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Per piacere e per vendetta: Harmony Destiny
Per piacere e per vendetta: Harmony Destiny
Per piacere e per vendetta: Harmony Destiny
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Per piacere e per vendetta: Harmony Destiny

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About this ebook

L'occasione giusta per pareggiare i conti.
Un'amnesia durata pochi mesi ha derubato l'imprenditore milionario Donovan "Van" Keane del suo passato. Ma una sola occhiata all'irresistibile bellezza di Susannah Horton basta a richiamare alla sua mente ogni provocante dettaglio del weekend che ha trascorso con lei. Van è convinto che l'affascinante ereditiera lo abbia sedotto di proposito, per soffiargli un affare importante che ora, guarda caso, sta per essere concluso dal fidanzato di lei. Così decide di vendicarsi: in un'unica notte di passione metterà sottosopra la vita di Susannah, proprio come lei ha fatto con il suo cuore. E questa volta dimenticare sarà impossibile.
La VENDETTA è un piatto che va consumato freddo. Ma quando entra in gioco la passione l'atmosfera diventa bollente.
LanguageItaliano
Release dateMar 11, 2019
ISBN9788858994726
Per piacere e per vendetta: Harmony Destiny
Author

Bronwyn Jameson

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Per piacere e per vendetta - Bronwyn Jameson

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Tycoon’s One-Night Revenge

    Silhouette Desire

    © 2008 Bronwyn Turner

    Traduzione di Giuseppe Biemmi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-472-6

    1

    Dunque, era venuta. Prima di quanto avesse previsto Donovan Keane, dato il tempo e la località estremamente fuori mano in cui sorgeva il lussuoso resort. E, notò Van con soddisfazione, era venuta sola...Ottimo.

    Un arcigno mezzo sorriso gli tese gli angoli della bocca mentre la osservava abbandonare la protezione offerta dal grande ombrello del ragazzo d’albergo per salire i gradini che conducevano alla reception. Al riparo del portico, si fermò per salutare il portiere, e qualcosa nel movimento dei suoi capelli rosso dorati e nel modo in cui alzò la mano fecero scattare un déjà vu in lui. Per una frazione di secondo, il tempo oscillò fra presente e passato, tra sogno e realtà.

    Poi, in un turbinio di lunghe gambe affusolate e con l’impermeabile firmato che svolazzava in senso opposto alla sua direzione, lei scomparve all’interno dell’edificio, lasciando Van solo e privato del suo sorriso soddisfatto.

    Battendo il pugno inguantato sul palmo della mano sinistra, lui scavò nella memoria senza risultati apprezzabili. «Grossa sorpresa» disse rivolto a un pubblico passivo fatto di tapis roulant e bilancieri.

    Aveva riconosciuto Susannah Horton nel momento stesso in cui l’aveva vista arrivare attraverso il vetro bagnato di pioggia della finestra. Ma, siccome i paparazzi che si occupavano del jet set australiano avevano un vero e proprio debole per la locale ereditiera dell’omonima catena alberghiera, l’averla riconosciuta si legava al gran numero di fotografie che aveva visionato durante le ultime settimane di intensa ricerca e non al fine settimana che aveva trascorso in sua compagnia. Spostandosi dalla finestra, Van scrollò via la morsa di frustrazione che gli attanagliava i muscoli e girò attorno al punching ball che aveva abbandonato pochi minuti prima.

    Era arrivato con un volo da San Francisco la mattina precedente, ma ventiquattrore presso il Palisades di Stranger’s Bay, il resort in Tasmania in cui si supponeva avessero trascorso quel weekend, non avevano contribuito minimamente a colmare il buco nero nella sua memoria. Diamine, era stato a un soffio dall’acquistare il posto in cui si trovava, eppure nulla gli era risultato familiare. Né il volo che lo aveva portato nella capitale di quello stato australiano, né il trasferimento successivo in elicottero in quel luogo appartato. Tanto meno la prima stupefacente visione delle villette disseminate qua e là, in cima a un promontorio roccioso a picco sull’Oceano Indiano.

    Nulla. Un pugno secco. Nada. Altro diretto al sacco. Niente di niente. Terzo pugno in rapida successione.

    Van colpì il punching ball con un’ulteriore scarica letale che, ahimè, non servì affatto a sfogare la sua frustrazione. Ciò che gli bruciava non era tanto il fine settimana dimenticato, o l’essersi visto soffiare l’acquisto dell’eccellente proprietà a favore di un gruppo australiano. Ciò che lo tormentava era il modo in cui l’aveva persa.

    Il colpo basso gli era stato assestato mentre lui si trovava privo di conoscenza in un reparto di terapia intensiva, incapace di difendersi e di combattere. Pugno al sacco. Una controfferta da KO, presentata con tempismo perfetto. Altro pugno. E tutto grazie a un’infida rossa che rispondeva al nome di Susannah Horton. Sequenza di tre pugni.

    Nonostante la velata minaccia che le aveva lasciato nella casella di posta vocale la sera prima, non si era aspettato che lei si facesse viva così presto. Nel migliore dei casi, si era aspettato una telefonata in risposta. Nel peggiore, una replica del tipo non-farti-sentire-mai-più da sua madre. Il fatto che Susannah fosse piombata lì senza alcun preavviso, né alcun seguito, suggeriva che lui aveva interpretato male i segnali.

    Era venuta perché lui aveva toccato un tasto sensibile, e non voleva perdere un solo minuto per stanarlo nella palestra d’avanguardia del resort.

    Van non l’aveva sentita entrare, ma colse con la coda dell’occhio il movimento riflesso nella grande vetrata. E un sussulto di consapevolezza gli corse lungo la spina dorsale, abbastanza forte perché il pugno successivo che assestò andasse parzialmente a vuoto, scivolando lungo il bordo del sacco da allenamento. Riprendendosi dallo shock, Van scaricò un’ultima successione di colpi fino a quando il fiato gli mancò e il personal trainer che era dentro di lui gli urlò: Basta!

    A questo punto, si sbarazzò dei guantoni e si infilò una maglietta. Prendendo al volo salvietta e bottiglietta dell’acqua, si voltò e, scansando il sacco che oscillava ancora, si avviò verso la zona della reception. Mentre camminava, bevve dalla bottiglia, mangiandosi con gli occhi la donna che si accingeva a incontrare.

    Vista da vicino Susannah Horton gli diede, metaforicamente parlando, una pugno ancora più forte di quando l’aveva vista arrivare attraverso il vetro della finestra e la pioggia battente. Lei non era la classica bomba tutta sesso. No, la sua bellezza univa a doti puramente fisiche un’indubbia classe. Era alta, slanciata e molto femminile. Delle labbra generose risaltavano sotto a un naso dritto e sottile. Aveva dei capelli di un rosso dorato e il tipo di carnagione soggetta a scottarsi al sole. Negli occhi verdi, leggermente a mandorla, le brillava una luce guardinga.

    Fino a ora, lui aveva nutrito un persistente dubbio su come avessero trascorso i giorni, e le notti, in quel fine settimana di luglio. Non ricordava un solo, dannatissimo particolare. Tutto ciò su cui poteva fare affidamento erano le affermazioni fatte da Miriam Horton, nel corso di una telefonata non proprio civilissima, e il suo istinto. Sì, di quest’ultimo si fidava. E quando il suo sguardo intercettò quello di lei, quando individuò il calore represso in quegli occhi profondi come il mare, il suo corpo rispose con un potente sussulto che spazzò via ogni esitazione.

    Oh, sì, lei era venuta a letto con lui, eccome!

    E poi lo aveva preso in giro.

    Susannah riteneva di essere pronta a quel momento. Da quando aveva ascoltato il suo messaggio nella casella vocale la sera prima, aveva avuto tutto il tempo per prepararsi. Più di una volta si era maledetta per la sua reazione impulsiva e spaventata di fronte a quella voce. Più di una volta aveva considerato di alzare i tacchi e riprendere l’aereo per tornare a casa.

    Ma che beneficio ne avrebbe avuto? Non si era certo immaginata il tono aggressivo di quel messaggio registrato, così come non aveva frainteso la minaccia insita nelle parole di lui. Forse non aveva adottato il suo abituale approccio analitico decidendo su due piedi di volare fin lì, e l’impulsività sembrava una caratteristica fissa quando si trattava di Donovan Keane, ma sapeva comunque di aver fatto sicuramente la cosa giusta.

    E dopo cinque ore di viaggio e di riflessioni, l’ansia iniziale di Susannah si era trasformata in un discreto mal di testa dovuto all’indignazione. Dopo aver ignorato per settimane le sue chiamate, a distanza di due mesi lui aveva la faccia tosta di muoverle delle minacce che assomigliavano terribilmente a un ricatto. Lei aveva moltissimi rimpianti riguardo a quel weekend e ai suoi strascichi, ma non si sentiva affatto in colpa.

    Con questa disposizione d’animo aveva fatto irruzione nella palestra del Palisades per trovare Donovan nudo dalla cintola in su, i muscoli scolpiti del torace bene in vista mentre colpiva a raffica lo sventurato sacco di pelle inerme. Tutta l’indignazione era sparita di colpo e lei si sentiva svuotata, impreparata e soprattutto soggetta all’ondata di sensazioni suscitate dal solo fatto di rivederlo.

    Quando lui si girò e quegli occhi incontrarono i suoi, l’impatto sui suoi sensi fu ancora più potente di qualsiasi diretto avesse messo a segno nella seduta di allenamento.

    Fu un po’ come la prima volta in cui si erano incontrati, la prima volta in cui era diventata il suo punto focale. E, infatti, accusò lo stesso moto di consapevolezza, provò la stessa capriola allo stomaco, avvertì la stessa dolce esplosione di calore sulla pelle.

    Di colpo, si ritrovò come rapita. In estasi. Lenta a reagire.

    Talmente lenta che lui l’aveva raggiunta prima ancora che Susannah si rendesse conto che qualcosa stonava in quel quadretto. Era troppo simile a quel primo incontro. Lui la stava studiando in silenzio, non come fosse un’amante o comunque una conoscente, ma piuttosto come un’estranea.

    Cosa stava accadendo? Non si ricordava di lei? Non era lo stesso uomo di cui si era innamorata con atipica precipitazione in quel fine settimana invernale di luglio?

    «Donovan?» chiese esitante.

    «Perché? Ti aspettavi qualcun altro?»

    La testa inclinata leggermente, lui socchiuse gli occhi in un’espressione che le era familiare quanto i suoi zigomi marcati e la pienezza del labbro inferiore. Oh, sì, questo era Donovan Keane. I capelli dal taglio cortissimo, il viso più duro e affilato che mai, l’espressione gelida come il vento polare, ma era inequivocabilmente Donovan.

    «Visto il tono del tuo messaggio, non ero certa di cosa avrei dovuto aspettarmi» replicò, sforzandosi di ritrovare un minimo di compostezza. «Anche se devo ammettere che non mi attendevo un tale esame, come se avessi difficoltà a ricordarti di me.»

    Lui aveva sollevato la salvietta che si era gettato attorno al collo per asciugarsi un filo di sudore dal volto, ma questo non nascose l’emozione che gli passò negli occhi.

    «Il mio messaggio non era chiaro?» si informò lui.

    «Francamente, no, non lo era.»

    La salvietta rimase sospesa a mezz’aria e nel modo duro in cui Donovan serrò la mascella e assottigliò le labbra, Susannah riconobbe tutti gli indizi di un tentativo di mantenere il controllo. Lui non era freddo e distaccato. Stava semplicemente lottando per nascondere la rabbia. «Quale sarebbe la parte che dovrei chiarirti?»

    Sbalordita da tanta ostilità, lei scosse il capo. «Quella per cui ce l’hai tanto con me.»

    «Puoi smettere di recitare la parte della santarellina. Sai bene di che si tratta.»

    Santarellina?

    Alla confusione di Susannah si aggiunse una punta di irritazione. «Ti posso garantire che non sto affatto recitando.»

    «Allora lascia che ti dica una cosa. Subito dopo il nostro weekend insieme, per cui oltretutto sei stata profumatamente pagata da me, la mia offerta per l’acquisto di questo resort è stata respinta.»

    «Evidentemente la tua offerta è stata superata da una migliore.»

    «Da parte del Carlisle Hotel Group, al cui vertice si trova il tuo amico intimo nonché socio in affari, Alex Carlisle.»

    Stava insinuando che c’era stata mancanza di correttezza? «L’offerta di Alex era più che legittima.»

    «Così credevo anche io. Immagina poi la mia sorpresa quando ho scoperto, una settimana fa, che lui è anche il tuo fidanzato. Di’ un po’» continuò in tono leggero Donovan, «ti ha suggerito lui di metterti a fare le moine con me per spingermi a rivelarti i particolari della mia proposta? È stato così che ha perfezionato la sua controfferta?»

    «Questo non ha senso» replicò lei, vedendo sgretolarsi la sua compostezza da quell’accusa offensiva. «I tuoi ricordi di quel weekend sembrano veramente lacunosi.»

    Un muscolo nella guancia gli si contrasse, ma lui rispose con lo stesso tono ingannevolmente calmo. «Forse allora potresti rinfrescarmi la memoria.»

    «Sei stato tu che mi hai assunta. Tu che hai dovuto ricorrere alle lusinghe per convincermi a cambiare i miei programmi in modo da poter accettare l’incarico. Ti avevo avvertito che avrebbe potuto esserci un conflitto di interessi con mia madre a causa della sua significativa quota di partecipazione nelle azioni del Palisades, ma tu hai insistito. Tu volevi me.»

    Per un lungo istante, i loro sguardi si scontrarono. L’aria tra di loro sembrò crepitare per l’animosità e per quelle ultime tre parole. Tu volevi me. Perché lui l’aveva desiderata, non c’era modo di contestare quel desiderio, ma era stato secondario rispetto alla ragione vera per cui aveva

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