Inganno tentatore: Harmony Destiny
By Day Leclaire
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Day Leclaire
Autrice americana creativa e versatile, ha scoperto in tenera età la sua passione per la scrittura.
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Inganno tentatore - Day Leclaire
1
Stavano proprio esagerando.
Rafe Dante fissò la schiera di donne che, con più o meno tatto, i parenti gli avevano fatto sfilare sotto il naso. Aveva perso il conto di quelle a cui aveva dovuto stringere la mano. La loro motivazione era evidente: volevano trovargli una moglie. Fece una smorfia. No, più di una moglie.
Tutti speravano di trovargli la sposa infernale, in base alla leggenda di famiglia che rischiava seriamente di sfuggire loro di mano. Per qualche strano motivo, tutti i consanguinei erano convinti che fosse sufficiente un solo contatto perché si forgiasse una qualche mitica connessione tra un Dante maschio e la sua anima gemella, cortesia dell’Inferno. Possibile che non si rendessero conto di quanto fosse ridicolo il concetto?
Rafe non solo non credeva all’Inferno, ma non aveva neppure alcuna intenzione di provare di nuovo la beatitudine matrimoniale. La sua defunta moglie, Leigh, gli aveva insegnato la lezione nel breve lasso di tempo tra il Lo voglio e Il mio avvocato si metterà in contatto con te. Certo, quella telefonata non era mai arrivata: diciotto mesi prima la moglie si era imbarcata su un aereo privato diretto in Messico, per riprendersi dalla tragedia del proprio matrimonio, e aveva incontrato un fato ben peggiore quando il velivolo si era schiantato sul fianco di una montagna senza lasciare superstiti.
Il fratello Draco lo raggiunse e incrociò le braccia sul petto. Restò in silenzio per qualche istante, ad ammirare la sala e il suo contenuto scintillante – in carne, ossa e diamanti. «Sei pronto ad arrenderti e a sceglierne una?»
«Sii serio.»
«Lo sono. Assolutamente.»
Rafe si voltò, più che lieto di sfogare almeno in parte la propria irritazione. «Hai una vaga idea di cosa sono stati gli ultimi tre mesi?»
«Certo. Ho osservato dalle retrovie, nel caso non lo avessi notato. E sono anche perfettamente consapevole del fatto che, una volta che ti sarai arreso all’Inferno, io sarò il bersaglio successivo del plotone d’esecuzione. Fosse per me, vorrei che tu resistessi il più a lungo possibile.»
«Ci sto lavorando.»
Riportando l’attenzione alla sala, Rafe sospirò. Il ricevimento internazionale della Dantes Jewelry offriva tutto ciò che un uomo potesse desiderare: vino, donne e brillanti – e niente che lui volesse.
Il vino proveniva da Sonoma, California, una cantina a poche ore dagli uffici di famiglia di San Francisco. L’etichetta sulle bottiglie era esclusiva quanto la lista degli ospiti. Le donne erano belle, ricche e sfavillavano quanto le fedi nuziali in esposizione nella mostra riservata. E per quanto riguardava i brillanti... Be’, di certo non era una vista inusuale per lui, dato che la Dantes Courier Service aveva il compito di trasportare i meravigliosi diamanti di fuoco e i metalli preziosi con i quali venivano lavorati.
Eppure, Rafe provava un fastidioso senso di noia. Quante volte aveva preso parte a simili ricevimenti? Sempre allerta. Sempre l’occhio vigile nell’ombra. Sempre il lupo solitario in guardia, istintivamente evitato dagli ospiti, fino a quanto un parente non indirizzava una potenziale sposa nella sua direzione. Era una trama che si era ripetuta talmente tante volte da perderne il conto.
In quell’occasione particolare si celebrava il lancio esclusivo dell’ultima collezione della Dantes, la linea di anelli Eternity, di cui veniva creato un solo esemplare per modello; ogni pezzo combinava i diamanti di fuoco, che avevano portato ai massimi livelli il nome di famiglia, con il platino di ghiaccio prodotto dalla Billings, l’azienda di proprietà della cognata di Rafe, Téa Dante, che aveva sposato il fratello maggiore Luc tre mesi prima. Il solo vedere quegli anelli, simbolo di amore e devozione reciproca, riempiva Rafe di amarezza.
Ci era già passato, e ne portava ancora le cicatrici.
Poi la vide.
Il minuto folletto biondo che vagava per la sala a servire gli ospiti non poteva certo reclamare il titolo di esemplare più affascinante del ricevimento, ma per qualche motivo Rafe non riuscì a toglierle gli occhi di dosso.
Non era in grado di spiegare perché avesse attirato la sua attenzione, né il motivo del fremito che gli aveva suscitato. Garantito, i suoi lineamenti erano piacevoli, una struttura delicata e fine con fantasia sufficiente a renderla interessante. Forse erano stati i suoi capelli, della stessa sfumatura delle bianche sabbie caraibiche. O i suoi occhi, del glorioso turchese delle onde dell’oceano che si infrangono su quelle spiagge incontaminate. E poi c’era quel fremito che non riusciva a spiegarsi, un vago prurito che lo spronava ad avvicinarsi a lei in ogni modo possibile.
Si aggirava per la sala esposizione della Dantes come se danzasse, e in realtà aveva un corpo da ballerina, snello e aggraziato, anche se un po’ minuto, messo in risalto dai pantaloni neri e dal gilet rosso attillato della divisa.
Scomparve tra la folla, il vassoio di tartine tenuto sollevato, e lui la perse di vista. Per un secondo fu tentato di inseguirla. Poi, pochi minuti dopo, il folletto ricomparve con un vassoio di flûte di champagne, ma diretto nella direzione opposta a dove si trovava lui.
La cosa lo infastidì. Deciso a forzare un incontro, fece per avviarsi in una traiettoria di intercettazione, ma fu trattenuto dalla mano di Draco.
«Che cosa c’è?» gli domandò seccato, inarcando un sopracciglio. «Ho sete.»
Il fratello rispose con un’occhiata scettica. «Strano. Avrei detto che avessi fame. E con tutti gli occhi puntati su di te, ti consiglio di evitare di saziare il tuo appetito finché non ti troverai in un luogo e in un momento più adeguati.»
«Diavolo!»
«Rilassati. Dove c’è la determinazione...» Draco indicò una delle vetrinette e cambiò deliberatamente argomento. «Pare che l’ultima linea di Francesca sarà un grande successo. Sev ne sarà esaltato.»
Cedendo all’inevitabile, Rafe annuì. «Penso che sia più esaltato dalla nascita del figlio» replicò. «Ma questa probabilmente sarà la ciliegina sulla torta.»
Draco inclinò la testa, dopodiché regalò al fratello un’espressione divertita. «Allora, dimmi. Finora quante di queste adorabili fanciulle ti sono state presentate dai nostri adorabili nonni?»
I lineamenti di Rafe si fecero arcigni. «Almeno una dozzina. Me le hanno fatte toccare tutte, come se si aspettassero i fuochi di artificio o qualcosa del genere.»
«La colpa è tua. Se non avessi detto a Luc che tu e Leigh non avevate mai sperimentato l’Inferno, non avresti tutta la famiglia alle costole.»
Il fatto che così tanti tra i suoi parenti fossero caduti vittima della leggenda di famiglia non faceva che aumentare l’amarezza nei confronti della propria breve nuotata nelle turbolente acque matrimoniali. Potevano anche sostenere di aver trovato l’anima gemella grazie all’Inferno dei Dante; Rafe, più razionale e pragmatico di tutti loro, adottava un punto di vista molto più semplice e diretto, ancorché cinico: l’Inferno non esisteva.
Non esisteva alcun legame eterno stabilito quando un Dante toccava per la prima volta la propria anima gemella, allo stesso modo in cui quegli anelli in esposizione non potevano promettere che i matrimoni per i quali venivano acquistati sarebbero durati un’eternità. Qualcuno aveva fortuna, come i suoi nonni. E qualcuno non l’aveva, come era successo a lui con quel disastro di matrimonio.
Di pessimo umore, Rafe rimase a guardare Luc e la moglie Téa, sposati da tre mesi. Stavano ballando, piroettando per la sala, lo sguardo fisso l’uno nell’altra come se fossero gli unici due esseri viventi al mondo. Nelle loro espressioni era evidente ogni emozione, palese perché chiunque potesse vederla. Diavolo!, nemmeno nei momenti di passione più sfrenata Rafe e Leigh si erano guardati in quel modo.
In effetti, Rafe era stato accusato da diverse donne di essere troppo concreto, e la sua logica rigida e fredda – quella che lo rendeva un lupo solitario – fluiva nella sua vita personale con frequenza allarmante. La fiera passione che dimostrava in camera da letto compensava quel lato troppo cerebrale del suo carattere, così come il suo aspetto aitante. Emotivamente distante. Freddo. Intimidatorio. Per ragioni che gli sfuggivano, quella parola era sempre accompagnata da un brivido.
Ciò che nessuno pareva comprendere era che lui non era il tipo da lasciarsi andare all’amore. Né il brutale ti ho sposato perché sei un Dante ricco e potente di cui era stata paladina la defunta moglie, né il disinvolto incendiamo le lenzuola e godiamocela finché dura delle donne che da lui volevano solo un’avventura. E sicuramente non quell’e vissero per sempre felici e contenti tanto elogiato dai parenti più emotivi e sentimentali di lui.
Rafe si conosceva fin troppo bene. Poteva affermare con assoluta certezza non solo che non era equipaggiato per quello, ma anche che non aveva e non avrebbe mai sperimentato l’amore dell’Inferno.
Il che gli andava più che bene.
«La prima volta che mi hanno dondolato davanti al naso una potenziale sposa è stato fastidioso» informò il fratello. «Dato che sono stati i nonni, non ho potuto protestare. Ma adesso è presa la smania a tutti: non posso fare un passo senza che mi venga proposta una sventola mozzafiato.»
Draco fece un cenno a qualcuno alle spalle di Rafe. «Condanna peggiore della morte» osservò fingendo un brivido.
«La considereresti tale se fossi tu al centro dell’attenzione.»
«Ma non è così.» Draco si tese oltre di lui e recuperò un bicchiere di champagne. «Vuoi?»
«Certo.»
«Consideralo il tuo giorno fortunato. Il vassoio è proprio dietro di te.» Gli rivolse un’occhiata furbesca. «E poi non dire che non ti faccio mai favori.»
Confuso dall’osservazione, Rafe si voltò per prendere un bicchiere e si ritrovò di fronte l’elusivo folletto. Da vicino era ancora più attraente.
Sollevò la flûte nella sua direzione. «Grazie.»
Il sorriso della ragazza si allargò, illuminando il suo viso, la stanza e qualche angolo buio e freddo nel cuore di Rafe. «Non c’è di che.» Persino la sua voce era attraente, piena e ricca con una cadenza quasi musicale.
Draco osservò lo scambio divertito. «Sai, se vuoi che il parentado ti lasci in pace, c’è una soluzione.»
L’affermazione attirò l’attenzione del fratello. «E sarebbe?»
«Trova la tua sposa infernale.»
«Razza di...» Rafe trattenne a stento l’insulto. «Te l’ho già detto: non ho intenzione di risposarmi, non dopo ciò che è successo con Leigh.»
Colse il brusco inspirare del folletto nel momento stesso in cui le flûte sul suo vassoio cominciarono a dondolare precariamente. I cristalli tintinnarono uno contro l’altro, e lei fece del proprio meglio per mantenere l’equilibrio, riuscendo quasi nell’impresa, prima che a mo’ di domino le flûte rovinassero a terra. Il vetro andò in frantumi e lo champagne si sparse in una larga pozza.
Reagendo d’istinto, Rafe prese la ragazza per la vita e la trascinò via dalle schegge. Un calore imprevisto lo bruciò attraverso il tessuto della sua divisa, suscitandogli immagini di curve candide e nude illuminate dal chiaro di luna, di braccia e gambe vellutate intrecciate intorno a sé, di soffici gemiti che riempivano l’aria come una sinfonia musicale e accompagnavano la loro unione.
Rafe scosse il capo, sforzandosi di concentrarsi. «Stai bene?» riuscì a chiedere alla ragazza.
Lei fissò lo sguardo sul disastro sul pavimento e annuì. «Penso di sì.» Poi lo sollevò su di lui, gli occhi spalancati di un azzurro impossibile, l’unica punta di colore nel suo viso bianco come un lenzuolo. Rafe non intravide alcun accenno dello stesso desiderio che si era impossessato di lui; soltanto rimorso e un inizio di panico. Ma nemmeno una piccola scintilla di passione. Un vero peccato.
«Sono desolata» si scusò la cameriera. «Stavo indietreggiando e sono scivolata.»
«Non ti sei tagliata?»
«No.» Rilasciò il fiato in un sospiro. «Mi dispiace davvero, sono mortificata. Pulisco subito.»
Prima che potesse darsi da fare, comparve un altro membro del catering – un responsabile, a giudicare dal modo discreto e impeccabile