Il re del deserto: Harmony Destiny
By Olivia Gates
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About this ebook
Un matrimonio-farsa, ecco cosa salverà il regno di Kamal Aal Masood. Il giovane re non ha altra scelta: deve sposare la splendida Aliyah e, in cambio di un erede, le concederà tutto ciò che lei desidera, tranne la fiducia e l'intimità che vorrebbe condividere con lui. Per Kamal il rischio è grande, perché già una volta ha amato l'algida modella, ritrovandosi con il cuore a pezzi. Ma ora che è re di Judar non può più lasciare che i sentimenti dominino le sue azioni. Né che una donna lo tenga in pugno, decisa a sfidarlo in un'appassionata battaglia di volontà.
Olivia Gates
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Book preview
Il re del deserto - Olivia Gates
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Desert King
Silhouette Desire
© 2008 Olivia Gates
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-246-3
Prologo
Sette anni prima
«Credi che ti lasci andare via così, Kamal?»
Kamal si sentì improvvisamente pervadere da un gelo paralizzante all’impatto di quella voce, di quel tono di sfida. Di quella presenza.
Aliyah era lì, nella sua stanza. E, a giudicare dalla direzione della voce, nel suo letto.
Era entrato in agitazione non appena aveva varcato la soglia di casa, quasi avesse in qualche modo percepito la sua presenza, benché la logica gli dicesse che quello era l’unico posto in cui non avrebbe potuto tendergli un’imboscata.
Eppure, avrebbe dovuto capire che non vi erano limiti all’ostinazione di quella donna, che era diventata ormai una vera e propria persecuzione.
Continuò a tenere gli occhi bassi. Per questo non si era accorto di lei subito... Fissava distrattamente il pavimento, la mente colma di immagini di lei.
Ma non era necessario guardarla per subirne la malia. Dal primo istante in cui aveva posato lo sguardo su Aliyah, l’uomo che esercitava il suo potere su migliaia di persone, che aveva battuto industriali e magnati della finanza del doppio dei suoi anni si era trasformato in un idiota alla sua mercé, in un suo schiavo.
Ya Ullah, come diavolo aveva fatto a entrare in casa sua?
C’era bisogno di chiederselo? Doveva aver sfoderato le sue armi seduttive con gli uomini della sicurezza.
Lei lo sapeva, non c’era nulla che avrebbe potuto scatenare di più la sua rabbia.
Immagini di Aliyah che faceva la smorfiosa con altri uomini, prima di correre da lui e proclamargli il suo amore e il suo desiderio, gli assalirono la mente.
E ora era lì, a stuzzicarlo, sicura che si sarebbe alla fine arreso alla passione, calpestando la ragione, l’orgoglio.
«Lo sai che non ti posso lasciar andar via, no? Semplicemente, non posso, ya habibi.»
Lo aveva chiamato amore mio, sussurrando le dolci parole con voce infuocata e tremante. E lui cedette. La guardò, pur sapendo che non avrebbe dovuto.
Era distesa sul letto, avvolta in quel genere di lingerie concepita apposta per ridurre gli uomini in schiavi del testosterone, i capelli color mogano sparsi sulle spalle sottili, le lunghe gambe ripiegate in una posa intenzionalmente composta, per fargli venire la voglia di schiuderle, allacciarsele attorno alla schiena e affondare nel centro della sua femminilità.
Erano questi i suoi pensieri su di lei, pensieri che impallidivano di fronte alla realtà. Una realtà che lei sapeva usare bene a suo vantaggio, all’occorrenza. Come in quel momento.
Non aveva mai condiviso il suo letto, né lui quello di lei. Si erano sempre incontrati in campo neutro, avevano fatto l’amore, per meglio dire... sesso, in letti estranei a entrambi. Lei non era mai arrivata prima per preparare una scena del genere. E per quanto intense e coinvolgenti potessero essere le loro notti di passione, se n’era sempre andata. Non aveva mai dormito abbracciata a lui.
Ora le braccia di Aliyah erano tese; le mani le tremavano, scosse da emozioni troppo impetuose per poter essere camuffate o controllate dal suo fisico esile. Emozioni che lui sapeva non provava veramente.
La sua voce, quando parlò, era rotta, come se lei fosse fatta, invece, di sole emozioni. «Smettila di tormentarmi, ya habibi. Parlami. Vieni qui.»
Aih, non c’era nulla che desiderasse di più. Mandare al diavolo la logica, strapparsi i vestiti di dosso, scivolare dentro di lei per consumare la sua angoscia nella tempesta dei sensi, per placare il suo desiderio di lei e trovare finalmente pace.
Ma non avrebbe mai trovato pace. L’unica donna a cui aveva permesso di entrargli nell’anima, di dominare i suoi pensieri, di occupare le sue priorità e i suoi sogni era stata tutta un’illusione. Avrebbe dovuto imparare a convivere con quel divorante senso di perdita.
Ma che male gli avrebbe fatto un’ultima volta...
La tentazione, la debolezza stavano annientando la sua volontà. E lei se ne accorse.
«Dobbiamo parlare, Kamal, ho il diritto di sapere che cosa è successo. Me lo devi. Lo devi a entrambi. Mi rifiuto di lasciarti andare via così. Non posso smettere di amarti. E so che anche tu non puoi smettere di amare me. Lo so.»
Lo conosceva fin troppo bene, mentre lui non aveva capito nulla di lei. Non aveva capito fin da subito di che pasta fosse fatta. Ma ora lo sapeva. Meglio tardi che mai...
Sapeva ormai tutto delle perversioni che inquinavano la sua mente e il corpo e le scorrevano copiose nel sangue. L’istante in cui ne aveva avuto la prova, aveva preso una decisione. Non le avrebbe più ceduto, non avrebbe più cercato scusanti per il suo comportamento... stravagante. Era finita.
Ma lei non sembrava volersi arrendere. Lo perseguitava, lo assillava, gli faceva scenate, mostrandosi disperata per la fine della bruciante passione che li aveva infuocati per sei mesi, provando in tutti i modi e senza alcun pudore a farlo tornare sui suoi passi.
E quella sera era riuscita a metterlo con le spalle al muro.
Si chiese come facesse a sapere che la bramosia che aveva di lei era cresciuta a un livello tale da indurlo a rischiare probabilmente qualunque cosa pur di averla ancora per una volta.
Basta. Non poteva farsi prendere ancora in giro da quella donna. Non sopportava più di ascoltare le sue bugie.
Ma i suoi occhi, quegli occhi color del mare, apparentemente così sinceri, imploravano la sua pietà, imponendogli la resa.
E contro la propria volontà, lui cedette.
La sua bellezza si intensificava a mano a mano che la distanza si riduceva e l’odore della sua eccitazione gli inebriava i sensi.
Poi, mentre le labbra si avvicinavano e la trappola della resa totale stava per scattare, lo vide.
Il senso di sollievo nei suoi occhi, lo sguardo di trionfo.
Kamal si sentì come sbalzato violentemente all’indietro. Rabbia e disprezzo gli montarono dentro, lasciandolo tramortito.
Ya Ullah, era stato lì lì per cadere di nuovo nelle sue infide trame. Desiderava ancora abbandonarsi alla passione, perdersi con lei nel dolce mare del piacere.
Ma era già successo e aveva pagato cara la sua debolezza. Era giunto il momento di dire basta.
«Vuoi che ti parli?» sbottò rabbioso. «Vuoi davvero sapere che cosa è successo, che cosa c’è che non va? Ho provato a risparmiartelo, ma visto che insisti tanto, che invadi la mia casa e mi implori in maniera così patetica, te lo dirò.»
Un’espressione di sconcerto si disegnò sul volto di lei a quel tono aggressivo. «Santo cielo... Kamal, non...» farfugliò, ansimante.
«Sei arrivata a fare cose che qualunque donna con un briciolo di cervello e di dignità non avrebbe mai fatto, pur di sentirtelo dire. E io ti accontenterò. Non ti voglio più vedere perché mi dai la nausea.»
Aliyah schizzò fuori del letto, cercando freneticamente i vestiti. «Ti prego, non...»
«No, adesso mi ascolti fino in fondo, ascolti tutta la verità su di te, quella che credevi di nascondermi con quattro moine. La sgualdrina più indaffarata di Los Angeles è più onesta di donne del tuo rango, provenienti da culture conservatrici come la nostra che scivolano nel vizio non appena sperimentano un po’ di libertà. E sai qual è l’aspetto più ripugnante di tutto ciò? Per te il vizio è un piacere, non una necessità.»
Aliyah scoppiò in lacrime. «Ti prego... io... io... sme... smettila...»
Kamal l’afferrò per un braccio e la strattonò.
«Credevo avessi l’intelligenza per capire che cosa fossi per me. Un piacevole passatempo durante la mia permanenza qui a Los Angeles.»
Un violento singulto la scosse tutta. Lui frenò l’impulso di attirarla fra le sue braccia e chiederle perdono per le cattiverie che le aveva appena detto, le dita strette attorno all’esile braccio tremante, che gli inviava fremiti ardenti in tutto il corpo.
Poi il dolore lo inondò, come sangue che sgorga da una ferita aperta. Ogni parola, ogni sospiro, ogni bugia, ogni passo che lei aveva mosso verso il letto di un altro uomo. Uno dei tanti...
Mandala via... Subito.
Le lasciò il braccio, come se all’improvviso lo sentisse viscido, ripugnante. «Ora puoi andartene.»
Lei barcollò all’indietro e le lacrime che gli sgocciolarono sulla mano sembrarono corrodergli la carne.
L’angoscia, la rabbia lo stavano facendo impazzire. Era arrivata alla porta, quando, d’improvviso, gridò: «Aliyah».
Lei si voltò, come un burattino rotto tirato da un filo. Ma attraverso la devastazione, scorse la speranza. La speranza che lui potesse cederle all’ultimo secondo. O che lasciasse la porta socchiusa per un’altra incursione. Il sangue gli salì alla testa.
Marciò verso di lei, per la prima volta in vita sua non con il controllo delle proprie azioni, senza sapere come avrebbe reagito un istante dopo.
Era tutta colpa sua. Era stata lei a ridurlo in quel modo. L’aveva amata così tanto. Tanto quanto ora la odiava.
Riuscì a bloccarsi, esercitando su se stesso un atto di forza che non credeva più di possedere. Poi udì un brontolio roco. Il proprio. «E ora, per il tuo bene, non farti più vedere né sentire.»
Aliyah parve sul punto di collassare. Poi, con un singhiozzo, uscì dalla sua camera.
Dalla sua vita.
Si augurava per sempre.
1
Kamal Aal Masood sferrò un poderoso pugno contro il suo inerte avversario.
Il sacco eseguì un’ampia oscillazione verso l’esterno, prima di tornare indietro e sbattergli addosso come un furioso ariete.
Imprecando, immaginando che al posto del sacco vi fosse una delle persone che lo avevano messo in quel pasticcio, lo affrontò con foga, scaricandogli addosso una pioggia di rabbiosi pugni.
Una mezz’ora più tardi, il sacco da boxe sembrava fissarlo con un diabolico sogghigno, assolutamente intatto dopo lo sfogo, quasi a dimostrare la futilità della sua collera.
Lo bloccò all’ultimo rimbalzo, poggiò il viso contro la fredda superficie e sospirò esausto e rassegnato.
Non andava bene. Era ancora troppo arrabbiato. Non era riuscito a scaricarsi, a far