Frammenti di una notte: Harmony Destiny
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Ricordare lui e quella incredibile notte per lei significherebbe dare un senso a tutto ciò che è accaduto dal loro incontro in poi, anche se Violet sa bene che appartengono a mondi troppo diversi per poter sperare in un futuro insieme. O forse no?
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Frammenti di una notte - Andrea Laurence
successivo.
1
«Prego, si accomodi. La signorina Niarchos la sta aspettando.»
Aidan Murphy si alzò in piedi, si abbottonò la giacca e si sistemò il nodo alla cravatta.
Si sentiva strano vestito così. Un tempo, per lui era la normalità indossare giacca e cravatta. Poi, però, per una serie di circostanze aveva dovuto cambiare radicalmente lo stile di vita. Non servivano completi sartoriali e cravatte di seta per spillare birre dietro a un bancone. Anzi, i clienti del Murphy's Irish Pub lo avrebbero guardato con sospetto se si fosse presentato al locale vestito come un damerino.
Tuttavia non era il Murphy il motivo della sua presenza in quel posto, né nulla che avesse a che fare con la vita che conduceva da ormai cinque anni. Era lì per una faccenda riguardante i genitori defunti e il centro di riabilitazione per alcolisti che voleva aprire per onorare la loro memoria.
Perdere padre e madre nel giro di pochi anni lo aveva reso inaspettatamente proprietario di un pub in difficoltà nel cuore di Manhattan e di un'enorme casa nel Bronx. In qualità di ex direttore pubblicitario con una laurea in Marketing sapeva come risollevare le sorti di un locale in crisi e rimetterlo in carreggiata, tuttavia non nutriva nessun interesse per un appartamento fuori mano e decisamente troppo grande per le sue esigenze. Però non se la sentiva di separarsi dal luogo dove aveva trascorso la sua infanzia, perlomeno non ancora.
Da bravi irlandesi cattolici, i suoi genitori avevano pensato bene di comprare una casa grande per accogliere la famiglia numerosa che avevano sempre sognato di avere e che, però, non avevano mai avuto. Anche se avesse voluto, non sarebbe stato facile, ora, rivenderla. Si trovava in una zona degradata della città, dove anche il mercato degli affitti era in crisi.
La madre questo lo aveva sempre saputo, per cui gli aveva consigliato di utilizzare la proprietà per allestire un centro di accoglienza per alcolisti che avevano appena completato il trattamento medico di disintossicazione presso una struttura sanitaria. Avendo avuto un marito con problemi di dipendenza dall'alcol, sapeva quanto fosse necessario un posto del genere per aiutare chi, alla fine di un percorso di riabilitazione e cura, correva il rischio di riattaccarsi alla bottiglia dopo essere uscito dall'ospedale, così come era successo a suo padre.
Ecco perché Aidan si trovava alla Fondazione Niarchos, per quanto detestasse l'idea di farsi aiutare da chiunque, in special modo da gente con conti in banca stratosferici. Tuttavia aveva, purtroppo, bisogno di denaro, di tanto denaro, per poter realizzare il suo sogno.
A causa della gestione scellerata del pub da parte del padre, aveva infatti dovuto investire tutti i risparmi per risollevare le sorti del locale, e le sue finanze personali erano a secco. Si era pertanto recato presso una nota fondazione di Manhattan per vedere di ottenere un finanziamento.
Sempre meglio che mettersi per strada a chiedere l'elemosina.
Aprì la porta dell'ufficio con un senso di agitazione addosso e trattenne il fiato. Ora o mai più. Sperava tanto di fare colpo sulla signorina Niarchos. In fondo, un sorrisetto e qualche moina erano sempre stati la sua arma vincente con le donne. Di solito, cercava di non approfittarsene, ma in quella circostanza era deciso a sfruttare il suo fascino da rubacuori.
Era per una giusta causa.
Aidan avanzò nella stanza luminosa e rimase pietrificato quando il suo sguardo incontrò gli occhi scuri, dal taglio esotico della donna che era sparita dalla sua vita da poco più di un anno. L'idea di sedurre l'amministratore della Fondazione si disintegrò nella sua mente nell'istante in cui capì chi aveva davanti.
Violet.
Violet Niarchos, a quanto pareva... sebbene quali fossero i rispettivi cognomi non fosse stato oggetto di conversazione durante il breve periodo trascorso insieme. Se avesse saputo il suo nome completo, quantomeno sarebbe riuscito a scovarla, dopo che lei era sparita senza lasciare traccia.
Prima di riuscire ad articolare un saluto, Aidan si bloccò di fronte all'espressione assente di Violet.
Lo guardava come se fosse semplicemente una delle tante persone che si recavano presso la Fondazione a promuovere la propria causa, e non come l'uomo con cui aveva fatto l'amore appassionatamente in un bollente weekend che lui non riusciva proprio a dimenticare.
Non lo aveva riconosciuto.
Evidentemente, non era rimasta impressionata da lui come lui da lei.
«Violet?» pronunciò in tono di domanda, come per accertarsi che si stesse rivolgendo alla persona giusta. Era sicuro che si trattasse di lei, d'altra parte poteva anche darsi che la memoria lo ingannasse, dopo tutto quel tempo. La donna che gli stava davanti era addirittura più bella di come la ricordava, e non credeva ciò fosse possibile.
«Sì» rispose lei, alzandosi in piedi e girando attorno alla scrivania per salutarlo in maniera formale. Indossava una camicetta di seta color lavanda e una gonna grigio fumo, calze color carne e scarpe scure con un mezzo tacco dal modello fin troppo classico, però graziose. Una versione di Violet completamente diversa dalla donna trasgressiva che aveva conosciuto al pub quella sera.
«Non ti ricordi di me?» chiese, constatando l'ovvia realtà dei fatti. «Sono Aidan. Ci siamo conosciuti al Murphy's Pub un anno e mezzo fa.»
Il suo viso di porcellana improvvisamente si incrinò. Gli occhi a mandorla si allargarono e le labbra rosa scuro si schiusero in un'espressione di sorpresa. Sembrava che avesse messo finalmente insieme i pezzi, riconoscendolo. «Oh, mio Dio» pronunciò, coprendosi naso e bocca con le mani.
Aidan si sforzò di mantenere la calma mentre le vedeva gli occhi inondarsi di lacrime, ma dentro era un groviglio di tensione. In tutte le notti trascorse a pensare a lei, a chiedersi cosa le fosse successo, perché non si fosse presentata al loro appuntamento, quella sera, non aveva certo previsto una situazione simile. Non le aveva fatto niente... perché piangeva?
In fondo, era stata lei a sparire nel nulla, come un fantasma, tanto che in alcuni momenti aveva addirittura dubitato che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione, colpa di una mente, forse, ottenebrata dall'alcol. E in effetti, nessuna donna reale lo aveva mai preso, anima e corpo, come aveva fatto Violet.
«Aidan» sussurrò lei con voce flebile, poi una lacrima le rotolò lungo la guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora.
D'istinto, sarebbe corso ad avvolgerla in un abbraccio protettivo. Non voleva vederla piangere così. Tuttavia qualcosa nel modo in cui lei lo guardava lo bloccò.
Forse si vergognava di quello che aveva fatto con lui? D'altronde, Violet Niarchos era una donna dell'alta società di Manhattan, abituata a frequentazioni di un certo livello, e probabilmente la imbarazzava pensare di essere caduta in basso, concedendosi una focosa scappatella con il semplice gestore di un pub. Un episodio che avrebbe preferito cancellare dalla sua memoria.
«Tutto bene?» le chiese.
Le sue parole parvero strapparla improvvisamente a quello stato di prostrazione emotiva. Si asciugò frettolosamente le lacrime e si sottrasse, voltandosi, al suo sguardo, il tempo necessario per ricomporsi.
«Sì, certo» rispose, secondo lui mentendo. Quando si girò di nuovo, era sorridente. «Scusami, ma è solo che...»
Gli tese la mano per stringergliela in un saluto formale. Lui la accettò, avvertendo un familiare fremito increspargli la pelle. Dalla loro prima notte di passione, nulla era cambiato. Quella donna continuava ad avere la capacità di accendergli un fuoco dentro al minimo contatto.
La tensione che avvertì nella mano di Violet, invece, fu del tutto nuova. Sentì le dita irrigidirsi attorno alle sue, poi sottrarsi alla stretta, mentre con lo sguardo gli indicava la sedia vicina.
«Accomodati. Abbiamo tanto di cui parlare.»
Aidan prese posto di fronte a lei, dall'altro lato dell'imponente scrivania in legno di ciliegio. La sedia era più comoda di come se l'aspettasse. Tutta la stanza, in realtà, pareva più in sintonia con la personalità della donna che lui ricordava rispetto a quella che ora torceva nervosamente le dita attorno alle carte poggiate davanti a sé.
Non era il tipico ufficio asettico. Vi era un angolo relax con delle comode poltroncine colorate, le pareti erano adorne di quadri dai colori vivaci e di fotografie di posti di mare con casette bianche che spiccavano sullo sfondo di acque turchesi.
Dov'era finita la donna che aveva arredato quell'ambiente? Quella che era entrata al Murphy cercando qualcosa o qualcuno che le facesse dimenticare i suoi problemi?
«Prima di discutere della tua richiesta di sovvenzione, vorrei scusarmi con te» iniziò Violet. «Immagino che cosa tu abbia potuto pensare di me dopo che sono sparita in quel modo. Non sai quanto mi senta a disagio, ora, per questo.»
«Desidero solo sapere che cosa ti è successo» replicò Aidan, ed era la verità.
Non era la prima donna al mondo che tagliava la corda alle prime luci dell'alba, dopo una notte di sesso, però lei non si era più fatta viva al pub, né gli aveva inviato neppure un SMS. Se avesse voluto, avrebbe saputo dove trovarlo. Lui viveva praticamente al Murphy.
Erano stati bene insieme, per cui gli era sembrato strano che fosse scomparsa nel nulla, che neppure una volta le fosse venuta voglia di rivederlo. Lui, al contrario, l'avrebbe rivista altre cento volte, solo che non sapeva come rintracciarla.
«Ho avuto un incidente.» Violet increspò la fronte, visibilmente tesa. «Credo sia successo appena lasciata casa tua. Il mio taxi è finito contro un autobus e nello scontro ho battuto la testa. Mi sono svegliata in ospedale.»
Aidan era senza parole. Mai e poi mai avrebbe immaginato uno scenario del genere, ossia che non lo avesse contattato perché impossibilitata a farlo.
E così, mentre lui borbottava davanti a una scodella di cereali, lei finiva in ospedale. «E ora come ti senti? Stai bene?» le domandò, frastornato.
«Sì, sto bene» rispose con un sorriso. «Ho preso una botta in testa, per il resto solo qualche ammaccatura qua e là. Nessun danno permanente, a parte una contenuta perdita di memoria. In pratica, non ricordo nulla di ciò che è successo la settimana precedente l'incidente. L'ultima cosa che ho ricordato quando ho ripreso i sensi è che avevo lasciato l'ufficio dopo un'importante riunione, la settimana prima. Ho cercato in tutti i modi, negli ultimi mesi, di recuperare quei ricordi, nulla da fare. Non ti ho contattato semplicemente perché non mi ricordavo di te, né del tempo trascorso insieme... prima che tu entrassi nel mio ufficio e ti presentassi.»
«Mi stai dicendo che hai avuto un'amnesia?»
Violet ebbe un sussulto al modo in cui Aidan pronunciò quella parola. Non diversamente da tutti gli altri, d'altronde, come se un'amnesia fosse una di quelle cose che accadono solo nei film, e non nella vita vera.
Eppure, era ciò che le era successo. Un'intera settimana della sua esistenza era stata cancellata dal suo cervello, come se non fosse mai esistita.
I medici le avevano detto che, alla fine, avrebbe recuperato la memoria, tuttavia non sapevano stabilire come e quando. Avrebbe potuto avere dei piccoli flash distribuiti nel tempo, oppure un vago senso di déjà vu, o le sarebbe potuta ritornare all'improvviso, come un'ondata travolgente.
Si era appena verificata la terza ipotesi. Quando lui l'aveva guardata con quei suoi grandi occhi azzurri e aveva pronunciato il suo nome, le era tremata la terra sotto ai piedi.