La spada di Rostam: Harmony Destiny
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Alexandra Sellers
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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La spada di Rostam - Alexandra Sellers
successivo.
Prologo
La spada di Rostam
Al principe Rafi venne assegnato l'Emirato del Barakat Orientale, una terra dal paesaggio variegato; partendo dagli acquitrini della zona costiera, attraversando il deserto, nel quale si trovavano i resti di una civiltà millenaria, e al di là del fiume Sa'adat, si giungeva alle montagne, dove si ergeva il sontuoso palazzo reale.
Rafi aveva in custodia la Spada di Rostam, una spada cesellata di grande valore, con cui, secondo la leggenda, Rostam, un valoroso eroe della storia del paese, aveva combattuto e vinto innumerevoli battaglie. Sempre secondo la leggenda, sfoderando questa spada contro il nemico, il sovrano del Barakat manifestava l'intenzione di dargli battaglia, e di lottare strenuamente finché uno dei due non fosse stato sconfitto. Nessun negoziato o accordo era possibile una volta che la spada veniva brandita per la battaglia.
Perciò, prima di impugnarla, il re dev'essere pronto a combattere una guerra che potrebbe rivelarsi lunga e sanguinosa. Una lotta senza esclusione di colpi.
1
Un uomo a cavallo, con un folto seguito, attraversava il deserto infuocato, con il vento che gli schiaffeggiava il viso e la sabbia che gli riempiva i polmoni. Nell'euforia della corsa, i suoi compagni ridevano e gridavano, incitando a gran voce i loro destrieri.
A poche centinaia di metri, al di là di una brulla distesa di rocce al cui centro sorgevano alcune palme, si ergevano i pilastri di una città antica, o quel che ne restava, affiancati da un gruppetto di tende; ma gli uomini a cavallo non erano diretti lì. La loro destinazione era la piccola oasi rocciosa, con la sua fresca cascata. L'uomo in sella allo stallone nero si staccò dal resto del gruppo con un urlo, accelerando l'andatura, e oltrepassò lo stretto passaggio attraverso il quale si accedeva alla cascata.
I compagni lo seguirono, ma il sentiero era impervio e tortuoso, e costrinse molti di loro a procedere a passo d'uomo. A un tratto, il capo arrestò bruscamente il suo destriero, e tutti dovettero imitarlo.
Non capita spesso di incontrare una donna sola, nel deserto. Vedere una splendida donna mezza nuda sotto la cascata, coi lunghi capelli scuri che ricadevano sulle spalle, il viso e le braccia sollevate per rinfrescarsi sotto il potente getto di acqua, era un evento eccezionale.
Inconsapevole della loro presenza, perché lo scroscio dell'acqua aveva coperto lo scalpiccio degli zoccoli degli animali, la giovane donna si spostò adagio, uscendo dalla cascata, aprì gli occhi... e li vide. Dischiuse appena le labbra, restando immobile a osservare quel nugolo di cavalieri vestiti di nero.
Poi, restando in bilico su una roccia, accennò un sorriso. «Salaam aleikum.»
Aveva un accento straniero, e ostentava una dignità altezzosa, oltre che una velata aria di sfida. Appariva aggraziata come una gazzella, con l'acqua che le si asciugava sulla pelle mentre il capo dei cavalieri fissava, ammutolito, le labbra perfettamente disegnate, la massa di riccioli ribelli ancora gocciolanti. I seni erano alti e generosi, i fianchi snelli arrotondati. Il bikini che indossava si componeva di minuscoli triangolini di pelle scamosciata color cuoio. Le gambe erano lunghe e ben tornite, i piedi sicuri sulla roccia scivolosa.
Agli occhi dell'uomo pareva quasi una visione, o un miraggio. Tra un momento, sarebbe scomparsa.
I suoi uomini, inquieti, lo guardavano, attendendo che lui parlasse. Anche gli occhi di lei erano fissi sull'uomo, che riteneva essere il capo di quei predoni.
Forse intimorita da quel silenzio troppo prolungato, la donna prese una decisione e si girò, cominciando ad arrampicarsi sulla parete rocciosa che affiancava la cascata. Pochi istanti più tardi era sparita.
L'uomo in groppa al destriero nero scosse il capo, come per destarsi da un sogno. Dal momento in cui erano entrati nella gola era passato un minuto, due al massimo. Eppure aveva la folgorante certezza che quel breve lasso di tempo fosse bastato a cambiare tutto il suo mondo. E il suo destino.
«Si può sapere che vi prende?» domandò Gordon. Erano già tutti seduti a tavola, nella tenda adibita a mensa, quando arrivò e si sfilò il cappello, sbuffando per il caldo.
«Come, non hai sentito?» cinguettò Lena. «Stanno montando la tenda del sultano!»
«Ci ha invitati tutti a cena, stasera» lo informò Ryan, il direttore degli scavi.
Gordon si affacciò nuovamente fuori e guardò in direzione del deserto, dove una trentina di uomini sudavano sotto il sole per montare un tendone circolare a fasce rosse e blu. «E quanti crede che siamo?» domandò, imperturbabile.
Poiché era inglese di nascita, riteneva di non dover mai perdere il proprio autocontrollo: se ne faceva un punto d'onore. Zara lo aveva visto abbandonarsi a un'esplosione di gioia solo quando erano stati certi di avere trovato i resti dell'antica Iskandiyar, esattamente dove lui aveva suggerito di procedere agli scavi. Quella spedizione sarebbe stata il coronamento della sua lunga carriera di archeologo. Ma per una festa organizzata in loro onore dall'emiro del Barakat orientale... No, non valeva la pena di scomporsi.
«Gli abbiamo detto che siamo una ventina» gli rispose Zara, «ma non sappiamo quante altre persone si porterà dietro, da palazzo.»
«Perché questa festa?» chiese qualcuno.
«Per darci il benvenuto nel suo paese. Così ha detto il suo emissario.»
«Se siamo qui da tre mesi...»
«Forse ha finalmente avuto il messaggio che continuo a mandargli da giorni, cioè che abbiamo rinvenuto le colonne, e siamo certi di trovarci sui resti dell'antica Iskandiyar» ipotizzò Gordon.
«Oppure è venuto a tenerci d'occhio, per timore che troviamo qualche tesoro e ce lo portiamo a casa.»
«Ma se è già ricco come uno sceicco» ridacchiò Warren.
«Guarda che lui è uno sceicco» puntualizzò Lena, querula. «E non è sposato» aggiunse, facendo esplodere tutti in una risata. «Be', che c'è da ridere? L'ho sentito alla radio. Vi ricordate quando quella donna fu tenuta in ostaggio dallo sceicco del Barakat occidentale qualche tempo fa, perché il fidanzato di lei gli aveva rubato non so che cosa?» Se ne ricordavano tutti: non si era parlato d'altro per giorni e giorni. «Poi lei si è fidanzata con lo sceicco. Fu allora che dissero che gli altri due fratelli non erano sposati.» Di nuovo tutti risero, e Lena sospirò. «Sentiamo, che altro ho detto stavolta?»
«Niente, Lena. Ma è così evidente che sogni di farti rapire anche tu, da questo sceicco...» le spiegò Zara.
«Che c'è di male? Una ragazza deve pure sistemarsi, no?»
Zara represse un brivido. Non aveva ancora raccontato a nessuno cosa le era accaduto nell'oasi. Soprattutto perché sapeva di avere contravvenuto alle disposizioni tassative di Gordon: le autorità locali li avevano avvisati che c'erano molti predoni nel deserto e non dovevano mai avventurarsi da soli fuori dall'accampamento. In particolare, li avevano messi in guardia nei confronti di un certo Jalal, un feroce bandito che capitanava un folto gruppo di seguaci. Ma la riluttanza di Zara a parlare di quell'incidente dipendeva anche da qualcos'altro.
Quando il capo dei predoni si era arrestato a fissarla, si era sentita... scoperta. Vulnerabile. Posseduta dallo sguardo magnetico con cui lui l'aveva inchiodata, come se volesse imprigionarla. Ancora adesso non sapeva chi le avesse dato la forza di sottrarvisi e di scappare.
Certo, Lena era una sciocca a sognare di farsi rapire: doveva essere un'esperienza raccapricciante. Per un momento, mentre si era trovata di fronte a quel predone, Zara aveva temuto che lui l'avrebbe fatta prigioniera. Si era sentita terrorizzata. Eppure, quasi le dispiaceva l'idea di non doverlo mai più rincontrare.
«Sapete una cosa?» chiese a voce alta, avvertendo il bisogno di fare una piccola confessione. «Credo di avere incontrato quel bandito e i suoi uomini.»
Gli occhi di tutti si spostarono su di lei. «E dove...?»
«Quando...?»
«Sono andata all'oasi, qualche giorno fa.»
«Da sola?» domandò Gordon. «Zara, non avresti dovuto...»
«Lo so, ho fatto una sciocchezza. Sono arrivati mentre mi rinfrescavo sotto la cascata. Non me ne sono neppure accorta. A un certo punto, ho aperto gli occhi ed erano lì davanti, in sella a un branco di cavalli scalpitanti.»
«Ti hanno vista? Come hai fatto a scappare?»
«Mi sono arrampicata sulla roccia e me la sono data a gambe.»
«Se ti avessero vista, non avrebbero avuto difficoltà a raggiungerti, visto che erano a cavallo» osservò qualcuno. «Forse non ti hanno notata.»
«Sì... può darsi» convenne Zara vaga, e la discussione si chiuse lì.
Andò a prendersi una bibita fresca, lasciando gli altri alle loro chiacchiere.
Si riteneva fortunata a essere partita con quella spedizione. Molti autori classici avevano citato una città chiamata Iskandiyar, che risaliva al quarto e al terzo secolo prima di Cristo; ma gli archeologi non erano mai riusciti a trovarne traccia. Era sempre stata descritta come un prospero centro abitato che sorgeva sul fiume ora chiamato Sa'adat, cioè Felicità.
L'avevano cercata per decenni, sicuri che una città di quelle dimensioni dovesse avere lasciato dietro di sé numerose rovine.
In molti avevano pensato che gli scrittori avessero preso un abbaglio. Gordon invece non si era mai arreso, e per anni aveva studiato manoscritti, testi di ogni genere, pur di risalire a quell'antica città orientale. Finché un giorno aveva letto da qualche parte che la regina Halimah del Barakat aveva fatto costruire ponti, canali, e numerosi edifici pubblici. Aveva fatto cambiare il corso di vari fiumi, compreso il Sa'adat, perché fosse più accessibile alle popolazioni isolate...
E così aveva avuto un'intuizione: se il corso del fiume era stato deviato milleottocento anni dopo che la città era stata costruita, sicuramente le sue rovine non si sarebbero più trovate lungo il suo attuale percorso.
La fortuna aveva voluto che Zara s'iscrivesse al corso universitario di Gordon proprio quando lui credeva di avere individuato il posto dove avviare gli scavi, in pieno deserto, e aveva dato la tesi quando Gordon aveva trovato i fondi per finanziare il suo progetto. La fortuna più grande, però, era stata quella di essere invitata a partecipare alla spedizione.
La scoperta, qualche tempo dopo, del massiccio leone marmoreo riemerso dalla sabbia aveva dato loro la certezza di trovarsi nel sito giusto. Tutta la letteratura dell'epoca aveva descritto le colonne leonine situate all'ingresso di Iskandiyar, quindi non c'erano dubbi: avevano trovato la città fondata da Alessandro il Grande più di duemilatrecento anni prima.
La leggenda voleva che, subito dopo essersi impossessato di quelle terre brulle, il grande condottiero avesse pianto, sconfortato dall'idea che non ci fossero altri mondi da conquistare.
E adesso Zara si