Trenta giorni per il nostro sogno: Harmony Jolly
By Liz Fielding
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About this ebook
-May Coleridge-
Liz Fielding
Liz Fielding vive a Merlin's Fort, nel Galles, una terra leggendaria e disseminata di castelli. Sposata da quasi trent'anni con John, l'uomo che ha conosciuto quando lavorava in Africa, ha due figli e un gattone bianco e nero chiamato Rocky.
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Trenta giorni per il nostro sogno - Liz Fielding
1
May Coleridge fissò allibita l’uomo seduto dietro la scrivania, cercando di capire quello che le aveva detto.
Il testamento di suo nonno era molto semplice. A parte alcuni lasciti ad associazioni benefiche, tutto ciò che aveva sarebbe andato al suo unico parente ancora in vita. Lei.
Le tasse di successione si sarebbero prese quasi tutto, tranne la casa. May aveva sempre saputo che sarebbe successo, ma Coleridge House era la sola casa che avesse mai avuto e adesso invece, per colpa di una clausola in un testamento vecchio di secoli, avrebbe perso anche quella.
«Non capisco» mormorò scuotendo il capo. «Perché non me l’ha detto quando ha letto il testamento di mio nonno?»
«Come senza dubbio sa, il mio prozio si è occupato delle faccende legali di suo nonno fino a quando è andato in pensione» le spiegò Freddie Jennings con un tono pomposo che non le fece alcun effetto, visto che lo conosceva dai tempi dell’asilo. «Ed è stato lui a stilare il suo ultimo testamento, redatto subito dopo la morte di sua madre.»
«Quasi trent’anni fa, quindi!»
«Mi creda» replicò lui scrollando le spalle. «Sono sconvolto tanto quanto lei.»
«Ne dubito. I Jennings sono i legali della mia famiglia da generazioni. Come poteva non saperne nulla?»
«Alcuni dei nostri archivi sono stati danneggiati da un’alluvione una decina di anni fa. Ed è solo quando ho dovuto verificare l’autenticità del testamento, come prevede la legge, che ho scoperto l’esistenza di questa clausola.»
May aveva la sensazione di essere entrata nelle sabbie mobili e di stare sprofondando sempre di più. All’inizio, aveva pensato che ci fosse uno sbaglio e che Freddie stesse facendo molto rumore per nulla, come al solito. Invece non era nulla, era tutto.
Tutto quello a cui teneva, tutto ciò che amava stava per esserle portato via.
«L’ultima volta che questa clausola ha avuto una qualche rilevanza è stato quando il suo bisnonno morì nel 1944» continuò Freddie. «Suo nonno ne sarà venuto a conoscenza allora.»
«Nel 1944 mio nonno era un ragazzino di quattordici anni che aveva appena perso il padre» sbottò lei, perdendo per un attimo la calma davanti al suo goffo tentativo di giustificare la loro incompetenza. «E dal momento che si è sposato a ventitré anni la clausola per lui non ha mai costituito un problema.» E quando lo era diventato, l’ictus che lo aveva colpito gli aveva lasciato buchi enormi nella memoria e non era stato in grado di avvertirlo. Deglutì a vuoto per sciogliere il groppo che le si era formato in gola. Perché non doveva e non voleva scoppiare a piangere. «La gente allora convolava a nozze molto prima di oggi.»
«A quei tempi, non c’erano molte reali alternative al matrimonio.»
«No...»
Sua madre era stata una femminista convinta, una delle tante donne liberate che avevano tagliato i ponti con la società patriarcale e seguito la propria strada. Diventare madri senza avere un uomo fra i piedi era stato uno dei suoi cavalli di battaglia, un tema di cui aveva parlato spesso nei molti articoli che aveva scritto sull’argomento.
Quanto a lei... be’, aveva altre priorità.
«Deve ammettere che si tratta di una clausola inaccettabile, Freddie» osservò. «Sono sicura che potrò impugnare il testamento.»
«Temo proprio di no, invece. È indubbio che la clausola sia stata menzionata a suo nonno tutte le volte che ha messo mano al testamento. Il che è avvenuto almeno tre volte: dopo il suo matrimonio, dopo la nascita di sua madre e dopo la morte di sua nonna. Avrebbe potuto cancellarla, se avesse voluto, ma non lo ha mai fatto.»
«Perché, in nome del cielo?»
«Non lo so» le rispose Freddie, scrollando le spalle. «Forse perché era una tradizione di famiglia. O perché suo padre non l’aveva cancellata. Io gli avrei consigliato di eliminarla, ma il mio prozio era coetaneo di suo nonno e come lui apparteneva a un’altra generazione. Vedevano entrambi le cose in modo diverso da come le vediamo noi.»
«Eppure...»
«Ha avuto tre opportunità di cancellare la clausola» ribadì Freddie, interrompendola di nuovo. «E il pubblico ministero sosterrebbe senz’altro che, se non l’ha fatto, vuol dire che non lo voleva fare. Naturalmente, noi potremmo sostenere che, se non fosse stato colpito da un ictus, si sarebbe reso conto della sua situazione e avrebbe cambiato il testamento, ma...»
«Se non fosse stato colpito da un ictus, non ci sarebbe stato alcun bisogno di cambiare il testamento, perché adesso sarei sposata con Michael Linton» osservò lei con un sospiro.
Felicemente sposata, come amava ripetere suo nonno. Non come sua madre...
«Mi dispiace, May. Purtroppo, la sola cosa di cui può essere certa è che, comunque vadano le cose, impugnare il testamento le verrebbe a costare moltissimo.»
«In altre parole, mi sta dicendo che perderei comunque la casa.»
«In casi simili gli unici che ci guadagnano sono gli avvocati» convenne Freddie scuotendo la testa. «Ma se tutto va bene, vendendo il mobilio riuscirà a ricavare abbastanza per pagare la tassa di successione e acquistare un appartamentino.»
«Lo stato vuole sia la casa sia la tassa di successione?»
«Sono due cose completamente separate, purtroppo.»
«Se andasse tutto in beneficenza potrei farmene una ragione, ma così...»
«Il testamento originale è stato scritto all’inizio del Novecento, quando il paese era in guerra. E il suo bisnonno era un sincero patriota.»
«Ma mi faccia il piacere! Ha inserito quella clausola solo per mettere suo figlio con le spalle al muro. Sbrigati a sposarti e a dare un erede alla famiglia o ti diseredo!»
«Può darsi. Ma nessuno ha mai sentito il bisogno di toglierla. Comunque, non tutto è perduto. Almeno non completamente. C’è ancora un po’ di tempo. Potrebbe sposarsi prima di compiere trent’anni, May.»
«È una proposta di matrimonio?»
«Mi dispiace, ma temo che un bigamo non andrebbe bene.»
Freddie Jennings aveva il senso dell’umorismo? May non lo avrebbe mai detto.
«Non frequenta nessuno?» le domandò in tono speranzoso.
Lei scosse la testa. C’era stato solo un uomo che era riuscito a infiammarle il cuore e il corpo, ma...
«Tra il fare da infermiera al nonno e il lavoro non so proprio dove avrei potuto trovare il tempo.»
«Non ha nemmeno un amico che potrebbe prestarsi a un matrimonio di convenienza?»
«Al momento non conosco scapoli. A parte Jed Atkins, che mi dà una mano in giardino di tanto in tanto. Ha più di settant’anni, ma è molto prestante e dovrei battere non poche rivali, se volessi conquistarlo.»
«Non poche rivali?» le fece eco Freddie sbalordito.
«So che tutte le donne del Club della Terza Età vanno pazze per lui.»
«Capisco» mormorò Freddie. Poi, quando lei cominciò a ridere, soggiunse: «Forse è meglio che la riaccompagni a casa».
«Immagino che non abbia nessun cliente che ha urgente bisogno di sposare una cittadina inglese per ottenere il permesso di soggiorno nel nostro paese, vero?» gli domandò, mentre lui la accompagnava fuori dal suo studio, convinto che stesse per avere una crisi isterica.
Non avrebbe dovuto preoccuparsi. Era una Coleridge. Mary Louise Coleridge di Coleridge House. Educata a dare un contributo alla comunità, comportarsi in modo impeccabile in qualsiasi occasione e fare la cosa giusta anche con il cuore che si stava sgretolando.
Non avrebbe avuto una crisi isterica solo perché Freddie Jennings le aveva detto che stava per perdere tutto.
«Ma se sta prendendo in considerazione un’idea simile, faccia firmare al suo futuro marito un accordo prematrimoniale prima di convolare a nozze o dovrà sborsare un mucchio di soldi per liberarsi di lui» l’ammonì Freddie, mentre le apriva la portiera.
«Il che significa che, qualunque cosa faccia, perderò comunque» sospirò lei, scuotendo la testa. Poi, arretrando di qualche passo, soggiunse: «Sa, tutto sommato preferisco tornare a casa a piedi. Ho bisogno di prendere una boccata d’aria fresca».
Freddie disse qualcosa, ma lei non lo sentì, perché si stava allontanando. In realtà, non aveva bisogno di aria fresca, ma di rimanere sola e di riflettere.
Senza Coleridge House non avrebbe perso solo la sua casa, ma anche i mezzi di sussistenza. E con lei li avrebbe persi anche Harriet Robson, che era stata la governante di suo nonno per più di trent’anni ed era come una madre, per lei.
Doveva trovarsi al più presto un lavoro e un posto in cui vivere. O, naturalmente, un marito.
Acquistò una copia della prima edizione del quotidiano locale all’edicola davanti al cancello del parco, per dare un’occhiata alle offerte di lavoro e agli annunci immobiliari. Ma, come si aspettava, non c’erano offerte per una donna che stava per compiere trent’anni e non aveva non solo una laurea, ma nemmeno un diploma di dattilografa. E i pochi immobili sfitti a Maybridge costavano un occhio della testa. Di inserzioni matrimoniali, invece, ce n’erano tantissime, perciò forse avrebbe fatto meglio a cercarsi un marito. Anche se al suo trentesimo compleanno mancavano solo tre settimane.
Adam Wavell staccò gli occhi dalla neonata che dormiva placidamente nella sua carrozzina per leggere il biglietto che teneva in mano.
Scusa, scusa, scusa. So che avrei dovuto parlarti di Nancie, ma ero convinta che ti saresti arrabbiato moltissimo e mi avresti detto di tutto.
Detto di tutto! Certo che lo avrebbe fatto, anche se sapeva che non sarebbe servito a nulla.
«Problemi?»
«Puoi dirlo forte.» Per la prima volta da quando aveva assunto Jake Edwards come suo segretario particolare, Adam rimpianse di non aver scelto al suo posto una delle molte donne che si erano presentate al colloquio per ottenere il lavoro. Ciascuna di loro, infatti, in quel momento si sarebbe occupata con entusiasmo della bambina permettendogli di continuare a dirigere la sua impresa come se niente fosse accaduto. «Mia sorella è nei guai.»
«Non sapevo che avessi una sorella» osservò Jake accigliandosi.
«Si chiama Saffy e abita in Francia» gli spiegò lui.
Così credeva, almeno. Gli era bastata una telefonata per scoprire che aveva subaffittato l’appartamento che aveva affittato per lei parecchi mesi prima. Forse era con i soldi del subaffitto che viveva, visto che da quando si era trasferita a Parigi non gli aveva chiesto più nemmeno un centesimo. Non ancora.
Probabilmente era andata a vivere con il padre della bambina, di cui non gli aveva mai parlato e con il quale doveva avere nel frattempo rotto i ponti.
Le rare telefonate che gli aveva fatto negli ultimi tempi potevano provenire da qualunque parte del mondo e, dal momento che sapeva perfettamente come reagiva quando lui cercava d’intromettersi nella sua vita e che gli sembrava contenta, non le aveva mai fatto domande. In fin dei conti, era possibilissimo che, a ventinove anni compiuti, avesse finalmente messo la testa a posto. Ma adesso, leggendo il suo biglietto, capiva di essersi sbagliato.
Sono nei guai, Adam. Guai seri...
Niente di strano, fin lì. Guai era sempre stato il secondo nome di sua sorella!
La famiglia di Michel mi sta facendo cercare dalla polizia. Ha scoperto tutti i pasticci che ho combinato da adolescente, dai piccoli furti nei negozi all’uso di droghe, e li hanno usati contro