati.

    Il battente della porta, che Leo picchiò due volte in caso l’interlocutrice fosse dura d’orecchi, raffigurava una creatura mitologica.

    Dall’interno provenne un rumore di passi in rapido avvicinamento e quella che gli parve una risata soffocata. Poi la porta si aprì e Leo si ritrovò ad affogare negli occhi più azzurri che avesse mai visto. Una massa di riccioli oro zecchino incorniciava un viso a forma di cuore su un figurino tutto curve che, nella società delle taglie scheletriche, sarebbe stato etichettato come sovrappeso.

    «Devi essere il papà di Daniel» lo salutò lei, facendo un passo di lato per farlo entrare.

    «E tu devi essere Heather. Mi aspettavo qualcuno di un po’ più... vecchio.»

    Anche io, pensò Heather. Naturalmente Katherine, la sua vicina, le aveva parlato di lui e della sua folgorante carriera in città. E lei, tra le righe, aveva letto la descrizione di un maniaco del lavoro, di una persona che insegue il successo, di qualcuno che aveva poco tempo per ciò che conta di più nella vita. Un pessimo figlio e un padre ancora peggiore.

    In effetti, il suo aspetto era proprio tipico dell’uomo d’affari. Ma era anche incredibilmente attraente, molto più di quanto le fosse sembrato dalla fotografia sgranata che aveva visto nell’album di ritagli di Katherine. Di fatto, quell’uomo era bello da morire. I capelli corvini incorniciavano un viso perfetto, di una simmetria aspra e severa a dir poco sensazionale. Gli occhi erano grigi e guardinghi, attenti a non rivelare nulla. Heather avvertì una potente scarica di consapevolezza fisica ma, grazie al cielo, quella sensazione passò in fretta, sepolta sotto il peso del suo biasimo.

    Sapeva che l’abito non fa il monaco, ma l’arroganza e il successo l’avevano già scottata a sufficienza e non ci teneva a ripetere quella che era stata una pessima esperienza personale.

    «Sono venuto per mio figlio.» Con una rapida occhiata, Leo ispezionò il minuscolo ingresso, l’accogliente pavimento lastricato e le fioriere sui davanzali ai lati della porta, prima di rivolgere di nuovo la propria attenzione al viso apparentemente esitante della donna.

    Era stata una giornata molto calda, e lei indossava una sorta di caffettano lungo e morbido, quel genere di indumento che andava di moda tempo addietro. «Sta finendo di cenare.»

    «E perché sta mangiando qui? Mi sembrava di aver detto chiaramente a mia madre che li avrei portati entrambi fuori a cena.»

    «Suppongo fosse troppo affamato per aspettare.» Heather si trattenne dall’aggiungere altro, ma la verità era che Daniel si era rifiutato categoricamente di cenare con il padre.

    «Bene, grazie, ma sarebbe stato gentile da parte tua informarti prima sui nostri piani.»

    Eh, no! Era decisamente troppo. «A proposito di piani... Penso proprio che noi due dovremmo parlare, prima che tu riporti Daniel a casa» lo fermò, inspirando a fondo. «In effetti, devo confessarti che sono piuttosto arrabbiata con te.»

    Leo non fece alcuno sforzo per nascondere la propria irritazione. Nel mondo esclusivo in cui viveva, le persone non si arrabbiavano con lui. Tanto meno le donne.

    E va bene, pensò stringendosi nelle spalle, l’avrebbe lasciata sfogare e poi avrebbe tagliato la corda con suo figlio. «D’accordo. Sputa.»

    «Andiamo in soggiorno. Non voglio che il piccolo ci senta.»

    Mentre faceva strada, Heather era consapevole della presenza dell’uomo alle proprie spalle. «Non credo che tu ti renda conto di quanto Daniel ci sia rimasto male per la tua assenza alla sua Giornata dello sport» iniziò in tono pacato una volta nel salone, l’uno di fronte all’altra come combattenti in un’arena. «È un avvenimento importante nella sua scuola e lui si è allenato per settimane.»

    In preda al senso di colpa, Leo avvampò. Ovviamente si aspettava che la cosa gli venisse rinfacciata, ma che quella perfetta estranea avesse la faccia tosta di starsene lì a fissarlo con quegli occhioni accusatori lo seccava non poco!

    «Non dirmi che c’era qualcosa di più importante che vedere tuo figlio arrivare primo nei cento metri?» continuò lei.

    «In realtà, io non ti devo proprio nessuna spiegazione» ribatté l’uomo, glaciale. «Non sono solito giustificarmi con nessuno e tanto meno credo di doverlo fare con qualcuno che conosco da... quanto, un paio di minuti? Non ricordo nemmeno che mia madre mi abbia mai fatto il tuo nome!»

    Quel dettaglio non la sorprese affatto. Daniel frequentava la scuola privata locale e viveva a casa di Katherine ma, in otto mesi, il padre si era degnato di fargli visita molto raramente. Chiunque avrebbe pensato che un uomo tenuto per anni lontano dal figlio, allorché l’ex moglie se ne era andata in Australia, avrebbe desiderato stare con lui il più possibile per rifarsi del tempo perduto... ma, evidentemente, non era il suo caso!

    Probabilmente Katherine non aveva parlato di lei al figlio per il semplice fatto che a lui non interessava chi frequentasse. «Mi rendo conto di non avere alcun diritto di dirti come gestire la tua vita» spiegò, cercando di fare del proprio meglio per essere discreta, «ma Daniel ha bisogno di te. Probabilmente non lo ammetterà mai, perché lo intimorisci...»

    «È stato lui a dirti che ha paura di me?» Quella conversazione stava prendendo una piega sempre più strana. Lungo il tragitto per la tenuta, si era aspettato di venire accolto da una signora dai modi materni, magari di vedersi offrire una tazza di tè, invece eccolo lì a dover rendere conto a una ragazzetta di poco più di vent’anni, con un gusto decisamente scarso in fatto di abiti e che probabilmente non aveva mai messo piede fuori dal paesello.

    «Non ce n’era bisogno, ci sono arrivata da sola: non ti vede abbastanza. Non sono affari miei, ma le relazioni vanno costruite. Daniel è un ragazzino molto vulnerabile e ha bisogno di suo padre, soprattutto in questo momento. Ha già dovuto sopportare la perdita della madre...»

    «Hai ragione, non sono affari tuoi.»

    «Non ti curi molto di ciò che ti dicono gli altri, vero?» scattò lei, arrabbiata.

    «Al contrario, trascorro gran parte del mio tempo ascoltando ciò che mi dicono gli altri. Solo i discorsi di vicine ficcanaso che mi intrattengono con psicochiacchiere da dilettanti non mi interessano. A meno che, naturalmente, tu non abbia una laurea in psicologia infantile. Ce l’hai?»

    «No, ma...»

    «Ah, ma allora forse sei la sua insegnante?»

    «No, ma non è questo il punto...»

    «E non sei nemmeno un’amica di lunga data di mia madre, giusto? Perché, se così fosse, sono certo che avrei almeno una vaga idea di chi tu sia.»

    «No, ma...»

    «Anzi, già che ci siamo, quand’è che l’hai conosciuta di preciso?»

    «Ci siamo incontrate qualche tempo fa, a una riunione del club di giardinaggio nella sala comunale. Una celebrità era venuta a parlarci delle orchidee e noi...»

    «Affascinante, anche se mi domando davvero cosa ci faccia una ragazza giovane come te in un club di giardinaggio. Non è un lusso da pensionati avere tempo a disposizione per bighellonare in giardino? Non hai cose più interessanti da fare? Perché sai, in quel caso forse non ti ritroveresti a curiosare nelle vite degli altri.»

    «Come osi?»

    «Non è difficile, a dir la verità. Non attaccare se non sei pronta alla battaglia, è la prima regola del successo» replicò lui in tono mellifluo.

    «E va bene» concesse lei a denti stretti. «Hai ragione. Il tuo rapporto con tuo figlio non è affar mio. Vado a chiamartelo.» Avviandosi verso la porta della cucina, si voltò solo per un’ultima spiegazione. «Per tua informazione, comunque, ho un lavoro, e non vado in giro a ficcare il naso nelle vite altrui perché non ho niente di meglio da fare nella mia, di vita. Volevo solo essere d’aiuto. Mi dispiace che tu abbia frainteso le mie intenzioni.»

    In quel momento, Leo si sentì una canaglia. Abituato ad avere sempre la meglio nelle schermaglie verbali, non era solito

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1