Una gemma per lo sceicco: Harmony Destiny
By Olivia Gates
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About this ebook
L'ORGOGLIO DI ZOHAYD trae la sua forza dal deserto per governare un regno potente e ancestrale.
Olivia Gates
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Una gemma per lo sceicco - Olivia Gates
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
To Tame a Sheikh
Silhouette Desire
© 2010 Olivia Gates
Traduzione di Maria Latorre
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-498-8
1
Johara Nazaryan era andata a trovare l’unico uomo che avesse mai amato. Prima che sposasse un’altra donna.
Le batteva forte il cuore in un misto di trepidazione, terrore e delusione, mentre osservava la folla chic che si era radunata alla festa in suo onore.
Di Shaheen Aal Shalaan non c’era ancora traccia.
Trasse un sospiro affannoso mentre si nascondeva sempre più nel suo angolo, cercando di sfuggire all’attenzione. Le faceva piacere avere dell’altro tempo a disposizione per ricomporsi, anche se temeva che l’attesa le avrebbe causato ulteriore agitazione.
Non riusciva a credere di avere deciso di rivederlo dopo quasi dodici anni.
Certo, nel corso di tutto quel tempo aveva continuato a cercare notizie sul suo conto, a seguirlo in lungo e in largo per il mondo nella speranza di intravvederlo, ma questa volta era più che mai risoluta ad andargli incontro e a guardarlo dritto negli occhi.
Shaheen. Agli occhi del mondo era il principe del regno desertico di Zohayd, il più piccolo dei tre figli che Re Atef Aal Shalaan aveva avuto dall’ormai defunta Regina Salwa. Era anche uno scaltro uomo d’affari che negli ultimi sei anni era diventato una delle maggiori autorità mondiali nel campo dell’edilizia e dei trasporti.
Per Johara, invece, sarebbe sempre rimasto il ragazzino quattordicenne che vent’anni prima le aveva salvato la vita.
A quell’epoca lei aveva soltanto sei anni ed era appena arrivata nel palazzo reale di Zohayd, dove avrebbe vissuto con la sua famiglia. Il padre era appena stato nominato primo assistente del gioielliere reale, Nazeeh Salah. Era stato proprio lo zio Nazeeh, il mentore di suo padre, a suggerire il suo nome, che in arabo significava gioiello.
Durante l’incontro tra il re e suo padre, Johara era scivolata sulla terrazza ed era caduta dalla ringhiera, restando aggrappata con una mano al bordo. Non riuscendo a raggiungerla, il padre le aveva gettato una corda, dicendole di legarsela intorno a un polso. E mentre lei ci provava, qualcuno sotto di lei le aveva urlato di lasciarsi cadere. Era stato allora, in preda al panico, che aveva guardato in giù.
E lo aveva visto.
Le era sembrato lontanissimo, troppo lontano per riuscire ad afferrarla, però si era lasciata andare lo stesso.
E lui, fedele al nome del falco che portava, l’aveva presa, nonostante la caduta di dieci metri. Si era lanciato in avanti, afferrandola a mezz’aria per stringerla nella cerchia rassicurante delle sue braccia.
Di tanto in tanto le capitava ancora di ripensare a quei momenti. Sapeva che sarebbe riuscita a legarsi la corda al polso, ma aveva preferito fidarsi di quella magnifica creatura che l’aveva guardata con la forza rassicurante di due splendidi occhi neri.
Da quel giorno, aveva capito che sarebbe stata sua per sempre, e non soltanto perché le aveva salvato la vita. A ogni giorno che passava, si rafforzava sempre più la consapevolezza che fosse la persona più incredibile che lei avesse mai conosciuto. E intanto lui diventava il migliore amico di suo fratello Aram e per lei molto, molto di più.
Con il trascorrere degli anni, però, si era resa conto che il sogno di essere sua sarebbe rimasto irrealizzabile.
Shaheen era un principe, mentre lei la figlia di un dipendente. Anche se nel frattempo suo padre era diventato il gioielliere reale, restava pur sempre uno straniero dalle umili origini che aveva raggiunto la sua invidiabile posizione solo grazie a un talento straordinario.
Eppure Shaheen non l’avrebbe guardata in modo speciale neppure se la sua fosse stata la famiglia più nobile di Zohayd. Era sempre stato gentile con lei, ma quando si trattava di trovarsi una ragazza, aveva ricercato le donne più belle e sofisticate. A quell’epoca Johara era certa di non possedere alcuna bellezza e di non avere le carte per diventare una donna sofisticata, eppure aveva sempre cercato di restargli vicina, di amarlo.
Per otto splendidi anni, Shaheen le aveva offerto la sua amicizia. Pur di restargli accanto, lei era rimasta con il padre quando i genitori si erano separati e la madre francese era tornata in patria.
E poi, all’improvviso, era tutto finito. Poco prima che lei compisse quattordici anni, Shaheen si era ritratto improvvisamente sia da lei sia da suo fratello. Aram le aveva detto che per Shaheen era arrivato il momento di smettere di fraternizzare con i dipendenti per rispettare il suo ruolo di principe di Zohayd.
E anche se lei non riusciva a crederci e immaginava che la freddezza tra Aram e Shaheen avesse altre ragioni, l’improvviso allontanamento di lui l’aveva scossa nel profondo dell’animo.
Che senso aveva continuare ad amarlo, pur sapendo che prima o poi lui avrebbe sposato per dovere un’altra donna? Chissà, forse lui aveva addirittura intuito i suoi sentimenti e la trattava con finta crudeltà per risparmiarle dolori futuri. Il suo allontanamento, però, aveva senza dubbio contribuito alla decisione di Johara di andarsene. Poche settimane dopo il compleanno, aveva abbandonato il regno di Zohayd per trasferirsi in Francia a vivere con la madre. Non aveva più fatto ritorno nel deserto.
Trovava conforto nelle notizie che leggeva sul conto di Shaheen e continuava segretamente ad amarlo. Ma adesso che quella spada di Damocle incombeva e che lei non avrebbe più avuto il diritto di nutrire quei sentimenti per lui, aveva bisogno di rivederlo, almeno un’ultima volta, prima che si impegnasse per la vita con un’altra donna.
Così si era intrufolata alla festa di addio al celibato che il socio di lui, Aidan McCormick, aveva organizzato a New York. Se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe potuto facilmente spiegare la sua presenza. In fondo era tra i designer di gioielli più rinomati in Francia ed era normale che partecipasse a una festa del genere.
Ma non era quella, la vera difficoltà. Quello che più la preoccupava era trovare il coraggio per avvicinarsi a Shaheen.
Sperava con tutto il cuore che nel rivederlo i suoi sentimenti per lui si rivelassero un fuoco di paglia.
Poi, all’improvviso, sentì la pelle d’oca.
Piroettò su se stessa, accompagnata dal fruscio della seta del suo vestito.
Era arrivato Shaheen.
Per un attimo non riuscì a vederlo, ma avvertì ugualmente la sua presenza. E poi, all’improvviso, lo vide. Soltanto lui.
Ogni cosa in lei si fermò. La confusione più totale la travolse.
Già in passato Shaheen torreggiava su di lei, anche se a quattordici anni aveva superato il metro e settanta. E adesso, che con i tacchi raggiungeva il metro e ottanta, lui continuava a superarla di mezza testa. Come mai non si era mai accorta di quanto fosse imponente?
No, non era questo l’uomo che ricordava. Questo era un altro Shaheen, uno sconosciuto.
Lui aveva ventidue anni, l’ultima volta che lo aveva visto da vicino, e anche se nel corso del tempo lo aveva adocchiato tra la folla e lo aveva visto spesso ritratto sui giornali, non si era mai resa conto di quanto fosse immensa la sua vitalità, la sua virilità.
Il completo formale nero e la camicia di seta che indossava mettevano in risalto l’ampiezza delle sue spalle e del suo petto, la snellezza della vita e delle gambe. E se un tempo aveva avuto la grazia di un giovane falco, adesso possedeva la forza di un animale completamente cresciuto.
Per non parlare del suo viso. Con quella chioma scura, il colorito abbronzato, gli occhi neri e penetranti, aveva perso ogni traccia della dolcezza della gioventù ed era, in una parola, spettacolare.
Fu la sua espressione, tuttavia, che le tolse il fiato.
Shaheen non era felice. Sul suo viso Johara leggeva l’insoddisfazione, il disturbo, perfino il dolore. Forse gli altri non se ne accorgevano, ma lei li avvertiva nel profondo del cuore, quasi fossero suoi.
La speranza di dimenticarlo svanì.
Se lo avesse visto sereno, contento, sarebbe stata in grado di continuare per la sua strada, ma adesso...
Per fortuna lui non l’aveva vista. E forse sarebbe stato meglio che non la vedesse affatto.
Avvicinarsi a lui avrebbe portato conseguenze terribili. Se già così, a distanza di dieci metri, le faceva quell’effetto, cosa sarebbe successo se lo avesse incontrato faccia a faccia?
Sciocca infatuata che non era altro. Non poteva andare incontro a ulteriori dolori, non poteva farsi spezzare di nuovo il cuore. Non aveva che una scelta: andarsene.
E mentre si dava ancora della stupida per ciò che aveva fatto e si preparava a fuggire, le parve di colpire un muro impenetrabile.
Lo sguardo di Shaheen.
Quell’impatto minacciò di demolire l’equilibrio precario che era riuscita a costruire dentro di sé.
Aveva sottovalutato l’errore commesso nel venire alla festa. Ma adesso, sotto lo sguardo implacabile di Shaheen, si rese conto che lo avrebbe rimpianto per tutta la vita.
Immobile, restò inchiodata al suo posto mentre lui le si avvicinava, guardandolo con lo stesso fatalismo con cui avrebbe osservato un’auto impazzita pronta a schiantarlesi addosso.
Shaheen aveva rimpianto di avere accettato l’invito di Aidan l’attimo stesso in cui aveva messo piede alla festa, e continuava a rimpiangerlo a ogni passo che muoveva in quell’atmosfera di falsa gaiezza.
Non avrebbe dovuto accettare. Avrebbe dovuto dire ad Aidan che per lui non era una festa di addio al celibato, quanto piuttosto una celebrazione funebre.
Il sorriso con cui l’amico lo accolse non fece che accrescere il suo dolore.
«Ehi, Sheen!» esclamò Aidan andandogli incontro. «Incominciavo a pensare che volessi darmi buca.»
Shaheen si sforzò di sorridere. Non sopportava di essere chiamato Sheen, non lo aveva mai sopportato. Ma in fondo cosa poteva essere un nomignolo sgradito a paragone di quello che sarebbe stato costretto ad affrontare da quel momento in poi?
«Se solo avessi immaginato che genere di festa avevi in mente, puoi stare sicuro che non sarei venuto» commentò sforzandosi di accogliere con un sorriso l’amico.
Lui gli cinse le spalle con un braccio e ci mancò poco che lo facesse sussultare. Aidan gli piaceva, era un compagno di lavoro onesto e un amico leale, ma lui non sopportava di essere toccato. Non gli piaceva neppure nelle relazioni sessuali che aveva intrattenuto fino a quel momento. Per lui il sesso serviva soltanto a scaricare la tensione, non a costruire intimità, e a tale riguardo era sempre stato molto chiaro con tutte le donne con cui aveva intrattenuto delle relazioni carnali.
A stento ricordava l’ultima. Quegli accoppiamenti sterili lo attraevano sempre meno. Ormai aveva perso ogni interesse per il sesso. E purtroppo, le donne che gli piacevano e che rispettava non suscitavano in lui nessun interesse sessuale.
Si allontanò dall’amico senza fargli avvertire il distacco. «Preferirei vivere nell’anonimato» commentò. E poi, per non ferire i suoi sentimenti, visto il