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L arte nel sangue: un nuovo caso per Sherlock Holmes
L arte nel sangue: un nuovo caso per Sherlock Holmes
L arte nel sangue: un nuovo caso per Sherlock Holmes
Ebook275 pages3 hours

L arte nel sangue: un nuovo caso per Sherlock Holmes

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About this ebook

Londra, in un nevoso dicembre del 1888. Dopo la disastrosa indagine sullo Squartatore, il trentaquattrenne Sherlock Holmes è caduto in un profondo stato di prostrazione dal quale nemmeno Watson riesce a svegliarlo. Finché non arriva da Parigi una strana lettera in codice.

Mademoiselle La Victoire, una bellissima cabarettista francese, scrive che il figlio illegittimo che ha avuto da un lord inglese è scomparso, e che lei stessa è stata aggredita per strada a Montmartre.

Holmes e Watson si precipitano a Parigi e scoprono che il ragazzino scomparso è solo la punta dell'iceberg di un problema molto più grave: una preziosissima statua greca è stata rubata a Marsiglia, e in un setificio del Lancashire sono stati uccisi dei bambini. Gli indizi, in tutti e tre i casi, conducono allo stesso, intoccabile personaggio... Ma Holmes riuscirà a riprendersi in tempo per trovare il ragazzino scomparso e fermare l'ondata di omicidi, anche se per riuscirci deve essere sempre un passo avanti rispetto a un pericoloso rivale francese ed evitare le minacciose interferenze del fratello Mycroft?

Un'avventura incalzante, scritta nello stile di Sir Arthur Conan Doyle, in cui la celebre coppia è alle prese con un caso che metterà alla prova l'amicizia di Watson e spingerà al limite la fragilità e le doti della natura artistica di Sherlock Holmes.
LanguageItaliano
Release dateDec 20, 2018
ISBN9788858992203
L arte nel sangue: un nuovo caso per Sherlock Holmes

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    L arte nel sangue - Bonnie Macbird

    avventura.

    PARTE PRIMA

    DAL BUIO

    Ho la grande ambizione di morire di sfinimento anziché di noia.

    Thomas Carlyle

    1

    L’INCENDIO

    Una volta il mio caro amico Sherlock Holmes disse: «L’arte nel sangue è destinata ad assumere le forme più strane». Questo principio valeva anche per lui. Nei miei numerosi resoconti delle avventure che abbiamo vissuto insieme, ho accennato al suo talento per il violino e la recitazione, ma la sua vena artistica non si esauriva lì. Credo anzi che sia stata alla base del suo straordinario successo come primo consulente investigativo del mondo.

    Sono stato riluttante a scrivere nel dettaglio dell’inclinazione artistica di Holmes per timore di rivelare una vulnerabilità capace di metterlo in pericolo. È risaputo che sovente, in cambio dei poteri visionari, gli artisti sono afflitti da una sensibilità estrema e da una marcata mutevolezza di temperamento. Una crisi filosofica, o anche solo la noia dell’inattività, riuscivano a gettarlo in una tetraggine paralizzante da cui non sapevo come riscuoterlo.

    Fu in quello stato che trovai il mio amico alla fine del novembre 1888.

    Londra, sepolta sotto una coltre di neve, era ancora sgomenta per l’orrore della lunga serie di omicidi perpetrata da Jack lo Squartatore. In quel periodo, tuttavia, i crimini efferati erano l’ultimo dei miei pensieri. Sposato da qualche mese con Mary Morstan, assaporavo i piaceri della vita familiare, risiedendo a una certa distanza dai locali che in precedenza avevo diviso con Holmes in Baker Street.

    Una mattina, molto presto, leggevo tranquillo davanti al camino quando un fattorino trafelato mi recapitò un messaggio. Apertolo, lessi: Dottor Watson, ha dato fuoco al 221B! Venite subito! Mrs. Hudson.

    Di lì a qualche secondo salii su una vettura pubblica e mi precipitai in Baker Street. Mentre giravamo un angolo, le ruote slittarono sui cumuli di neve e il veicolo traballò pericolosamente. Bussai sul tetto. «Più veloce, per favore!» urlai.

    Imboccammo Baker Street e vidi la carrozza dei vigili del fuoco e diversi uomini che lasciavano l’edificio. Saltai giù e corsi alla porta. «L’incendio!» gridai. «Sono tutti incolumi?»

    Un giovane pompiere alzò lo sguardo su di me, con gli occhi arrossati sul volto annerito dal fumo. «Abbiamo domato le fiamme. La padrona di casa sta bene. Il signore, non saprei.»

    Il comandante lo spinse via e prese il suo posto. «Conoscete l’uomo che vive qui?»

    «Sì, altroché. Sono un amico.» Ricevetti un’occhiata diffidente. «E il suo medico.»

    «Allora entrate e prendetevi cura di lui. Qualcosa non va, ma non è conseguenza del rogo.»

    Grazie al cielo, se non altro Holmes era vivo. Mi aprii un varco e raggiunsi l’ingresso, dove trovai Mrs. Hudson che si torceva le mani. Non avevo mai veduto quella cara donna così angosciata. «Dottore! Oh, dottore!» esclamò. «Per fortuna siete arrivato. Gli ultimi giorni sono stati terribili, e ora questo!» I suoi occhi azzurri erano colmi di lacrime.

    «Sta bene?»

    «È uscito indenne dall’incendio. Ma vi è qualcosa, qualcosa di spaventoso... da quando è stato in prigione! È pieno di lividi. Non parla, non mangia.»

    «In prigione? Come sarebbe a dire? No, me lo spiegherete più tardi.»

    Salii di corsa i diciassette gradini fino alla porta del nostro alloggio e mi fermai. Bussai forte. Non rispose nessuno.

    «Entrate pure!» mi esortò Mrs. Hudson. «Entrate!»

    Spalancai l’uscio.

    Mi investì una raffica di aria fredda e fumosa. Dentro quella stanza familiare, i rumori delle carrozze e dei passi erano attutiti dalla neve appena caduta. In un angolo vi era un cestino della carta straccia, capovolto, annerito e bagnato, con fogli carbonizzati sparsi sul pavimento e un frammento di tenda bruciacchiato e fradicio.

    Poi lo vidi.

    Spettinato e pallido per la mancanza di riposo e nutrimento, sembrava, se devo essere sincero, in punto di morte. Era steso sul divano, scosso dai brividi e avvolto in una logora vestaglia viola. Aveva una vecchia coperta rossa aggrovigliata intorno ai piedi e la sollevò con un rapido strattone per coprirsi il viso.

    Il fuoco, insieme al fumo di tabacco stantio, aveva riempito lo studio di un lezzo acre e pungente. Da una finestra aperta soffiò una folata gelida.

    Andai a chiudere i vetri, tossendo per il puzzo. Holmes non si era mosso.

    Dalla postura e dal respiro irregolare intuii subito che aveva preso qualcosa, alcol o eccitanti. Fui assalito da un’ondata di rabbia, seguita dal rimorso. Assorbito dalla felicità coniugale, non facevo visita al mio amico e non parlavo con lui da settimane. In realtà di recente mi aveva proposto di accompagnarlo a un concerto ma, oltre agli impegni sociali, avevo dovuto assistere un paziente assai malato e avevo dimenticato di rispondere.

    «Ebbene, Holmes» esordii. «Questo incendio. Spiegatemi.»

    Niente.

    «Ho saputo che siete stato incarcerato per un breve periodo. Per cosa? Perché non mi avete avvisato?»

    Ancora niente.

    «Holmes, insisto perché mi diciate cosa sta accadendo! Benché ora sia sposato, sapete che potete rivolgervi a me quando qualcosa... quando... se...» La mia voce sfumò. Silenzio. Un brutto presentimento si impadronì del sottoscritto.

    Mi tolsi il cappotto e lo appesi al solito posto, accanto al suo. Tornai da lui. «Devo sapere dell’incendio.»

    Sporse un braccio esile dalla coperta consunta e lo agitò vagamente. «Una fatalità.»

    D’impulso, gli afferrai il polso e lo tirai verso la luce. Come aveva detto Mrs. Hudson, la pelle era costellata di lividi e presentava un taglio vistoso. All’interno vi era qualcosa di più allarmante: una serie inconfondibile di fori d’ago. Cocaina.

    «Per Giove, Holmes. Lasciate che vi visiti. Che diavolo è successo in prigione? E perché vi hanno arrestato?»

    Si liberò il braccio con forza sorprendente e si rannicchiò sotto la coperta. Silenzio, poi: «Vi prego, Watson. Sto bene. Andatevene».

    Tacqui. Quella scena andava ben oltre gli occasionali attacchi di malumore cui avevo assistito in passato. Cominciavo a preoccuparmi.

    Sedutomi sulla poltrona di fronte al sofà, decisi di aspettare. Mentre l’orologio sulla mensola del camino ticchettava e i minuti si trasformavano in ore, l’apprensione crebbe. 150

    Dopo qualche tempo Mrs. Hudson ci servì dei panini, che Holmes si rifiutò anche solo di assaggiare. Allorché la signora si accinse ad asciugare l’acqua lasciata dai vigili del fuoco, le urlò di uscire.

    La seguii sul pianerottolo e chiusi la porta. «Perché è stato in carcere?»

    «Non lo so, dottore. Qualcosa che riguarda il caso di Jack lo Squartatore. L’hanno accusato di aver manomesso le prove.»

    «Perché non avete avvertito me? Oppure suo fratello?» All’epoca non sapevo granché della considerevole influenza sugli affari governativi di cui godeva Mycroft, il fratello maggiore di Holmes, tuttavia ritenevo che avrebbe potuto essere d’aiuto.

    «Mr. Holmes non ha parlato con nessuno, è semplicemente scomparso! Credo che il fratello l’abbia scoperto solo una settimana dopo. Naturalmente l’hanno rilasciato subito, ma ormai il danno era fatto.»

    Appresi assai più tardi i dettagli di quell’episodio raccapricciante e delle tribolazioni immeritate cui il mio amico era stato sottoposto. A ogni modo ho giurato di mantenere il riserbo su questo punto, e l’accaduto dovrà restare argomento dei libri di storia. Basti dire che Holmes aveva fatto luce sul caso, contrariando profondamente alcuni alti esponenti del governo.

    Ma questa è un’altra vicenda. Tornai alla mia veglia. Passarono le ore, e non riuscii a destare Holmes, a coinvolgerlo in una conversazione né a farlo mangiare. Rimase immobile, sprofondato in quella che, ne ero certo, era una pericolosa depressione.

    La mattina cedette il passo al pomeriggio. Mentre gli posavo davanti una tazza di tè, notai per caso quella che sembrava una lettera personale, accartocciata sul tavolino. Stendendo la metà inferiore senza far rumore, sbirciai la firma: Mycroft Holmes.

    La aprii e lessi. Vieni subito, diceva, la questione di C/P richiede la tua attenzione immediata. La piegai e me la infilai in tasca.

    «Holmes» dissi, «mi sono preso la libertà di...»

    «Bruciate quel biglietto» ordinò con voce stridula da sotto la coperta.

    «Vi è troppa umidità qui dentro. Chi è questo C barra P? Vostro fratello scrive...»

    «Bruciatelo, ho detto!»

    Non aggiunse altro e restò nascosto, senza muoversi. Mentre la serata volava via, decisi di aspettare che si rimettesse, se necessario fermandomi tutta la notte. Avrebbe mangiato – o sarebbe svenuto – e io sarei stato lì, in qualità di amico e di medico, a raccogliere i pezzi. Ottimi propositi, certo, ma di lì a poco mi addormentai.

    Il mattino dopo, di buon’ora, mi svegliai sotto la stessa coperta rossa che – ora la riconobbi – veniva dalle mie vecchie stanze. Mrs. Hudson torreggiava sopra di me con il vassoio del tè e una nuova lettera, rosa e oblunga, posata sul bordo.

    «Da Parigi, Mr. Holmes!» annunciò sventolandola. Nessuna reazione.

    Lanciando un’occhiata a Holmes e ai panini ancora intatti, scosse la testa e mi guardò preoccupata. «Sono già quattro giorni, dottore» sussurrò. «Fate qualcosa!» Appoggiò il vassoio lì accanto.

    La figura accovacciata sul divano la scacciò agitando il braccio scarno. «Lasciateci soli, Mrs. Hudson!» gridò. «Datemi la lettera, Watson.»

    Mrs. Hudson uscì rivolgendomi uno sguardo incoraggiante.

    Afferrai la missiva di scatto. «Prima mangiate.»

    Con espressione furibonda, il mio amico spuntò dal suo bozzolo e si mise in bocca un biscotto, guardandomi in cagnesco come un bambino stizzito.

    Annusando la lettera, fiutai un profumo insolito e delizioso: vaniglia, forse, e qualcos’altro. «Ahh» feci estasiato, ma Holmes riuscì a sfilarmi la busta dalle dita, sputando il cibo senza esitazione. La esaminò con cura, quindi la strappò, estraendo il foglio e dando una rapida scorsa.

    «Ah! Che ne pensate, Watson?» I suoi acuti occhi grigi erano annebbiati dalla stanchezza, ma illuminati dalla curiosità. Buon segno.

    Presi la pagina. Mentre la aprivo mi accorsi che Holmes guardava la teiera, indeciso. Riempii una tazza, aggiunsi un goccio di brandy e gliela porsi. «Ecco, bevete.»

    La missiva recava il timbro postale di Parigi, con la data del giorno prima. Era scritta con l’inchiostro rosa scuro, su carta pregiata. Sbirciai la grafia svolazzante.

    «È in francese.» Gliela restituii. «E sarebbe difficile da leggere anche se non lo fosse. Tenete.»

    Spazientito, riprese la lettera. «La scrittura... quasi sicuramente femminile. Il profumo... fiori, ambra e un pizzico di vaniglia. Credo sia una nuova fragranza di Guerlain, Jicky, in fase di sviluppo ma non ancora disponibile in commercio. La cantante – perché è così che si definisce – deve essere famosa o almeno godere di molta ammirazione per averne ricevuto un flacone in anticipo.»

    Si avvicinò al fuoco per avere più luce e cominciò a leggere con la teatralità che ho imparato ad apprezzare in certe occasioni e a sopportare in altre. Giacché conosceva bene il francese, non ebbe difficoltà con la traduzione.

    «Mio caro Mr. Holmes, dice, la vostra reputazione e le recenti manifestazioni di stima da parte del mio governo mi inducono a farvi questa insolita richiesta. Avrei bisogno del vostro aiuto per una questione assai personale. Sebbene faccia la cantante concertista a Parigi, e pertanto possa essere da voi considerata un membro della casta inferiore – casta, che parola bizzarra per una chanteuse vi supplico di non scartare a priori l’idea di aiutarmi. Non riesco più a leggere; l’inchiostro è troppo sbiadito!»

    Accostò il foglio al lume a gas sopra il camino. Notai che gli tremava la mano e che pareva malfermo sulle gambe. Mi misi dietro di lui per leggere da sopra la sua spalla.

    «Prosegue: Vi scrivo per una faccenda della massima urgenza, concernente un uomo importante del vostro Paese, nonché il padre di mio figlio. Qui la signorina ha tirato una riga sul nome, ma mi pare di capire che sia... Che diamine?»

    Avvicinando la pagina alla luce, aggrottò le sopracciglia, perplesso. In quell’istante si verificò un fatto bizzarro. L’inchiostro iniziò a scolorire così velocemente che me ne avvidi persino io.

    Holmes lanciò un’esclamazione e infilò subito il foglio sotto il cuscino del divano. Attendemmo qualche secondo, quindi lo recuperammo per esaminarlo di nuovo. Era completamente vuoto.

    «Perbacco» disse.

    «È una sorta di inchiostro evanescente!» Fui zittito da un’occhiata obliqua. «Il padre di suo figlio?» chiesi. «Avete decifrato il nome di questo illustre personaggio?»

    «Sì.» Rimase immobile. «Il Conte di Pellingham.»

    Ero incredulo. Pellingham era uno degli aristocratici più facoltosi di tutta l’Inghilterra, un uomo assai noto per la sua generosità e il suo immenso potere nella Camera dei Lord, per non parlare della sua virtuosa reputazione di filantropo e collezionista di preziose opere d’arte.

    Nondimeno ecco una cantante francese di cabaret che affermava di avere un legame con quell’insigne personalità.

    «Quante probabilità vi sono, Holmes, che la dichiarazione della signorina sia veritiera?»

    «Suona assurda, ma forse...» Si spostò verso un tavolo ingombro e allargò la lettera sotto una luce intensa.

    «Ma perché l’inchiostro evanescente?»

    «Non voleva che una missiva con il nome di questo signore finisse nelle mani sbagliate. Si mormora che il conte sia assai potente, eppure sono incline a credere che la mittente non ci abbia detto tutto...»

    Esaminò il messaggio con la lente d’ingrandimento. «Curiosi, questi graffi!» Annusò la pagina. «Accidenti a questo profumo! Ma avverto un leggerissimo odore di... aspettate!» Frugò tra alcuni flaconi di vetro. Con una serie di colpetti applicò delle goccioline alla carta, borbottando per tutto il tempo. «Deve esserci dell’altro.»

    Sapevo che era meglio non disturbarlo mentre lavorava, sicché tornai a concentrarmi sul giornale che stavo leggendo. Poco dopo, un urlo trionfante mi strappò dalle mie fantasticherie sonnacchiose.

    «Proprio come pensavo, Watson. La lettera che è scomparsa non conteneva l’intero messaggio. Ho scoperto una seconda missiva, scritta con l’inchiostro invisibile. Davvero ingegnoso... un duplice uso della steganografia!»

    «Ma come...?»

    «Sul foglio vi erano piccoli graffi che non combaciavano con la grafia visibile. E un lievissimo odore di patata. La signorina ha utilizzato un secondo inchiostro che compare solo dopo l’applicazione di un reagente, in questo caso lo iodio.»

    «Holmes, non finite mai di sorprendermi. Che cosa dice?»

    «Mio caro Mr. Holmes» lesse il mio amico, «vi scrivo attanagliata dal panico e dal terrore. Non volevo che restasse in circolazione una lettera con il nome del padre di mio figlio; da qui questa precauzione. Se siete sagace come vuole la vostra fama, scoprirete il secondo messaggio. Allora avrò la certezza che siete la persona giusta cui rivolgermi.

    «Vi contatto perché il mio figlioletto Emil, di dieci anni, è scomparso dalla proprietà dell’innominabile, e temo sia stato rapito o peggio. Di recente ha vissuto con quest’uomo e sua moglie in circostanze complicate, di cui vorrei mettervi a parte di persona.

    «Posso vederlo solo una volta l’anno a Natale, quando mi reco a Londra, e devo seguire istruzioni scrupolose per incontrarlo nella massima segretezza.

    «Una settimana fa ho ricevuto una lettera con la comunicazione che l’appuntamento, fissato da qui a tre settimane, è stato annullato e che non vedrò mio figlio questo Natale né mai più. Mi si ingiungeva di rassegnarmi sotto pena di morte. Ho spedito subito un cablogramma e l’indomani sono stata avvicinata sulla strada da un manigoldo che mi ha scaraventata a terra intimandomi di stare lontana.

    «Vi è dell’altro, Mr. Holmes, ma temo che una rete misteriosa si stia stringendo intorno a me. Posso farvi visita a Londra la prossima settimana? Vi imploro in nome dell’umanità e della giustizia di assumere l’incarico. Per favore, rispondetemi con un cablogramma firmato Mr. Hugh Barrington, London Variety Producer. Distinti saluti, vostra Emmeline Chérie La Victoire.»

    Holmes tacque e rifletté. Prese una pipa, infilandosela tra i denti. I suoi lineamenti stanchi si animarono. «Che ne pensate di questa rete misteriosa, Watson?»

    «Non ne ho idea. È un’artista. Forse è un tantino incline al melodramma?»

    «Lo escluderei. La lettera dimostra intelligenza e meticolosa pianificazione.»

    Picchiettò con la pipa sul foglio con improvvisa risolutezza, guardò l’orologio e si alzò, con gli occhi che brillavano. «Siamo appena in tempo per prendere l’ultimo traghetto da Dover. Fate i bagagli, Watson; partiamo per il continente tra meno di novanta minuti.» Andò verso l’uscio chiamando: «Mrs. Hudson!».

    «Ma la signorina intende venire qui la prossima settimana» obiettai.

    «Per allora potrebbe essere morta. Questa giovane donna è così preoccupata che potrebbe non aver compreso appieno il pericolo in cui si trova. Vi spiegherò tutto strada facendo.»

    Si voltò verso la porta, urlando di nuovo in direzione dell’ingresso: «Mrs. Hudson! Le nostre valigie!».

    «Holmes» protestai. «L’avete dimenticato! Le mie valigie sono altrove! A casa mia!»

    Ma era già uscito dalla stanza e passato in camera da letto. Mi domandai se fosse stato l’ottenebramento cerebrale a fargli scordare un simile dettaglio. Il mio amico era abbastanza in forze per...?

    Saltai su dalla sedia e tolsi la coperta dal sofà. Lì, nascosti sotto un cuscino, vi erano la cocaina e una siringa ipodermica. Ebbi un tuffo al cuore.

    Holmes si materializzò sulla soglia. «Vi prego, porgete le mie scuse a Mrs. Watson e andate a prendere le vostre cose...» Si interruppe, vedendo il flacone e la siringa nella mia mano.

    «Holmes! Mi avevate assicurato di aver smesso.»

    Un’ombra di vergogna gli attraversò il volto fiero. «Temo... temo di aver bisogno di voi, Watson.» Fece una breve pausa. «Durante questo viaggio, intendo. Siete libero, per caso?»

    Le parole rimasero sospese nell’aria. La sua corporatura smilza si stagliava nel vano della porta, titubante, quasi fremente per l’emozione, o forse per la droga. Abbassai lo sguardo sull’ago tra le mie dita. Non potevo lasciarlo andare da solo in quelle condizioni.

    «Dovete promettermi, Holmes...»

    «Niente più cocaina.»

    «No, questa volta dico sul serio. Io non posso aiutarvi se prima non aiutate voi stesso.»

    Annuì.

    Riposi la siringa nell’astuccio e me la misi in tasca insieme alla droga. «Siete fortunato, allora. Domani Mary va in campagna per fare visita a sua madre.»

    Batté le mani come un bambino. «Benissimo, Watson! Il treno per Dover parte dalla Victoria Station tra tre quarti d’ora. Portate la rivoltella!» Svanì su per le scale. Indugiai.

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