Segreto di donna (eLit): eLit
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Emilie Richards
Bevor Emilie Richards mit dem Schreiben begann, studierte sie Psychologie. In ihren preisgekrönten, spannenden Romanen zeigt sie sich als fundierte Kennerin der menschlichen Seele. Nach einem mehrjährigen Auslandsaufenthalt in Australien wohnt die erfolgreiche Autorin heute mit ihrem Mann, einem Pfarrer, in North Virginia.
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Segreto di donna (eLit) - Emilie Richards
successivo.
Prologo
Noah Colter non andava matto per Parigi. In quei sette giorni nella Ville lumière aveva percorso gli Champs Elysées e passeggiato lungo la Senna. Aveva gustato coq au vin, centellinato champagne e dormito tra fresche lenzuola di lino. Ma la magia della città non l'aveva nemmeno sfiorato.
Era venuto a Parigi per lavoro e non s'era aspettato niente di diverso. Noah collezionava città con la spassionata freddezza con cui collezionava dipinti e sculture del Rinascimento. S'era concesso ogni giorno qualche ora per osservare il mondo in versione francese ma viaggiare era un mero esercizio accademico, qualcosa grazie cui occupare il suo tempo e intelletto.
Al momento era una giovane donna a occupare l'intelletto di Noah... nonché il suo sguardo e le infide parti basse del suo corpo. Aveva trascorso l'ultima mezz'ora su una panchina del Jardin du Luxembourg, a riordinare i propri appunti. Circondato da aiuole fiorite, palme in vaso e torme di passanti che si godevano il sole mattutino, aveva ammirato a tratti lo spettacolo. L'impressione era che l'intera Parigi si fosse riversata in quell'incantevole parco. La donna non era che una delle tante ad aver rasentato la sua panchina.
Ma dall'attimo in cui l'aveva individuata, Noah non era più riuscito a staccarle gli occhi di dosso. S'era anzi soffermato a studiarla mentre avanzava tra la folla con fluida grazia. La giovane portava un semplice abitino di maglia nero che le aderiva ai fianchi e al seno, lasciando scoperta un'invitante porzione di cosce sode e bianchissime. Sia che uscisse da una sartoria di lusso o da un negozietto dell'usato, il vestito sembrava fatto apposta per lei.
La sconosciuta aveva un'andatura singolare. Si protendeva verso l'alto a ogni passo, quasi a sfiorare il cielo, e inclinava le anche in avanti, facendole ruotare con involontaria provocazione tutte le volte che si muoveva. Reduce da un lungo periodo di castità, il corpo di Noah reagiva in risposta.
Quella donna era una creatura sospesa tra mito e magia, una ninfa dei boschi gallica con rossi capelli fluenti e gambe armoniose. Lui non sapeva spiegarsi l'eccitazione che sentiva dentro. Aveva visto donne più belle a Parigi. La sera prima aveva cenato con una di esse, un incontro d'affari che si sarebbe potuto tradurre in qualcosa di più se solo Noah l'avesse voluto. Ma lui aveva colto l'insidia nel sorriso della sua partner.
Non v'era insidia nel sorriso della ninfa dei boschi. Anzi, dacché aveva catturato l'attenzione di Noah, la giovane non aveva sorriso per niente. Osservava gli altri passanti mentre procedeva spedita, ma senza incrociarne lo sguardo né salutare. Studiava ogni viso con una sistematicità tale da incuriosirlo. Lui non capiva che cosa stesse cercando ma era certo che cercasse qualcosa o qualcuno.
In circostanze normali avrebbe scrollato le spalle e si sarebbe rimesso al lavoro. Ma quel giorno, senza riflettere su ciò che stava facendo, Noah ripose gli appunti nella valigetta e s'alzò in piedi. Aveva un treno da prendere in serata e un intero pomeriggio da ingannare. Era stanco di musei e gallerie d'arte e provava entusiasmo per la prima volta in tanti giorni. Tra l'altro, seguire una donna per vedere dove fosse diretta sembrava del tutto perdonabile in una città romantica e avventurosa come Parigi...
Una volta fuori dal parco, Noah tenne il passo senza avvicinarsi troppo. Quel pedinamento sfiorava il ridicolo, e incominciava a sentirsi sciocco. S'augurò quasi di rimanere indietro ma la folla si diradò quando la ragazza svoltò in una graziosa stradina delimitata da negozi.
Noah la vide entrare in uno di essi. Non sapeva bene che cosa si fosse aspettato di scoprire. Un convegno d'amore, forse. Il saluto affettuoso di un giovane dagli occhi languidi e la barba di tre giorni. Oppure un pranzo tra amiche in uno dei tanti bistrot del quartiere universitario. Ma certo non s'era aspettato di vedere la giovane prendere un grembiule bianco dalle mani di una vecchia accigliata, legarselo intorno alla vita sottile e infilarsi dietro al bancone di una caffetteria di quart'ordine. Aveva zigomi eleganti e il portamento di una principessa. Noah non si sarebbe sorpreso di vederla in un negozio di lusso ma era sorpreso di vederla servire caffè e brioche.
Sorpreso al punto da trattenersi e continuare a studiarla...
Dall'edicola all'angolo acquistò la copia più recente di USA Today e, introducendosi nel baretto, s'accostò al bancone. La donna anziana se n'era andata adesso e la ninfa dei boschi era sola. Il francese di Noah era passabile ma non così il suo accento. Sorrise con aria di scusa prima di parlare.
«Café au lait, s'il vous plaît.»
La giovane lo guardò per un istante. Poi gli voltò le spalle e alzò il bricco del caffè. Il viso era particolare come la sua andatura. Aveva un naso lungo e affilato e labbra non troppo carnose. Le sopracciglia folte, appena più scure dei capelli, incorniciavano grandi occhi verdi. Occhi che sembrarono offuscarsi sotto lo sguardo indagatore di Noah...
Gli porse il caffè col latte caldo che schiumava oltre il bordo e sul piattino.
«Quale pasta mi consiglia?» continuò lui in francese.
«Sono buone tutte.» La ragazza parlava con l'accattivante accento parigino. La sua voce era più bassa e melodiosa di come s'era aspettato lui.
«Un croissant, allora.»
Lei non fece commenti. Si limitò a servirlo e gli disse quant'era.
Il bar era piccolo e piuttosto squallido, con quattro tavolini soltanto. Noah scelse quello d'angolo, dove avrebbe potuto aprire il giornale senza perdere di vista il bancone. Non aveva impegni particolari. Gli era piaciuto quell'inseguimento per le vie di Parigi e progettava adesso di godersi il giornale.
Nel corso degli anni era diventato studioso di psicologia e un ottimo conoscitore della natura umana, ed entrambe le cose gli erano tornate utili sul lavoro. Aveva assunto di persona ogni dirigente della Tri-C International, la società per azioni fondata dal suo bisnonno quasi un secolo prima. Noah non aveva mai avuto motivo di rimpiangere le proprie decisioni. Si divertiva a immaginare la vita degli altri, le loro speranze e paure. Ma le sue osservazioni avevano tutte lo stesso esito. Apprendeva ciò che poteva. Poi passava oltre. Senza legami, senza inutili complicazioni...
Trovò la pagina sportiva e s'immerse subito nella lettura. Alzò gli occhi un'unica volta e per un attimo incrociò lo sguardo attento e un po' diffidente della ragazza.
Qualche tempo dopo ripiegò il giornale e sorbì l'ultimo goccio di café au lait. La sua sosta in quel bar era arrivata alla sua conclusione naturale. Adesso aveva solo poche ore da ingannare prima di prendere il treno. S'infilò il giornale sotto il braccio e cercò la ragazza un'ultima volta.
Ma non v'era nessuno dietro il bancone. Era rimasto solo nel bar.
Incuriosito, aspettò che tornasse la ninfa ma la sola persona a unirsi a lui fu un uomo robusto che entrò dalla strada. Quando non si presentò nessuno a servirlo, l'uomo si guardò intorno un paio di volte e finì poi col lasciare il caffè.
Dieci minuti dopo il bancone era ancora deserto quando ritornò la vecchia. Nel notare l'assenza della ragazza, s'infuriò all'istante. Girò intorno al banco, imprecando sommessa. Poi tirò la tenda a scacchi che separava la sala dal retrobottega. Alzandosi a sbirciare, Noah s'avvide che quest'ultima stanza era vuota ma che la porta di servizio era spalancata su un vicolo scuro. Un grembiule bianco pendeva dal pomolo della porta.
La giovane se n'era andata via. E Noah aveva ottenuto più intrattenimento di quanto non si fosse aspettato nell'incrociare un'incantevole ninfa dei boschi nel Jardin du Luxembourg...
1
Celestine St. Gervais si studiò allo specchio. I capelli erano divisi e appuntati in folte ciocche arricciolate. Le tremavano ancora le mani dopo la fuga dal bar ma ciò non le impedì di sollevare le forbici. Lunghi ciuffi di capelli color cannella caddero per terra ai suoi piedi. Lavorava in fretta e con precisione, sciogliendo una ciocca, tirandola col pettine e accorciandola di almeno venti centimetri. Poi un'altra sezione e via...
A lavoro ultimato tornò a guardarsi. I capelli erano più corti del previsto ma era stata costretta a pareggiare il risultato finale dopo essersi controllata con un secondo specchio. Ora il caschetto le arrivava al di sotto del mento. Con un sospiro tornò a spartirsi i capelli e si tagliò una corta frangetta.
Era una pettinatura molto inglese, semplice e pratica. Il taglio presentava qualche pecca ma niente cui non potesse rimediare una parrucchiera londinese. L'importante era che adesso sembrava diversa.
Ma non abbastanza.
Un'ora dopo era un'altra donna. S'era lavata via la tintura rossa che aveva usato a Parigi ed era ritornata al suo colore naturale, un castano chiaro così neutro ch'era di solito facilissimo da cambiare. Quel giorno non aveva fatto eccezione.
Anche il viso era neutro. Non aveva lineamenti degni di nota e questo l'aveva afflitta parecchio da ragazzina. Ma adesso si rallegrava del proprio aspetto anonimo. S'era depilata le sopracciglia e aveva eliminato ogni traccia di trucco. E per finire aveva sostituito le lenti verdi con quelle che conferivano ai suoi occhi azzurri una sfumatura grigiastra.
E adesso non sembrava proprio più la stessa.
Provò la sua nuova immagine. «Sì, grazie» pronunziò nell'inglese delle classi alte. «Sono qui per quell'annuncio che avete in vetrina. Mi chiamo...» Esitò. «Tina» disse infine. «Tina St. James.»
Non era certa che il nome nuovo fosse esatto. Attraversando la stanza, s'avvicinò al letto, infilò una mano sotto il materasso ed estrasse una busta di documenti. Li scorse in fretta sino a trovare ciò che cercava. «Tina St. James. Perfetto» sbottò sarcastica. «Americana.»
La foto sul passaporto di Tina St. James mostrava una Celestine molto diversa. L'unica volta in cui s'era servita di quel passaporto era stata mora e ricciuta. In quella particolare interpretazione aveva parlato anche con un forte accento di Brooklyn. Tornò a scorrere i documenti e tirò fuori altri passaporti, scegliendo quello con la foto cui rassomigliava di più adesso.
Con sua grande gioia, era un passaporto inglese. «Lesley McBain.» Nata a Stevenage, a nord di Londra, allevata da una sorella maggiore che s'era spostata di città in città dopo la morte dei genitori. Lesley McBain, ch'era povera ma orgogliosa e disposta ad accettare qualsiasi lavoro purché dignitoso.
Sì, sarebbe stata la sua copertura. Di certo avrebbe trovato qualcosa da fare a Londra finché non avesse risparmiato abbastanza per fuggire altrove. Avrebbe necessitato subito di un impiego perché non aveva accantonato gran che.
Parigi era una città carissima e l'unico lavoro ch'era riuscita a trovare era stato tutto fuorché remunerativo.
Adesso, tra l'altro, mica poteva tornare indietro e chiedere la settimana che le doveva ancora quell'arpia di Madame Duchampier!
Lasciandosi