Se lui fosse mio...: Harmony Destiny
By Jan Colley
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About this ebook
Il Summerhill Lodge attira una clientela molto esclusiva e Ethan Rae non fa eccezione. La stessa Lucy McKinlay, responsabile delle pubbliche relazioni all'interno del famoso hotel, non può impedirsi di ammirare l'aspetto da duro dell'affascinante miliardario, oltre alla luce misteriosa che brilla nel suo sguardo. Non sono le battute di caccia che hanno attirato l'imprenditore in quel remoto angolo di mondo, ma il bisogno di risposte da parte della moglie del suo più caro amico. Ethan è leggendario per riuscire a ottenere sempre ciò che vuole e Lucy potrebbe aiutarlo nell'intento. Il problema è che entrambi non hanno tenuto conto delle emozioni dirompenti che li sorprendono lasciandoli senza via di scampo.
Jan Colley
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Se lui fosse mio... - Jan Colley
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Trophy Wives
Silhouette Desire
© 2005 Jan Colley
Traduzione di Letizia Montanari
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-626-8
1
I tacchi alti risuonavano rapidi e decisi sulla distesa liscia del pavimento. Guardandosi attorno, si costrinse a respingere in un angolo i pensieri che la assillavano. Dov’era lui?
Chi avrebbe potuto biasimarlo se non l’avesse aspettata? Dopo tutto, aveva quasi un’ora di ritardo. Possibile che non ne facesse mai una giusta?
Eccolo. Seduto vicino al cancello degli arrivi nazionali. Esattamente dove avrebbe dovuto essere.
Lucy sostituì la propria espressione impaziente con un sorriso determinato. Ethan Rae. Il signor Ethan Rae. Si mosse svelta verso di lui attraversando la sala del piccolo aeroporto, ripetendo mentalmente le sue scuse. Signor Rae... sono così spiacente...
I tacchi aumentarono il loro ritmo sul linoleum lucido. Quel suono la accompagnò fino all’ultimo passo. Quando raggiunse la figura allungata sulla sedia, si accorse stupita di non notare alcun movimento.
Lui dormiva!
Un’ardente colata di rimorso la invase e Lucy si mordicchiò nervosa il labbro inferiore. Adesso era veramente nei guai! Già Tom l’aveva quasi spellata viva scoprendo il pasticcio che aveva combinato nella prenotazione della lussuosa monovolume che usavano per scortare i clienti dall’aeroporto alla tenuta. Quando Lucy se ne era accorta era troppo tardi per poter fare altro che andare direttamente lei stessa a prendere il signor Rae.
«Che cosa?» aveva urlato al telefono il suo fratellastro. «Ma non puoi andarlo a prendere con il fuoristrada. Avresti potuto noleggiare una macchina... una limousine, magari. Insomma qualsiasi altra cosa?»
«È tutto prenotato... Non ricordi che in città c’è una conferenza dell’APEC?»
«E la tua auto?»
Lucy fece una smorfia. «La stanno ripulendo. Ma perché non hai controllato l’orario del suo arrivo, Tom? Avevamo un patto no?»
«Be’, sì» aveva ammesso lui e Lucy si era sentita gratificata sentendo una nota di rimorso nella sua voce. «Ma ho parecchio da fare, in questo momento» aveva sospirato Tom, in cerca di comprensione.
«Non sei l’unico. E poi sai bene come sono fatta. Sei tu che devi controllare questi dettagli.» Lucy aveva tentato di ricordare il fax in cui erano elencati i particolari della prenotazione dell’uomo. «E poi, chi usa più l’orario di ventiquattro ore, in ogni caso?»
Tom aveva sospirato di nuovo. «Be’, vai in aeroporto il più in fretta che puoi. E scusati in tutte le maniere. L’aperitivo è servito alle sette e mezzo. Per quell’ora ho bisogno di te qui.»
L’oggetto della sua angoscia continuò a sonnecchiare, ignaro di tutto. Lucy sentì una fitta di emicrania incipiente pungere in mezzo alla fronte. Si erse in tutta la sua statura, stringendo tra le mani la borsetta davanti a sé mentre si chiedeva come procedere.
Bel vestito, notò, poiché era abbastanza esperta sulla questione abbigliamento. Classico, ma costoso. La giacca era sbottonata e rivelava la camicia grigio scuro che fasciava un torso snello dalle spalle poderose. L’uomo teneva incrociate le lunghe gambe alle caviglie e calzava morbide scarpe di cuoio. Le mani, ben curate, erano posate sui braccioli della sedia, le dita aperte, dando l’impressione che l’uomo fosse pronto a scattare per entrare subito in azione.
I folti capelli avevano la stessa sfumatura del cioccolato amaro, con appena una spruzzata di grigio sulle basette. Lucy pensò che, se li avesse fatti crescere, sarebbero stati ondulati. La pelle era liscia e abbronzata, una traccia di ombreggiatura scura della barba sulla mascella.
Immaginò che dovesse avere poco più di trent’anni, più giovane di quanto si fosse aspettata. Solo coloro che erano molto ricchi potevano permettersi di soggiornare a Summerhill, la tenuta di famiglia di Lucy, per godere dell’esclusivo trattamento che includeva battute di caccia, trekking e viaggi guidati. Di solito coloro che erano veramente ricchi erano anche più vecchi... e accompagnati.
Un caldo fremito interessato vibrò in Lucy. Forse la sua giornata, dopo tutto, si sarebbe conclusa meglio di quanto fosse iniziata.
Le palpebre dell’uomo si mossero. Lucy tornò a drizzarsi, traendo un profondo respiro. Era arrivato il momento delle scuse. Nella mente scattò il meccanismo adeguato che la indusse a rivolgere all’uomo il suo più bel sorriso professionale. Si schiarì leggermente la gola. «Signor Rae? Ethan Rae?»
Lo vide socchiudere gli occhi. La bocca si torse in una smorfia che poi si addolcì. Le dita della mano sinistra si piegarono e poi si arcuarono sul bracciolo della sedia. Quando tornò a guardarlo in viso, Lucy si accorse che l’uomo aveva aperto gli occhi, ma che, a causa della posizione reclinata, stava guardando a terra. Lucy attese.
E attese ancora. Lui sembrava stesse effettuando un attento esame dei suoi piedi dalle unghie smaltate, calzati in sandali color turchese, poi delle gambe e infine dell’orlo della maglietta verde mare che scendeva poco sotto il punto vita dei pantaloni di seta. In effetti la stava studiando con attenzione. Senza nemmeno disturbarsi di usarle la cortesia di guardarla in faccia.
Lucy spostò leggermente il peso da un piede all’altro, mentre dalle labbra le sfuggiva un sospiro di impazienza.
Ma lui indugiò ancora, sollevando piano lo sguardo dalla vita al seno. Senza volere, Lucy tirò il bordo della sciarpa verdeazzurra mentre gli occhi di lui si attardavano sulla pelle pallida lasciata esposta dalle spalline sottili della maglietta.
Quando lo sguardo di lui arrivò finalmente al viso, Lucy si sentì arrossire come una scolaretta. Ma non per un’indignazione adolescenziale, bensì per una mescolanza di sensazioni in cui prevalevano l’imbarazzo, l’ammirazione per il bell’aspetto di lui e un brivido di compiacimento dovuto alla consapevolezza che non solo lei era gradevolmente sorpresa da quell’incontro. Con un sorriso eloquente e soddisfatto incontrò il suo sguardo.
Non che le importasse, ma l’espressione sicura dell’uomo non mostrava segni di pentimento. Gli occhi azzurri, così straordinari in quel volto abbronzato, si fissarono in quelli di lei, continuando a sottoporla a un esame non scevro di pigro apprezzamento.
Lucy sollevò il mento. «Il signor Ethan Rae?» chiese, grata che dalla voce non trasparisse traccia della sua agitazione interiore.
Sempre fissandola intensamente, lui inclinò di poco la testa. Lucy tese la mano esalando: «Lucy McKinlay. Sono venuta per accompagnarla a Summerhill».
Lui batté le palpebre, ignorando la mano tesa di lei: poi si alzò lentamente. Senza volere Lucy arretrò di un passo. La sua alta figura incombeva su di lei.
Il cuore le saltò in gola.
Ethan Rae sollevò una mano passandosela tra i capelli. Un piccolo ciuffo ribelle rimase sollevato sulla fronte, piuttosto incongruo su quel viso così severo. A Lucy piacque molto.
Ethan socchiuse gli occhi, rivolgendole uno sguardo penetrante. «Buonasera» disse con voce profonda.
Lucy sporse le labbra per contenere il sorriso invitante che stava per rivolgergli. Quell’uomo era un cliente. Flirtare con lui sarebbe stato poco professionale e molto sconveniente.
Però era tentata. Molto tentata... «Mi dispiace di essere arrivata in ritardo, signor Rae.»
Lui scoccò un’occhiata all’orologio che aveva al polso. «Un’ora di ritardo.»
Solo quattro brevi parole, ma Lucy si lasciò annegare nel profondo timbro liquido della voce di lui. «Mi dispiace» ripeté, troppo distratta per apparire contrita. «Ha bagaglio?»
Gli occhi azzurri si posarono su una borsa da viaggio dall’aspetto costoso, infilata sotto la sedia accanto alla sua.
«Viaggia leggero» commentò Lucy, allungando una mano verso la borsa.
Ethan Rae sporse il braccio, battendola in velocità e sollevò la borsa. «La porto io.»
Lucy si voltò precedendolo nell’attraversare il terminal in direzione dell’uscita, conscia dello sguardo di lui su di sé. Era l’uomo più attraente su cui avesse mai posato gli occhi e lo trovava irresistibile.
«Ha trascorso una brutta notte?» gli chiese in tono vivace, determinata a conquistarlo. L’attendeva un percorso della durata di un’ora e un quarto: non aveva alcuna intenzione di trascorrere quel tempo schiacciata da un silenzio carico di disapprovazione.
Ethan sbatté le palpebre quando l’aria fresca della sera sfiorò il suo viso. Allungò il passo per mettersi a fianco di Lucy. Inarcò le sopracciglia, ma non rispose alla domanda.
Un uomo di poche parole, pensò lei. «Quando sono arrivata, stava dormendo» disse Lucy, a mo’ di spiegazione.
«È stato un lungo volo» si decise a rispondere.
«Arriva da Sydney?»
Lui annuì. «Sì. Ma sono partito un paio di giorni fa, dall’Arabia Saudita.»
«Capisco» mormorò lei, fermandosi a pagare il pedaggio per il parcheggio. Poi si voltò e trasse un lungo respiro. «Per quanto riguarda il mezzo di trasporto...» Riluttante indicò un fuoristrada antiquato e infangato lì vicino. «Ancora una volta devo scusarmi...»
Ethan si fermò e lanciò un’occhiata incredula al veicolo mentre Lucy saliva a bordo e si chinava attraverso il sedile per aprire la portiera dalla parte del passeggero. Dopo qualche esitazione, Ethan entrò in macchina sistemando la borsa sul sedile posteriore.
Lucy infilò la chiave nel quadro, poi si voltò a guardarlo. «Vede, io avrei dovuto prenotare la sua auto. Ma ho sbagliato a calcolare l’orario.»
«Questa è la sua auto?» si informò lui, fissando il pavimento ricoperto di fango secco e foglie su cui poggiavano le sue costose calzature. Poi guardò il parabrezza polveroso. Stava per piegare il gomito sull’intelaiatura, quando ci ripensò e si chinò in avanti per osservare il bordo sporco del finestrino.
«No. La mia è... inagibile, per il momento» rispose Lucy, mentre usciva dal parcheggio. «Ci ha pensato a renderla tale l’orrendo cagnetto della signora Seymour, questo pomeriggio.» Piegò la bocca in una smorfia al ricordo della piagnucolosa donna di Auckland e del suo grottesco cagnolino che poche ore prima aveva lasciato in aeroporto, tirando poi un sospiro di sollievo. Quando guardò Ethan, si accorse che lui aveva inarcato le sopracciglia in una muta domanda. «Mettiamola così» gli disse, sorridendo maliziosa. «Se lei crede che questo sia un cattivo odore...» Lasciò la frase in sospeso.
Lui le rivolse uno sguardo eloquente.
«In ogni caso, quando ho scoperto di aver confuso l’orario, era troppo tardi per trovare un’altra auto. Altrimenti non mi sarei mai sognata di venire a prendere un cliente con questo catorcio.»
«Mi tolga una curiosità... lei va a prendere tutti i clienti vestita in questo modo?» le domandò a bruciapelo, con un tono che era tutt’altro che sonnacchioso.
«Questa sera abbiamo organizzato un cocktail per un VIP. Tutti gli altri ospiti sono invitati a partecipare.» Gli rivolse uno sguardo allettante. «Se non è troppo stanco.»
Gli occhi di Ethan si posarono ardenti su di lei. «Di colpo mi sento sveglissimo» le assicurò in tono enigmatico.
Lucy arrossì di piacere, poi si costrinse a concentrarsi sulla