Un dottore da ricordare: Harmony Bianca
By Joanna Neil
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About this ebook
Matt non riesce a credere che la donna della sua vita non si ricordi più di lui. Che l'abbia completamente cancellato dalla propria mente dopo averlo sorpreso con un'altra donna. Eppure sa che in fondo al suo cuore Saffi crede ancora nel loro amore. E lui non deve fare altro che permettere a quell'amore di tornare a galla.
Joanna Neil
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Un dottore da ricordare - Joanna Neil
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Doctor to Remember
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2014 Joanna Neil
Traduzione di Silvia Calandra
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-264-1
1
Finalmente era arrivata. Saffi si sgranchì le braccia e le gambe e, camminando sul prato, raggiunse il parapetto sulla scogliera da cui si godeva la vista della baia. Dopo il lungo viaggio in pullman, era bello poter respirare di nuovo l’aria fresca.
I pescatori lungo il molo sistemavano le nasse per la pesca delle aragoste e distendevano con cura le reti; e i variopinti battelli turistici e i pescherecci galleggiavano leggeri, beccheggiando nelle acque del porto. I gabbiani volavano alti, richiamandosi l’un l’altro con le loro grida e planando di tanto in tanto sulla superficie dell’acqua per poi immergersi in cerca di qualche bocconcino.
In lontananza si distinguevano alle spalle della costa, immersi nella vegetazione, una manciata di cottage bianchi da cui partivano tortuosi sentieri che scendevano al porto. Quel piccolo angolo di Devon era un paesaggio idilliaco. Tranquillo. Perfetto.
Se solo avesse potuto assorbire un po’ di quella serenità. In fondo, era lì proprio per quel motivo, per ritrovare un po’ di serenità, la sicurezza e la tranquillità che aveva creduto facessero parte della sua vita.
Un lieve brivido di paura la percorse. Stava facendo la cosa giusta? Come faceva a sapere cosa l’aspettava? Aveva commesso un enorme errore venendo lì?
Inspirò profondamente riempiendosi i polmoni di aria marina e poi espirò lentamente, cercando di calmarsi. Aveva trascorso gli ultimi anni nell’Hampshire ma, le avevano assicurato, quel luogo le sarebbe stato familiare. E, in effetti, in un certo senso lo era, considerati gli strani frammenti di ricordi che le attraversavano velocemente la testa per poi dissolversi nella nebbia con la stessa velocità con cui erano comparsi.
«Forse è proprio ciò che ti ci vuole» aveva convenuto il suo avvocato, controllando i documenti appena firmati e posandoli in un angolo sulla scrivania. «Ti farà bene tornare nei luoghi della tua infanzia.»
«Sì, forse hai ragione.»
Si sollevò una tiepida brezza che le mosse i capelli biondo oro e quando si voltò verso il sole sentì i raggi accarezzarle le braccia nude. Forse quel calore sarebbe riuscito ad attenuare il gelo che negli ultimi mesi si era impossessato del suo cuore.
Un gabbiano solitario beccava sull’erba con aria distratta, in cerca di qualcosa da mangiare tra le festuche rosse e le licnidi bianche. La guardava, un po’ diffidente, un po’ speranzoso.
Lei sorrise. «Mi dispiace. Non ho niente da darti. A dire il vero, anch’io non mangio da stamattina.» Le pareva fosse trascorso un secolo da quando aveva fatto colazione, ma aveva pensato molto e tutto il resto, perfino il cibo, le era uscito di mente.
«Grazie per avermelo ricordato» bisbigliò all’uccello. «Andrò a mangiare qualcosa. Se torni da queste parti un altro giorno, magari avrò qualcosa da darti.»
Tutt’a un tratto si sentì più allegra. Era stato difficile decidere di trasferirsi, ma ormai era fatta. La decisione era presa e forse sarebbe stato davvero un nuovo inizio.
Si spostò dalla ringhiera e si guardò intorno. Il suo avvocato le aveva fissato un appuntamento alla Seafarer Inn, che si trovava proprio sul lato opposto della strada. Era un bell’edificio la cui facciata fino al primo piano era rivestita con pannelli di mogano lucido e più su con assi tinteggiate di bianco. Alle finestre c’erano cassette di gerani rossi e surfinie ricadenti delle sfumature del rosa e del crema; e di fianco all’ingresso, sul marciapiede, vi erano delle lavagne con i menù proposti.
Mancava più di mezz’ora prima che venissero a prenderla. Aveva tutto il tempo per mangiare un boccone e riordinare le idee.
Scelse un tavolo vicino alla vetrina e andò al bar a ordinare. «Tra poco dovrebbe arrivare Mr Flynn» spiegò al titolare, un uomo cordiale e simpatico, impegnato ad asciugare i bicchieri con uno strofinaccio pulito. «Le spiace mandarlo al mio tavolo se chiede di me?»
«Tranquilla. E buon appetito.»
«Grazie.»
L’avvocato le aveva spiegato che Mr Flynn si era occupato della proprietà negli ultimi mesi. «Ti darà le chiavi e ti farà fare un giro. Credo sia un uomo di mezza età, forse un pensionato, che sarà lieto di darti una mano. Sembra molto gentile. Quando gli ho scritto e gli ho spiegato che non guidi, si è subito offerto di venire a prenderti.»
Perciò non le restava che aspettarlo. Ordinò una jacket potato al formaggio con insalata e aveva appena iniziato a mangiare quando vide un’ombra allungarsi sul suo tavolo. Appoggiò subito la forchetta e sollevò lo sguardo.
Quello era Mr Flynn? Non appariva minimamente come se l’era aspettato e in tutta risposta sentì uno strano sfarfallio allo stomaco.
Non dimostrava più di trent’anni ed era alto e piacevolmente attraente, con i lineamenti marcati e spigolosi e una massa di corti capelli corvini. Non era certo l’anziano signore che le avevano prospettato e la turbò vedere quell’uomo dall’aspetto così virile.
Anche lui la osservava attentamente, con un mezzo sorriso sulle labbra, ma con aria guardinga e circospetta.
«Saffi?»
«Sì» sorrise lei. «E tu devi essere... anche se sei diverso da come ti aspettavo... Mr Flynn?»
Lui aggrottò la fronte e la studiò con aria interrogativa. «Esatto, Matt Flynn.» La fissò con una strana espressione degli occhi e un lieve movimento della bocca. Attese qualche secondo e, vedendo che lei non replicava, parve farsi forza e riprendere. «Il tuo avvocato mi ha scritto. Mi ha detto che volevi dare un’occhiata alla tenuta Moorcroft.»
«Sì... infatti...» esitò. «Speravo di... be’... Io...» Lo guardò ancora. «Non volevo farti aspettare. Vuoi che andiamo subito?»
Lui scrollò il capo. «No... certo che no. È presto. Finisci pure il pranzo.» Sembrava perplesso, come se rimuginasse su qualcosa di cui lei però non aveva idea. Qualcosa lo preoccupava.
«In effetti» riprese dopo un paio di secondi, «ho anch’io una discreta fame. Ti dispiace se mangio qualcosa qui con te?» Sorrise, questa volta rilassato e compiaciuto. «Qui si mangia molto bene. Appena si entra si viene subito investiti da un ottimo profumo.»
«È vero» convenne, iniziando a rilassarsi e indicandogli una sedia. «Prego, accomodati.»
«Vado a ordinare e torno tra un attimo.»
Saffi annuì e lo osservò dirigersi verso il bancone. Indossava un paio di pantaloni di cotone e una maglietta aderente che metteva in evidenza le braccia muscolose e le spalle larghe, e lei si sentì percorrere da uno strano brivido. Poi sentì il cuore che iniziava a batterle forte.
Era strano rendersi conto di provare quel tipo di sentimenti. Da molto tempo ormai era come se vivesse col pilota automatico, sbandando qua e là, cercando di arrangiarsi e di vivacchiare in un labirinto di situazioni avverse. E non sapeva bene che ruolo avessero avuto gli uomini in tutto questo. Lui tornò al tavolo e si sedete davanti a lei con una mezza pinta di birra. La osservò attentamente. «Il tuo avvocato mi ha detto che stai considerando varie possibilità riguardo al Jasmine Cottage. Pensi di fermarti per un po’?» Si guardò intorno. «Non vedo bagagli.»
«Infatti. Li ho spediti. Ho pensato che sarebbe stato meglio. Sai, ho parecchia roba... Mi fermerò per un po’ in attesa di prendere una decisione... se vendere o restare.»
«Caspita.» C’era una nota di curiosità nella sua voce. «Sarebbe stato più semplice con un’auto, ma il tuo avvocato mi ha detto che l’hai venduta.»
«Be’... sì... Io...» Esitò un istante. «Sono stata coinvolta in un tamponamento e, dopo averla fatta riparare, ho deciso che non mi serviva poi a molto. Abitavo vicino all’ospedale dove lavoravo.»
Una buona scusa, considerato che non aveva voglia di spiegargli le ragioni per cui non se la sentiva più di mettersi al volante. Negli ultimi mesi era come se ogni genere di attività quotidiana fosse diventata una sfida. «Ah, capisco... o almeno credo.» La soppesò a lungo con lo sguardo. «C’è un motivo particolare per cui hai paura di guidare?»
Non aveva creduto alla sua scusa. Lei fece una smorfia. «Forse.» Sperava non le chiedesse altro.
Lui si appoggiò per un istante allo schienale mentre la cameriera portava il piatto con un’appetitosa fetta di prosciutto affumicato e patatine fritte. Lui rimase in silenzio, immerso nei pensieri, come se qualcosa lo preoccupasse, ma non appena la cameriera si allontanò, tornò a fissarla. «Lavorerai in ospedale anche qui nel Devon?» Si tagliò un boccone di carne.
Lei scrollò il capo. «Non subito. Mi sono presa un periodo di pausa.»
La infastidiva dover pronunciare ancora quelle parole e, sollevando il bicchiere con la bibita ghiacciata, si accorse che le tremava la mano. Appoggiò il bicchiere sperando che non se ne fosse accorto. «E tu... cosa fai nella vita? Il mio avvocato mi aveva detto che eri un custode di mezza età quasi in pensione.»
Una serie di emozioni contrastanti gli attraversarono il volto e Saffi lo osservò incerta. Quella domanda pareva averlo colto alla sprovvista. Inarcò le sopracciglia scure e accennò un sorriso divertito. «In realtà sono medico al Pronto Soccorso e, quando non sono di turno in ospedale, lavoro come basic doctor, soprattutto nei fine-settimana e la sera.»
Lei sbarrò lo sguardo. «Ah, capisco. Allora abbiamo qualcosa in comune. Lavoriamo entrambi nella medicina d’urgenza.»
I basic doctor erano medici dediti alle emergenze sanitarie e intervenivano in caso di urgenze e incidenti. Solitamente erano volontari e davano la propria disponibilità in base ai loro turni di lavoro. «Già.» Lui annuì e la guardò ancora con espressione più seria. Sembrava... quasi rassegnato. «Non ti ricordi proprio di me, vero?»
Saffi aprì la bocca sbalordita. «Dovrei?» Ecco perché le era parso strano. Sentì un peso sullo stomaco. Niente male come inizio. «Ci conosciamo?»
«Oh, sì» ammise lui con voce salda e lei annaspò sulla difensiva. Era ovvio che da quelle parti ci fossero persone che in passato aveva conosciuto.
«Scusa, ma è trascorso un po’ di tempo.» Sperava disperatamente con quella risposta di smorzare la figuraccia.
«Abbiamo lavorato insieme in ospedale, a Londra.»
«Oh.» Un senso di ansia la sopraffece. «Forse eravamo in reparti diversi.»
«Infatti. Io ero in traumatologia. Però mi ricordo perfettamente di te. Non avrei potuto dimenticarti.» La osservò attentamente e vide un leggero rossore risalirle il volto, incorniciato dai morbidi riccioli.