L amante del petroliere: Harmony Destiny
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About this ebook
Dimenticare Nathan è impossibile, Ana ne è con-vinta. Nonostante lui abbia messo bruscamente fi-ne alla loro appassionata relazione clandestina per non giocarsi la carriera, tra di loro si è creato un legame che non può essere spezzato. E quando casualmente si rivedono...
Michelle Celmer
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
L amante del petroliere - Michelle Celmer
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Clandestine Corporate Affair
Harlequin Desire
© 2011 Michelle Celmer
Traduzione di Roberta Canovi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-550-3
1
Oh-oh, le cose si mettevano male.
Ana Birch scrutò discretamente dietro di sé, verso il livello superiore del Country Club, sperando di essersi sbagliata, che gli occhi le avessero giocato un brutto scherzo. Forse gli assomigliava e basta. Per mesi, dopo che lui l’aveva scaricata, Ana aveva continuato a vederlo nel viso di qualsiasi sconosciuto: gli occhi scuri e ipnotici, le labbra sensuali... Aveva riconosciuto le sue spalle ampie e il suo fisico aitante negli uomini che incrociava per strada, e le era mancato il fiato, ogni volta, il battito che accelerava... per poi fermarsi miseramente quando si rendeva conto che si trattava solo di una somiglianza. Nei diciotto mesi trascorsi dalla conclusione del loro rapporto, lui non l’aveva chiamata neanche una volta.
Finalmente lo individuò al bar, drink in mano, mentre parlava con un altro ospite. Il cuore le sprofondò sotto i piedi, poi le si arrampicò di nuovo in gola incastrandosi lì: non era un’illusione, era proprio lui.
Oddio. Come hai potuto farmi una cosa simile, Beth?
Issandosi in braccio il figlio di nove mesi, attraversò il prato perfetto come un tappeto, i tacchi che sprofondavano nel terreno morbido. Appunto personale: mai indossare i tacchi alti a una festa per bambini che si tiene all’aperto. E neanche un piumino di seta, aggiunse infastidita, mentre Max si divincolava scivolando di nuovo verso il basso.
Con i jeans aderenti e gli stivali al ginocchio, i capelli appena tinti di rosso, era l’antitesi delle mamme dell’alta società che bevevano e chiacchieravano tra loro mentre le tate correvano da una parte e dall’altra dietro ai loro figli. Cosa che chiaramente non sfuggiva a nessuno, a giudicare dalle occhiate curiose che seguivano la sua scia. Ma nessuno osava criticare l’erede dell’impero della Birch Energy, per lo meno non apertamente – e Ana lo trovava al tempo stesso un sollievo e un insulto.
Vide la cugina Beth accanto alla gigantesca palla gonfiabile di plastica trasparente, intenta a osservare Piper, la figlia di sei anni nonché festeggiata, che gridava e si dimenava all’interno della suddetta mostruosa fonte di germi insieme a un’altra dozzina di bambini. Voleva bene a Beth come a una sorella, ma questa volta aveva esagerato.
La cugina la notò avvicinarsi e le sorrise. Non ebbe nemmeno la decenza di apparire colpevole per ciò che aveva fatto, ma del resto Ana non se l’era aspettato: la vita di Beth era talmente prevedibile e noiosa che evidentemente lei si divertiva impicciandosi dei fatti altrui. Ma in questo caso c’era in ballo ben più di un innocuo pettegolezzo.
«Maxie!» esordì la donna tendendo le braccia per accogliere il piccolo. Max strillò eccitato e si sbilanciò verso di lei, e Ana glielo consegnò. Probabilmente Beth aveva intuito che la cugina non poteva assalirla fisicamente mentre teneva in braccio suo figlio.
«Cosa ci fa qui?» esordì Ana a denti stretti.
«Chi?» replicò Beth, giocando la carta dell’innocenza, quando sapeva perfettamente di chi si stava parlando.
«Nathan.»
Ana si voltò ancora una volta verso Nathan Everett, direttore comunicazione e immagine della Western Oil, appoggiato alla ringhiera, drink sempre in mano, con la stessa bellezza tradizionale e la stessa aria di disinvolta sofisticatezza che aveva mostrato il giorno che Beth li aveva presentati. Non era il tipo di Ana, non lo era mai stato: carriera di successo, niente tatuaggi né precedenti negli schedari della polizia; ma era un dirigente della Western Oil, perciò bere qualcosa con lui era stato il massimo affronto che avrebbe mai potuto infliggere al padre. Poi un drink erano diventati due, poi tre, e quando lui si era offerto di accompagnarla a casa lei aveva pensato: che cavolo, è abbastanza innocuo.
Bella teoria brillante! Quando l’aveva baciata, sulla porta, praticamente lei aveva preso fuoco. Nonostante ciò che lasciava credere alla gente, non era la precoce mangiatrice di uomini descritta sui giornali di cronaca mondana; era molto selettiva riguardo le persone con cui andava a letto, e mai al primo appuntamento. Nathan, però, se l’era praticamente trascinato in casa. E anche se dall’aspetto lui avrebbe potuto sembrare conservatore, persino un po’ rigido, senza alcun dubbio sapeva come far godere una donna. Tutt’a un tratto il sesso aveva assunto tutto un altro significato, per lei: non si trattava più di sfidare il padre, ma di avere qualcosa che voleva disperatamente – Nathan.
Avrebbe dovuto essere una sera soltanto, ma lui aveva continuato a chiamarla e lei si era scoperta incapace di resistergli. Quando lui l’aveva scaricata, Ana ormai era innamorata persa. Per non dire incinta.
Nathan guardò dalla sua parte e i loro sguardi si intrecciarono. Di colpo, lei non fu più in grado di distogliere l’attenzione da quegli occhi penetranti. Un brivido freddo le fece venire la pelle d’oca, e non aveva niente a che fare con l’aria frizzante di dicembre. Poi il suo cuore cominciò ad aumentare il ritmo mentre la familiare consapevolezza si insinuava in lei e il calore le saliva dalla gola alla cresta delle guance.
Distolse lo sguardo.
«Era compagno di Leo al college» spiegò Beth mentre stuzzicava Max sotto il mento. «Non potevo non invitarlo, sarebbe stato da maleducati.»
«Per lo meno avresti potuto avvertirmi!»
«Se l’avessi fatto, saresti venuta?»
«Certo che no!» Aveva passato la maggior parte degli ultimi diciotto mesi a evitarlo: farlo avvicinare così tanto a Max era un rischio che semplicemente non poteva correre. Beth sapeva come la pensava a riguardo.
La cugina inarcò un delicato sopracciglio, e abbassò la voce a un ruvido bisbiglio. «Forse ho pensato che fosse arrivato il momento di smetterla di evitarlo. La verità verrà fuori, prima o poi; non credi che sia meglio prima? Non credi che abbia il diritto di sapere?»
Per quanto riguardava Ana, sarebbe stato meglio che lui non lo venisse mai a sapere. Tra l’altro, aveva detto chiaro come la pensava: anche se era affezionato ad Ana, non gli interessava una relazione stabile – non aveva tempo. E anche se ce l’avesse avuto, non l’avrebbe speso con la figlia di un diretto rivale: sarebbe stata la fine della sua carriera.
Sempre la stessa storia. Per suo padre, Walter Birch, proprietario della Birch Energy, la reputazione e le apparenze erano sempre venute prima della felicità della figlia. Se avesse saputo che aveva avuto una relazione con un dirigente della Western Oil, e che era lui il padre del nipote, l’avrebbe considerato il massimo tradimento. Già aveva giudicato una disgrazia che Ana avesse avuto un figlio al di fuori del vincolo matrimoniale, ed era stato così furioso perché lei non aveva voluto rivelare il nome del padre che aveva interrotto ogni forma di comunicazione fino a quando Max non aveva avuto due mesi. Se non fosse stato per il fondo fiduciario che le aveva lasciato la madre, lei e Max si sarebbero ritrovati per strada.
Per anni aveva seguito le regole del padre. Aveva fatto tutto ciò che lui le chiedeva, giocando il ruolo della perfetta principessa, sperando di guadagnarsi il suo apprezzamento. Aveva indossato gli abiti che lui riteneva più consoni e mantenuto una media scolastica che avrebbe reso orgoglioso qualsiasi genitore, ma non suo padre. Niente di ciò che faceva era mai sufficiente, così, quando fare la brava ragazza non l’aveva portata da nessuna parte, aveva deciso di diventare una ragazza cattiva. Una reazione negativa era sempre meglio della totale mancanza di attenzione. Almeno per un po’. Ma poi si era stancata anche di quel gioco: il giorno che aveva scoperto di essere incinta si era resa conto che per il bene del figlio era arrivato il momento di crescere. E nonostante fosse un figlio illegittimo, Max era diventato la luce degli occhi del nonno. Birch aveva già cominciato a pianificare il giorno in cui Max avrebbe preso il suo posto; se avesse saputo che era figlio di Nathan, per sprezzo avrebbe diseredato madre e figlio. E Ana come avrebbe potuto negare al figlio la propria eredità e continuare ad avere la coscienza tranquilla?
Questo era uno dei motivi per cui era meglio che Nathan non sapesse mai la verità.
«Io voglio solo che tu sia felice» si giustificò Beth restituendole Max, che aveva cominciato a scalpitare.
«Lo porto a casa.» Ana si issò il figlio sull’anca; non pensava che Nathan le si sarebbe avvicinato, dopo tutto quel tempo, ma incrociarlo per caso era un rischio che non era disposta a correre. «Ti chiamo dopo» si congedò quindi rivolta alla cugina.
Stava per voltarsi quando udì il rombo profondo e inconfondibile della voce di Nathan alle proprie spalle. «Buongiorno, signore.»
Il battito perse un colpo prima di accelerare all’impazzata.
Dannazione. Ana si raggelò, incerta sul da farsi; avrebbe dovuto scappare? Oppure voltarsi ad affrontarlo? E se lui avesse visto Max e semplicemente avesse capito? Scappare, d’altro canto, non sarebbe stato un po’ troppo sospetto?
«Be’, buongiorno a te, Nathan» rispose Beth, sfiorandogli le guance in un finto bacio, strattonando Ana per il braccio. «Sono contenta che tu ce l’abbia fatta. Ti ricordi di mia cugina Ana, vero?»
Ana deglutì e si voltò, nascondendo col berretto il ciuffo biondo dietro l’orecchio sinistro del figlio, che per il resto mostrava una massa di spessi capelli corvini. Proprio come suo padre. Aveva anche la stessa fossetta nella guancia sinistra quando sorrideva, e gli stessi occhi marroni e profondi.
«Ciao, Nathan» lo salutò, ingoiando paura e senso di colpa. Non ti voleva, si ricordò. E non avrebbe voluto un figlio. Hai fatto la cosa giusta. Nathan doveva aver saputo della gravidanza, era stata sulla bocca di tutta El Paso. Il fatto che non si fosse mai chiesto se fosse lui stesso il padre oppure no la diceva lunga.
Non aveva voluto saperlo.
Era lo stesso di sempre – non che lei si fosse aspettata grossi cambiamenti, in un anno e mezzo. E il suo freddo scrutinio, la mancanza d’affetto o tenerezza nel suo sguardo dimostravano che per lui Ana non era stata altro che una distrazione passeggera, una fase temporanea.
Lei avrebbe voluto poter dire lo stesso, ma in quel momento le mancava come le era mancato diciotto mesi prima, e soffriva fisicamente da tanto desiderava quell’intensa connessione che non aveva mai provato con nessun altro uomo, e sembrava moltiplicarsi per dieci ogni volta che Nathan si presentava alla sua porta. Ogni fibra del suo essere le gridava che era quello giusto, e avrebbe sacrificato qualsiasi cosa pur di stare con lui: l’eredità, l’amore del padre – non che credesse che Walter Birch amasse altri, oltre a se stesso.
Non passava giorno senza che Ana guardasse il dolce visino di Max e provasse la staffilata del rifiuto di Nathan come una spada nel cuore. In quel momento, l’istinto di gettarsi tra le sue braccia e supplicarlo di amarla era quasi insopprimibile.
Patetica, ecco cos’era.
«Come stai?» le domandò lui con un tono quanto meno educatamente disinteressato, e non rivolse al figlio che un’occhiata fugace.
Ana adottò lo stesso tono educato, anche se dentro si stava crogiolando in una sofferenza che dopo tutti quei mesi la metteva ancora in ginocchio. «Molto bene, e tu?»
«Sono molto occupato.»
Non ne aveva alcun dubbio. L’esplosione alla Western Oil aveva fatto notizia. Erano state scritte pagine e pagine di pubblicità negativa, e altrettanti spot televisivi – orchestrati chiaramente dal padre. Come direttore comunicazione e immagine, era compito di Nathan reinventare l’immagine della compagnia.
«Be’, se volete scusarmi» intervenne Beth. «C’è una torta che