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Magnifica ossessione: Harmony Bianca
Magnifica ossessione: Harmony Bianca
Magnifica ossessione: Harmony Bianca
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Magnifica ossessione: Harmony Bianca

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About this ebook

CONTIENE UNA NOVELLA dal titolo "L'erede al trono" di Meredith Webber.

Sono passati anni ma Brock Madison non può dimenticare gli occhi di quella ragazza. Occhi carichi di dolore e di odio... per lui! Da allora Elana Shulz è diventata la sua ossessione, e adesso è la sua nuova collega al Pronto Soccorso.



Il destino a volte gioca degli scherzi crudeli, Elana ne è convinta. Proprio quando pensava di essere riuscita a dimenticare, il passato ritorna più vivido che mai nei panni di Brock, l'uomo che ha distrutto la sua vita... e che adesso potrebbe salvarla.



E' STATO PROCLAMATO LO STATO DI EMERGENZA!

LIVELLO DI ALLERTA: Massimo.

CONSIGLI UTILI: Barricarsi in casa, possibilmente in camera da letto.
LanguageItaliano
Release dateSep 8, 2017
ISBN9788858972540
Magnifica ossessione: Harmony Bianca
Author

Laura Iding

Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.

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    Magnifica ossessione - Laura Iding

    1

    L’orologio all’ingresso del Pronto Soccorso del Trinity Medical Center segnava esattamente le quindici.

    Elana Schultz riuscì a inserire il suo tesserino magnetico nella fessura giusto in tempo. Con un sospiro di sollievo, cacciò la borsa nel suo armadietto, e si affrettò a raggiungere Stacey, la caposala, che era vicina al gruppo delle altre infermiere.

    «Elana e Raine al traumatologico» annunciò Stacey, assegnando i turni. «Suzette alle terapie d’urgenza. Emma al primo settore, Liz al secondo...»

    «Com’è andato il fine settimana?» bisbigliò Raine.

    «Tutto bene, più tardi ti racconto» disse Elana.

    «Domande?» chiese Stacey, sollevando lo sguardo dagli appunti. Silenzio. «Benissimo. Abbiamo ventisette pazienti ricoverati, altri undici in sala d’aspetto. L’ambulatorio traumatologico adesso è vuoto, l’ultimo paziente è in terapia intensiva. Giornata pesante, ma non troppo caotica. Speriamo che resti così, nel turno che inizia adesso. Chiamatemi, se serve aiuto» concluse, mettendo via l’agenda.

    Come a un segnale convenuto, il gruppo delle infermiere si disperse verso i vari incarichi.

    «Come sta zia Chloe?» domandò Raine, affiancando Elana.

    «Molto meglio. L’applicazione dello stent cardiaco non le ha dato problemi.»

    In realtà Chloe Jenkins non era una parente, ma la madre adottiva di Elana. La donna che l’aveva presa in affidamento a quindici anni, dopo una serie di brutte esperienze. Elana le doveva molto.

    «Sono contenta che adesso stia bene» sorrise Raine.

    «Anche io, sai quanto sono legata a Chloe.»

    Louisa Schultz, la madre di Elana, soffriva di esaurimento nervoso, dopo l’abbandono del marito. All’epoca, Elana aveva quindici anni. Nel tempo, era migliorata, ma la morte di Felicity, la figlia maggiore, l’aveva gettata di nuovo in uno stato di profonda prostrazione, tale da richiedere il suo ricovero permanente in una casa di cura.

    Elana le voleva bene, andava a trovarla spesso, ma ormai da nove anni, Louisa non parlava più.

    «Non sai la grande notizia» disse Raine.

    Elana prese il cercapersone del reparto dalle mani della collega del turno precedente, che aspettava con impazienza di andare via. «Quale notizia? Aumento di stipendio per tutti?»

    «Magari» rise l’amica. «Abbiamo un nuovo dottore, è arrivato mentre tu non c’eri.»

    Elana ascoltò distrattamente, mentre controllava che l’ambulatorio fosse in perfetto ordine. Preferiva un buon rapporto professionale, con i medici, privo delle smancerie che spesso manifestavano le colleghe. Molti dottori erano sposati, e se alcuni non lo erano, secondo lei doveva esserci di sicuro una ragione.

    «Ti assicuro, Elana, è forte! E single, ne sono quasi certa. Suzette ha già cercato di ottenere da lui informazioni personali.»

    I cercapersone suonarono insieme, interrompendo Raine. Elana lesse il messaggio sul display: Incidente automobilistico, donna ventitré anni ferita, sbalzata fuori dal veicolo, ossigeno sul posto, arrivo previsto due minuti.

    Sembrava il resoconto dell’incidente nel quale Felicity, sua sorella, aveva perso la vita.

    Elana agganciò il cercapersone alla cintura. Anche dopo nove anni, il ricordo di quella tragedia le stringeva il cuore. Senza padre, la madre in depressione, a quindici anni era rimasta sola, praticamente abbandonata. Un’adolescente a rischio. Chloe l’aveva presa con sé, prima che fosse troppo tardi.

    «Chissà se oggi è di turno» disse Raine.

    Si riferisce al nuovo dottore, pensò Elana. «E come fai a sapere che è single?» chiese.

    «Suzette ha parlato con lui, te l’ho detto prima. Trent’anni. È fantastico, eccezionale, te lo assicuro!»

    Che entusiasmo, pensò Elana, aprendo armadi e cassetti, per controllare se il necessario era stato rifornito, dopo il recente utilizzo.

    «Eccolo...» bisbigliò Raine.

    In quel momento le porte scorrevoli si aprirono. Due paramedici spinsero la barella con la ragazza ferita nell’incidente. Raine ed Elana presero posto ai lati.

    La rianimazione dei traumatizzati non si svolge in quell’agitazione convulsa, spesso rappresentata nei telefilm di ambiente ospedaliero. Al contrario, ciascuno ha il proprio ruolo, compiti assegnati a seconda della posizione intorno al paziente. Elana, sul lato destro, rilevò i segni vitali, per stimare le condizioni al ricovero, mentre ascoltava la relazione dei paramedici.

    «Flebo inserite, soluzione di Ringer, due litri. Sospetta frattura cervicale, membra flaccide. Collare inserito. Ossigeno con tubo endotracheale.»

    Elana collegò il monitoraggio cardiaco. Il nuovo dottore era ai piedi della barella, lei non l’aveva ancora guardato. La ragazza aveva più o meno l’età di Felicity, forse due anni di più.

    La frattura cervicale poteva paralizzarla per sempre. Felicity era morta sul colpo. Difficile dire quale fosse il destino peggiore, pensò, guardando il volto insanguinato della ragazza priva di conoscenza. Ne raccolse le prime valutazioni sullo stato generale.

    «Pressione bassa, settantasei-quaranta» annunciò, passandosi lo stetoscopio intorno al collo. «Polso rapido, centoventidue. Pupille di uguale misura, reazione lenta. Respiro roco, ma presente in entrambi i polmoni» dichiarò, alzando lo sguardo sul dottore.

    E rimase senza fiato. Brock Madison.

    Non era possibile, non era lui, si sbagliava. Non lo vedeva da anni, forse era un altro, che assomigliava molto al Brock più giovane che ricordava.

    «Dottor Madison, continuiamo con la soluzione salina?» chiese Raine in quel momento.

    «Sì, e credo che sarà necessaria una trasfusione.»

    Colta da capogiro, Elana si aggrappò al bordo della lettiga. Era proprio Brock Madison, il nuovo dottore.

    Lo stesso che guidava l’auto finita contro quella di Felicity, nove anni prima, causandone la morte.

    Elana Schultz, pensò Brock, celando la sorpresa nel rivederla. Anche lei era gli era apparsa colpita. Niente problemi personali: adesso doveva concentrarsi sulla giovane vittima dell’incidente.

    «Due sacche di sangue zero negativo» ordinò. «Dobbiamo stabilizzarla, prima di sottoporla alla Tac, per valutare l’estensione delle ferite.»

    Raine eseguì, mentre Elana rimase dov’era, continuando a sorvegliare la paziente. Brock le si avvicinò.

    «Elana, se non te la senti di continuare, trova qualcuno che ti sostituisca, per favore» mormorò.

    Lei si girò di scatto, lo sguardo così acceso che Brock arretrò di un passo. «Sto bene» rispose, con un profondo respiro. «Richiediamo analisi complete?»

    «Sì, per individuare eventuali emorragie interne.»

    Calma ammirevole, pensò Brock. Elana è in gamba. Negli anni, aveva seguito su internet gli studi della sorella minore di Felicity, sapeva che era infermiera diplomata, ma non che fosse parte del personale del Trinity. E che avesse scelto proprio di lavorare nel Pronto Soccorso, con i pazienti traumatizzati, spesso vittime di incidenti, come la sorella.

    Del resto, anche lui aveva scelto di studiare quella branca della medicina per la stessa ragione.

    Osservò Elana prelevare il sangue per le analisi, riempire le fiale per il laboratorio. Per quanto preoccupato per la respirazione della paziente, era importante conoscere i livelli di emoglobina ed ematocrito.

    «Dimmi subito i due valori, mentre controlliamo se non ci sono altre emorragie in atto.»

    Elana e Raine lavoravano bene, insieme. Fin dal suo arrivo al Trinity Medical Centre, Brock aveva notato la perfetta coesione di tutto il personale del Pronto Soccorso. Una vera squadra, compatta e in piena intesa. Non era così, nell’ospedale dove aveva lavorato fino a poco tempo prima.

    «Pressione ottantaquattro quarantadue, polso meno accelerato, centodiciassette. Facciamo progressi» annunciò Elana pochi minuti dopo.

    Brock annuì, pienamente d’accordo con la valutazione. Se la pressione arrivava almeno a novanta, poteva mandare la paziente in Radiologia per la Tac. Forse era necessario un intervento d’urgenza alla spina dorsale. D’altro canto, meglio evitare un collasso durante l’esame.

    «Risultati dell’analisi del sangue» disse Elana. «Emoglobina sette virgola otto, ematocrito ventinove.»

    «Ancora due sacche di sangue zero negativo, Raine» ordinò Brock. «E continuiamo con i fluidi. Meglio, se la pressione supera novanta. Avverto in Radiologia che si tengano pronti. Una di voi due accompagni la paziente.»

    «Vado io» si offrì Elana.

    Con un cenno, Brock acconsentì. Poi andò al telefono interno più vicino, e si accordò con il radiologo.

    Frattanto il suo sguardo indugiava su Elana. Capelli neri, lucidi, raccolti in una lunga coda di cavallo. Zigomi alti, pelle ambrata, eredità della madre di origine latinoamericana. L’adolescente alta e magra di nove anni prima, si era trasformata in una donna bellissima.

    E aveva tutte le ragioni per odiarlo.

    Sentì in gola un nodo dal sapore amaro, al riaffacciarsi del solito senso di colpa. Smise di guardare Elana, concentrandosi sul monitor collegato alla paziente. Non era quello il momento né il luogo per crogiolarsi negli errori del passato.

    «Pressione salita a novantacinque, dopo la prima trasfusione. Le diamo la seconda, anche se sembra stabilizzata? O la porto subito in Radiologia per la Tac?» chiese Elana.

    Brock annuì. Non riusciva a parlare. Elana e Raine staccarono il monitor fisso, collegando la paziente a quello portatile. E mentre Elana si allontanava spingendo la barella, Brock si chiese se non si era offerta di accompagnare la paziente solo per sfuggire alla sua presenza. Era molto probabile, accidenti. Non voleva dare altri dispiaceri a Elana, al punto di spingerla a dare le dimissioni per causa sua.

    Sciocchezze. Se aveva scelto quel lavoro, sicuramente assistere i traumatizzati le piaceva, e il Trinity era l’unico Centro Medico di ottimo livello in tutto il Wisconsin meridionale, e uno dei migliori degli Stati Uniti. Con un sospiro, Brock si passò le mani sul viso. Peccato, pensava. Se avesse saputo che Elana lavorava nella sua stessa struttura, avrebbe organizzato il loro incontro in modo diverso.

    Impossibile, pensò poi. Niente poteva rendere i loro rapporti più facili, soprattutto per lei. Il suo sguardo di rimprovero lo aveva colpito nel profondo. Non sarebbe mai tornato a Milwaukee, la sua città, se suo fratello Joel non gli avesse chiesto aiuto. Adesso, potendolo, avrebbe annullato volentieri il contratto che lo legava al Trinity per un anno.

    «Allora, dottor Madison, finora tutto bene qui al Trinity?» gli chiese Raine, mentre riordinava intorno.

    «Sicuro. Sono contento di essermi trasferito qui da Minneapolis.»

    «E noi di lavorare con lei» sorrise la ragazza.

    Carina, pensò Brock. Capelli rossi, occhi verdi, vivaci e scintillanti. Ma i segnali che Raine gli mandava lo lasciavano indifferente. Non invitava fuori nessuna, specialmente se intuiva interesse per un eventuale progetto di futuro. Intanto, gettava occhiate ansiose all’orologio. Dov’era Elana, perché non tornava?

    Dovevano parlare a quattr’occhi, allentare in qualche modo la tensione tangibile che c’era tra loro.

    Per anni, aveva desiderato cogliere la buona occasione per spiegarle bene cosa era accaduto, per riscattarsi ai suoi occhi, per quanto possibile. Magari chiederle perdono. Ma lo sguardo bruciante dei suoi grandi occhi neri diceva che Elana non glielo avrebbe mai concesso. Del resto, era convinto di non meritarlo.

    «Quanto manca alla fine della Tac?» chiese Elana, guardando ansiosa la paziente. La pressione di Jamie Edgar - era questo il nome della ragazza ferita - stava di nuovo pericolosamente scendendo.

    «Ancora dieci minuti» disse il tecnico.

    Elana aumentò il flusso della soluzione salina, per mantenere la pressione del sangue. Impegnarsi le impediva di pensare a Brock, che stava aspettando i risultati radiologici nell’ambulatorio.

    Ma che aveva fatto di male, per meritarsi tanta sfortuna? Dopo anni, dover lavorare a fianco dell’uomo che disprezzava profondamente!

    Le tornarono alla mente le parole di Chloe, che la metteva in guardia, quando la udiva scagliarsi contro Brock Madison, definirlo l’autore di un delitto. «Non dire così, signorina. La responsabilità dell’incidente non è sua, ma di tua sorella. Si è lanciata con la sua auto proprio davanti a lui. Non è colpa di Brock, se Felicity è morta.»

    Elana sentiva che in fondo Chloe aveva ragione. Felicity si era parata davanti a Brock all’improvviso, sulla superstrada in pieno traffico. Ma anche lui correva, secondo un testimone dell’incidente. Il padre di Brock era agente della Polizia Stradale, all’epoca dei fatti. E tutti, compresa Elana, avevano pensato che avesse brigato per nascondere la verità.

    Ma ormai, cosa importava? Niente avrebbe cambiato la realtà: Brock aveva ucciso Felicity.

    E da oggi, Elana doveva lavorare accanto all’assassino di sua sorella.

    La voce del tecnico la riscosse dai pensieri cupi. «Tac conclusa. Avverto che state rientrando?»

    «Sì, grazie» disse lei, racimolando un sorriso.

    La pressione di Jamie scendeva ancora. Elana allungò il passo, spingendo la lettiga più in fretta che poteva, un occhio al monitor, l’altro al percorso. Per fortuna, l’ambulatorio non era lontano da Radiologia.

    «Pressione in calo» avvertì, entrando.

    «Nuova trasfusione di sangue zero negativo» ordinò Brock. «Il neurologo è in arrivo. Il radiologo mi ha chiamato al telefono. La Tac rivela frattura e grave compressione alle vertebre cervicali. Se la operano subito, potrebbero riuscire a ridurre il danno al midollo spinale.»

    Elana gli inviò un cenno di risposta. In silenzio, preparò Jamie per l’intervento, contenta che il danno del trauma non fosse permanente. Tolse alla paziente anelli e collana, li ripose in un’apposita busta da conservare nella cassaforte dell’ospedale.

    La squadra dei chirurghi arrivò, e Jamie fu trasferita in sala operatoria. Subito dopo, Elana provò la solita fitta di delusione.

    In sostanza, le dispiaceva non seguire il decorso dei pazienti, dopo un primo contatto nel Pronto Soccorso. Per questo, stava considerando la possibilità di chiedere di lavorare anche nel reparto di terapia intensiva, e assistere i traumatizzati durante la guarigione.

    «Tutto bene, Elana?»

    Lei guardò Brock, pronta a difendersi. No, va tutto male, se ti vedo, pensò. Doveva allontanarsi da lui, il più possibile.

    «Certo» replicò, spavalda. «Scusa, devo rinnovare le dotazioni, prima che arrivi un nuovo caso.»

    «Posso farlo io» disse Raine, guardando Brock ed Elana con evidente curiosità.

    Troppo zelo, da parte della collega, pensò lei, seccata. Brock era ancora lì, ed Elana si diresse verso la stanza del personale. Inutilmente, perché Brock l’aveva seguita. Allora si girò di scatto, fissandolo.

    «Che vuoi?» lo apostrofò decisa, a braccia conserte.

    «Prima di tutto, dirti che mi dispiace. Non sapevo che tu lavorassi qui.» L’espressione sincera di Brock non ebbe il potere di calmarla. Forse aveva notato la sua sorpresa, nel riconoscerla. Ma era lei, che aveva perduto una sorella. «Mi sono trasferito qui per motivi di famiglia, non certo per farti sentire a disagio, o peggio ancora, rinnovare la tua sofferenza.»

    «Non mi importa dove lavori» ribatté Elana seccamente. «Stai alla larga da me, e io lo starò da te.»

    Brock rimase a fissarla in silenzio. Elana non si mosse. Raine aveva ragione, pensava intanto. Il nuovo dottore era davvero affascinante: capelli castani, appena più lunghi del normale, lineamenti forti, ben disegnati. Ricordava molto il giovane studente che aveva conosciuto in circostanze dolorose, ma appariva più saldo, fisicamente. Senza dubbio, poteva piacere a molte, ma non a lei.

    «D’accordo, se è questo che vuoi. Però potrebbe essere utile dedicare un po’ di tempo a esaminare a fondo gli avvenimenti che ci riguardano.»

    Cosa? Mica dirà sul serio... Che sfrontato, come se parlare di quella tragedia potesse riportare in vita Felicity! Elana strinse i pugni così forte, da sentire un dolore acuto, prodotto dalle unghie spinte nel palmo delle mani. Un dolore fisico che non rifiutava, e che in fondo non le dispiaceva.

    Lavorare insieme era necessario, d’accordo, ma per quanto la riguardava, non ci sarebbe mai stato niente di personale, tra loro due.

    «No, non credo.»

    Brock si accigliò. «Perché no?»

    «Perché non ho nessuna intenzione di ascoltare quello che vorresti dirmi.»

    E con queste parole, si allontanò in fretta, lasciandolo a guardarla andare via, muto per la sorpresa.

    2

    Completare quel turno alla presenza di Brock Madison era stata per Elana un’esperienza molto difficile, paragonabile solo al triste ricordo dell’ingresso in una famiglia che l’aveva accolta in affidamento, su richiesta dei Servizi Sociali, quando aveva solo quindici anni. Un disastro. Il primo di una lunga serie, fino all’approdo nella casa di Chloe.

    E lui voleva ragionare a fondo su quanto era successo. Ma certo! Per mettersi in pace la coscienza, no?

    Devo smetterla di rimuginare su di lui, pensò Elana. Senza riuscirvi. Anche se non era nelle immediate vicinanze, lo cercava con lo sguardo. Ovviamente per tentare di stargli lontana il più possibile.

    Comunque il suo fascino era fuori discussione; sembrava perfino eccessivo. Anche poco prima, mentre la fissava da vicino con i suoi straordinari occhi azzurri, Elana aveva quasi dimenticato quanto lo odiasse.

    Ovviamente, Brock era un po’ cambiato, con il passare degli anni. Non c’era da stupirsi. Neanche lei era la stessa adolescente arrabbiata e confusa di allora. Ma se pensava a Brock, rivedeva l’immagine dello studente incauto, che guidava come un matto, un attimo prima dello scontro con l’auto di Felicity.

    Non era giusto. Questo pensiero l’aveva tormentata per anni. Brock era uscito dall’incidente con un paio di danni minori - una clavicola rotta e qualche costola incrinata - mentre sua sorella era deceduta subito.

    Basta. Bisognava smetterla di pensare al passato. Si buttò nel lavoro con energia nuova, senza fermarsi a riprendere fiato. Nessuno doveva capire cosa pensava di Brock, e finora era sicura di aver celato bene i suoi sentimenti. Ma un attimo prima di andare via, Raine la bloccò nella stanza del personale.

    «Fuori la verità. Cosa c’è fra te e il dottor Madison?»

    «Niente» replicò Elana, impassibile.

    «Come no, e io sono la Principessa Stephanie di Monaco. Andiamo, Elana. È chiaro che vi conoscevate da prima. Intanto, lui ti chiama per nome, e nessuno vi ha presentati. Poi ti ha seguito qui dentro per parlarti in privato. Eravate fidanzati, tempo fa, o cosa?»

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