Rapiti dal deserto: Harmony Destiny
By Olivia Gates
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Olivia Gates
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Rapiti dal deserto - Olivia Gates
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
To Touch a Sheikh
Harlequin Desire
© 2011 Olivia Gates
Traduzione di Maria Latorre
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-777-4
Prologo
«Puoi perdonare, Amjad?»
Amjad Aal Shalaan riuscì appena a sollevare il volto verso l’uomo che gli aveva rivolto quella domanda con voce tonante.
Suo padre, il re, torreggiava su di lui nei suoi abiti ufficiali, il viso una maschera impassibile e controllata, gli occhi colmi di un amalgama di rimpianto, ira, agonia e rabbia.
Lo sguardo di Amjad si fermò sui fratelli, che fiancheggiavano il padre, e poi sulla marea di rappresentanti tribali che affollavano il palazzo di giustizia dello Zohayd e che attendevano la sua risposta.
Puoi perdonare?
Ma lui aveva già perdonato ciò che nessun altro uomo al mondo avrebbe mai potuto perdonare.
Aveva perdonato la sua sposa per non essere arrivata vergine al letto nuziale. Aveva alleviato i suoi timori, assicurandole che non le avrebbe mai rinfacciato il passato, o usato quel fatto contro di lei. Tutto ciò che contava era il futuro, e le scelte che avrebbe compiuto da quel momento in poi in qualità di legittima consorte.
E aveva perdonato quando aveva scoperto che lei aspettava un bambino. Da un altro uomo.
Tutti commettevano errori. Non aveva senso distruggere una vita, né tanto meno un rapporto, a causa di uno sbaglio.
Non riusciva a sentirsi tradito. La moglie era soltanto una sconosciuta che aveva scelto – o meglio, che gli era stata fortemente raccomandata – tra un interminabile elenco di possibili spose una settimana prima del matrimonio. Come Principe della Corona di un regno ancora governato dai patti tribali, non aveva fatto considerazioni di natura personale.
Ma lei era diventata sua moglie, sarebbe stata la sua unica donna. E lui era più che mai risoluto a vedere soltanto il meglio di lei, a darle il meglio di se stesso.
Lei aveva ripagato la sua clemenza con l’inganno e la distruzione.
«Amjad?» Il sussurro del padre lo esortava a rispondere.
Ma lui aveva già avuto le risposte che cercava. Alle sue preoccupazioni, quando aveva perso l’appetito e sofferto di crampi ai polpacci. Sovraccarico di lavoro, stress, esaurimento.
All’acidità di stomaco aveva attribuito un’altra causa, la solitudine.
La sua mente poteva avere accettato la situazione, ma il suo cuore rifiutava di avviare un matrimonio sulla base di una menzogna. Il suo cuore temeva di non riuscire mai ad amare un bambino che invece meritava amore come ogni altra creatura innocente.
Era stato allora che le nausee erano state sostituite dal vomito incessante, che l’emicrania lo aveva quasi privato della ragione. Ed era stato allora che, in gran segreto, si era rivolto ai medici reali.
Tutti erano rimasti interdetti, perché le analisi non mostravano patologie e le loro prescrizioni non sortivano effetti. Qualcosa di maligno sembrava roderlo dall’interno, ma visto che non si trattava di una malattia, il problema doveva evidentemente provenire dall’esterno.
Il vero problema era che Amjad dubitava di tutti, tranne che di lei. Come poteva dubitare di una moglie che lo ricopriva di amore?
Abbassò gli occhi sulle mani, che ancora portavano i segni del tradimento. Le mezzelune bianche sulle sue unghie, le macchie scure sulla pelle.
Il ricordo lo fece rabbrividire. Ripensò a quando aveva realizzato, a quando aveva capito di essere stato avvelenato.
Il veleno era stato nascosto nei gesti più attenti, nei doni più dolci. Abiti, asciugamani, cioccolatini, sali da bagno, oli profumati e tanto altro. Tutti verdi, il colore che lei sosteneva di adorare, perché gli ricordava quello dei suoi occhi.
Tutti all’arsenico.
La moglie aveva tentato di ammazzarlo, lentamente, senza lasciare traccia.
Ci era quasi riuscita. Amjad era stato a malapena in grado di bisbigliare il proprio sospetto ai fratelli prima di sprofondare nel coma. E i medici, che finalmente sapevano per cosa curarlo, erano riusciti a salvarlo. Adesso era di fronte al padre, che gli chiedeva ciò che i parenti della sposa assassina non avevano il coraggio di chiedere. Il suo perdono.
Il suo sguardo si posò di nuovo sulla folla.
Da una parte, segregata, supplichevole, c’era Salmah. Accanto a lei il suo amante, il suo complice. I loro occhi erano eloquenti, pieni di speranza. No, di più, di certezza. Erano sicuri che li avrebbe graziati, così come aveva già perdonato altri mille ingiustificabili atti in passato.
Se avesse concesso il suo perdono, rinunciando al privilegio di stabilire personalmente la pena, avrebbe deciso la legge, certamente più mite di lui. Se invece avesse scelto di esercitare il suo diritto, avrebbe potuto richiedere qualsiasi punizione, non solo per chi aveva perpetrato il crimine, ma anche per chiunque avesse la sfortuna di avere il loro stesso sangue.
Il suo sguardo si posò su Salmah, la vide tremare, ma si rese conto che fingeva, proprio come quando si era finta innamorata di lui. Il suo unico dispiacere – ne era certo – era quello di non essere riuscita a farlo fuori.
Un pensiero gli saettò improvviso nella mente. Ci era riuscita, invece.
Lui era morto, morto dentro.
Chiuse gli occhi, accettò quell’idea.
«Amjad?»
L’ansia nella voce del padre gli fece riaprire gli occhi.
Sapeva cosa temeva il vecchio sovrano. Amjad era l’ombra di se stesso, i resti emaciati dell’uomo che era stato fino a sei mesi prima. I fratelli avevano dovuto aiutarlo a vestirsi, lo avevano spinto sulla sedia a rotelle fino a quel raduno.
Il padre, tuttavia, era tenuto a incoraggiare la pace, anche se il suo cuore gridava vendetta nei confronti di chi aveva tentato di strappargli il primogenito.
Amjad si sollevò a fatica, resistendo alla debolezza che lo costringeva sulla sedia a rotelle, e respinse l’aiuto che i fratelli si precipitarono a dargli. Non era ancora completamente fuori pericolo, ma se fosse sopravvissuto, non avrebbe più permesso alla compassione di governare le sue decisioni.
Da quel momento in poi, non avrebbe mai più accordato la propria fiducia alla gente.
Fece appello alle poche energie che gli restavano e guardò la folla.
«No. Non perdono.»
Un silenzio sbigottito accolse quelle parole.
Tutti si aspettavano che si comportasse di nuovo come il principe cavalleresco che era sempre stato, per il bene del prossimo.
Salmah scoppiò il lacrime, sua madre svenne, il padre implorò clemenza.
Una risata ironica distese le labbra di Amjad. Con un ampio gesto del braccio indicò tutti i presenti. A nessuno di loro importava che lui morisse. Erano lì soltanto per convenienza.
«Non perdonerò mai nessuno di voi. Non dimenticherò mai quello che mi avete fatto, quello che siete. E se dovessi sopravvivere, farete bene a pregare. Perché se dovessi sopravvivere, ve la farò pagare. E non cercate di sbarazzarvi di me. Avete avuto l’occasione per farlo e l’avete persa. Nessuno, nessuno ne avrà mai un’altra.»
1
Otto anni dopo
Maram Aal Waaked aveva finalmente la sua occasione con il Principe Pazzo.
Almeno, quello era il nome con cui Amjad Aal Shalaan era noto al mondo. Per lei, era la cosa migliore che fosse stata inventata dopo il budino al cioccolato.
Era da quattro anni che la stuzzicava con la sua carnalità, facendole desiderare di più, ma questa volta lo avrebbe messo all’angolo.
Già, all’angolo. Tra altre decine di maschi impiccioni nel bel mezzo del deserto. Quell’uomo era così abile che sarebbe riuscito a sfuggirle in qualsiasi occasione.
Ricordava che lo aveva già fatto una volta, durante i negoziati a cui lei aveva partecipato in qualità di rappresentante del suo emirato. Quando gli altri avevano incominciato a farneticare, Amjad aveva sfoderato quel suo ghigno ferale e aveva detto: «Mi sto annoiando». Ed era sparito.
Le amiche erano convinte che fosse impazzita. Certo, era un esemplare di maschio unico, in grado di fare svenire le donne al suo passaggio. Ma anche di farle rabbrividire. Era talmente folle che sarebbe riuscito a polverizzare qualsiasi donna in suo potere.
Maram rispondeva sempre che se lo fosse stato davvero, avrebbe fatto incetta di donne solo per il piacere di distruggerle. Il fatto che impedisse a chiunque di avvicinarglisi dimostrava che era sano di mente e compassionevole.
Le sue amiche continuavano a ribattere che era diventato paranoico, che aveva avuto tutto il tempo per venire a patti con il suo passato. Lei, d’altro canto, pensava che un uomo che aveva vissuto un’esperienza terribile come la sua si potesse riprendere soltanto se avesse vissuto un’esperienza ugualmente intensa, ma meravigliosa. Solo se avesse conosciuto una donna capace di apprezzarlo per quello che era, senza nessuna considerazione per il suo denaro e il suo potere, si sarebbe davvero salvato. Una donna capace di riconoscere le sue ferite e l’uomo nobile ed eroico che si nascondeva dietro quella patina di crudeltà e insofferenza.
Il suo unico scopo era dimostrargli di essere lei, quella donna.
Per poterci riuscire, tuttavia, doveva bloccarlo abbastanza a lungo da potere fare con lui una vera conversazione.
Fino a quel momento, a eccezione di un unico, epico episodio, Amjad le aveva riservato solo pochi commenti acidi e poi l’aveva piantata in asso senza darle occasione di ribattere.
Maram, però, sarebbe riuscita ad addolcire quella bestia. E non le importava delle ferite e delle cicatrici che avrebbe riportato.
Adesso stava per incominciare la prima fase dell’operazione.
Era in macchina, a pochi minuti dal campo di battaglia, un luogo tra le dune che Amjad aveva scelto per lo svolgimento della corsa dei cavalli reali. Nello Zohayd quella corsa si teneva solitamente l’ultimo giorno di autunno, ma quell’anno Amjad aveva anticipato la data, ignorando le proteste di tutti i nobili che vi avrebbero preso parte.
Era mezzogiorno. Maram aveva appena chiamato il padre per dirgli che era arrivata a destinazione e lui si era dichiarato inorridito all’idea che se ne fosse andata da sola, lasciandosi dietro la scorta che lui aveva cercato di imporle, ma lei gli aveva spiegato che aveva bisogno di parlare con Amjad a quattr’occhi, senza mille orecchie indiscrete ad ascoltarla.
Sollevò il piede dall’acceleratore per godersi quegli ultimi istanti di avvicinamento. Il panorama era tra i più magnifici che avesse mai visto.
E, no, non si riferiva alla maestosità del deserto o al cielo di un azzurro intenso, striato appena da qualche lingua di bianco. Era la vista di lui a farle esplodere fuochi d’artificio nelle vene e a farle battere forte il cuore per l’anticipazione.
Se ne stava fermo davanti a una delle tende più grandi, circondato da decine di uomini. Maram, però, vedeva soltanto lui, più alto di tutti, le spalle più larghe, la grazia e il potere più evidenti.
Per non parlare della differenza nel suo abbigliamento. In passato lo aveva visto indossare sempre e soltanto costumi cuciti a mano. Quel giorno, invece, portava una camicia bianca infilata in pantaloni aderentissimi dello stesso colore. Un paio di stivali di cuoio completavano l’abbigliamento, facendolo apparire più bello che mai.
Maram parcheggiò accanto alle altre auto, afferrò la borsa e il cappello e scese dal fuoristrada che il padre