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Un anello per restare: Harmony Collezione
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Un anello per restare: Harmony Collezione

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About this ebook

Luca Cavallari è il tipo d'uomo abituato a ottenere sempre ciò che vuole. E dopo aver scoperto di avere un figlio di cui ignorava l'esistenza è determinato a portare il bambino - e la madre! - nella sua immensa tenuta siciliana.

Convincere la dolce Annah Sinclair a fidarsi di lui non è facile - in fondo Luca è l'erede di una famiglia che sta lottando per riabilitare il proprio nome - ma ignorare la passione che è divampata fra loro lo è ancora meno. Luca sa che dovrà fare tutte le mosse giuste per far sì che Annah e suo figlio restino per sempre al suo fianco. A cominciare dalla scelta dell'anello.
LanguageItaliano
Release dateApr 20, 2020
ISBN9788830512870
Un anello per restare: Harmony Collezione

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    Un anello per restare - Angela Bissell

    successivo.

    1

    Dino Rossini si sporse in avanti sulla sedia con un ghigno malefico. «Stai commettendo un errore, Cavallari. Non è quello che tuo padre avrebbe voluto.»

    Seduto dietro la scrivania dello studio che era appartenuto al padre, Luca Cavallari rivolse un'occhiata glaciale al viso alterato di Rossini. Distogliere lo sguardo, anche solo sbattere le palpebre, sarebbe apparso un segno di debolezza e quell'uomo, come tutti i bulli, era pronto ad avventarsi su chiunque considerasse più debole di lui.

    Era il motivo per il quale Luca lo aveva appena licenziato.

    «La volontà di mio padre ha cessato di avere importanza il giorno in cui è morto» rispose. «D'ora in poi si farà a modo mio.»

    L'espressione di Rossini si fece ancora più cupa. «I vecchi metodi...»

    «Non saranno più tollerati. Pensavo di essere stato chiaro, due mesi fa.» Il capo della sicurezza di suo padre, a quanto pareva, aveva deciso di ignorare completamente il suo avvertimento. «Quello che hai fatto ieri non ha scusanti» continuò, la voce piena di disgusto.

    «Aveva cercato di derubarti» rispose l'uomo, come se questo potesse giustificare la sua brutalità.

    «Avresti dovuto chiamare la polizia.»

    Rossini scoppiò in un'aspra risata. «Non siamo a New York. Credi che un abito su misura e un taglio di capelli costoso siano sufficienti a farti ottenere rispetto?» Scosse la testa. «L'America ti ha reso debole, Cavallari. Da queste parti, quando qualcuno ti deruba e ti manca di rispetto, non si chiama la polizia. Gli si dà una lezione.»

    Luca balzò in piedi, furioso, e piantò le mani strette a pugno sul massiccio piano di mogano. «Una lezione?» sbottò. «Hai scatenato i tuoi scagnozzi contro un ragazzino di sedici anni! Ha una gamba rotta, due costole fratturate, una spalla lussata e un possibile trauma cranico.» Ricomponendosi e respingendo l'ondata di nausea che il solo ripetere quell'elenco gli aveva provocato, si sedette e disse freddamente: «Sparisci».

    «E che mi dici dei miei uomini?»

    «Possono considerarsi licenziati anche loro.»

    Rossini si alzò lentamente e un nuovo ghigno gli deformò il volto. «Non sarà facile sostituirci.»

    «L'ho già fatto.» Luca si concesse un sorriso di soddisfazione. «Ci sono due uomini dietro la porta, pronti a scortarti fuori dalla proprietà.»

    Rossini si fece paonazzo. Raggiunse la porta a grandi passi, si voltò a rivolgergli un'ultima occhiata furibonda e se ne andò.

    Luca si alzò e si avvicinò alla finestra, osservando con attenzione i due uomini dal fisico imponente che conducevano Rossini fuori dal giardino sotto il caldo sole siciliano. L'uomo salì in macchina e si allontanò sgasando e sollevando una nuvola di polvere.

    Finalmente.

    Avrebbe dovuto licenziarlo due mesi prima. Forse in un certo senso aveva ragione, per quanto gli costasse ammetterlo. Non era debole – tutt'altro – ma, dopo anni di esilio autoimposto in America, si era ritrovato impreparato per il compito che lo attendeva.

    «Signor Cavallari?»

    Voltò le spalle alla finestra e vide Victor, il fedele maggiordomo di famiglia, in piedi al centro della stanza.

    Luca tornò a sedersi alla scrivania da dietro la quale Franco Cavallari aveva governato il suo impero e la sua famiglia con lo stesso pugno di ferro. «Che c'è, Victor?» chiese rivolgendo un'occhiata impaziente alla pila di documenti che richiedevano la sua attenzione.

    «Devo mostrarle una cosa.»

    L'urgenza nella voce del maggiordomo gli fece alzare la testa di scatto. Studiò attentamente l'uomo. Come al solito non aveva un capello fuori posto, ma sulla sua fronte riluceva una patina di sudore e le nocche della mano in cui stringeva una spessa busta erano bianche.

    A quanto pareva, qualcosa era riuscito a turbare l'imperturbabile Victor. «Per l'amor del cielo, siediti, prima di cadere.»

    Victor si accasciò sulla sedia che Rossini aveva liberato poco prima. «Grazie, signore.» Prese un fazzoletto immacolato dalla tasca della giacca e si asciugò la fronte.

    Luca allungò una mano, impaziente.

    Victor esitò, aprì la bocca per richiuderla subito dopo e finalmente lasciò andare la busta.

    Luca la aprì, aspettandosi documenti di qualche tipo, invece si ritrovò a stringere tra le mani un mazzo di fotografie. Guardò la prima. Sullo sfondo di un parco assolato, l'obiettivo era chiaramente centrato su una giovane donna che indossava un paio di pantaloncini, una maglietta a maniche corte e un cappellino che nascondeva una parte del suo viso.

    «Affascinante» mormorò, guardando le morbide curve e le lunghe gambe snelle della donna.

    Victor schioccò la lingua. «Le altre foto» disse, «le guardi... Il bambino...»

    Luca sollevò la foto successiva, che raffigurava un bambino intento a giocare nel parco. Non poteva avere più di tre o quattro anni, aveva una folta massa scompigliata di capelli neri e occhi scuri dalle lunghe ciglia. Gli si rizzarono i capelli in testa.

    Era una foto di lui da bambino. Solo che non era possibile, perché la data riportata sulla fotografia risaliva solo a dieci mesi prima.

    Che diavolo...?

    Lanciò un'occhiata al maggiordomo, che aveva ricominciato a tamponarsi la fronte. «Da dove saltano fuori?»

    «Dall'appartamento di suo padre, a Roma. La signora Cavallari mi ha chiesto di far spedire qui tutte le sue cose e di organizzarle...»

    «Mia madre le ha viste?»

    «Certo che no» rispose l'uomo con aria offesa. «Le ho portate immediatamente a lei.»

    Bene. Non era molto legato alla madre, ma non voleva vederla umiliata in quel modo. Era possibile, se non probabile, che Eva Cavallari sapesse che suo marito aveva avuto un'amante, ma un figlio illegittimo? Un fratellastro per lui ed Enzo?

    Digrignò i denti. Un altro problema da risolvere e questo era, se possibile, ancora peggio delle attività illegali e del riciclaggio di denaro. Questa volta c'era di mezzo un bambino. Un bambino che un giorno avrebbe potuto legittimamente pretendere una fetta della fortuna dei Cavallari.

    Luca fece scorrere il resto delle foto, ne trovò una della donna senza cappello in testa e la sollevò per osservarla meglio.

    Bionda e bellissima. Ovviamente. Se non altro, doveva ammettere che Franco Cavallari aveva sempre avuto buon gusto, in fatto di donne. E quella nella foto era davvero stupenda. Incredibili occhi azzurri, struttura ossea delicata, pelle perfetta...

    Aggrottò la fronte.

    La conosci, gli sussurrò una voce nella sua mente.

    No. Allontanò quel pensiero assurdo. Il mondo era pieno di bellezze dagli occhi blu. Perché la sua mente doveva andare in quella direzione, dopo tutti quegli anni?

    Eppure...

    Avvicinò la foto e studiò attentamente il viso della donna. Il fotografo l'aveva colta in un momento di seria concentrazione, ma Luca si rese conto con un improvviso sobbalzo di conoscere già il suo sorriso. Conosceva l'esatta angolazione che le sue labbra avrebbero raggiunto, sapeva che i suoi occhi si sarebbero illuminati come un lago profondo colpito dalla luce del sole...

    Luca deglutì a fatica, la gola a un tratto secca. La sua risata era il suono più dolce che avesse mai sentito.

    Chiuse gli occhi e si ritrovò immediatamente catapultato in una fredda sera di febbraio, a Londra. Stava tornando verso il suo hotel, la mente sprofondata in cupi pensieri, quando aveva urtato qualcosa che era atterrato su un cumulo di neve sporca con un suono soffocato.

    Non era un qualcosa, ma un qualcuno, si era reso conto, abbassando gli occhi sulla giovane donna che aveva mandato gambe all'aria.

    Si aspettava che se la prendesse con lui, che gli urlasse di guardare dove metteva i piedi, invece lei aveva tolto il cappuccio della giacca, rivelando una massa di riccioli dorati e due incredibili occhi blu e gli aveva sorriso.

    Era rimasto a guardarla ipnotizzato per qualche istante prima di tornare in sé, aiutarla ad alzarsi e ritrovare la voce necessaria a scusarsi. Poi l'aveva condotta nel bar dell'albergo e aveva ordinato una cioccolata calda.

    Il loro incontro avrebbe dovuto concludersi lì.

    Ma la sua bellezza naturale, il suo sorriso luminoso, la sua risata cristallina... Era rimasto incantato da ogni dettaglio di lei, e la tentazione di stringerla a sé, di perdersi nella sua dolcezza fingendo almeno per una notte che il suo mondo non fosse cupo e pieno di brutture, era stata troppo forte per potervi resistere.

    Respirando affannosamente, Luca sfogliò le foto alla ricerca di un indizio, qualcosa che lo aiutasse a capire come la donna con la quale aveva trascorso una notte indimenticabile cinque anni prima fosse diventata non solo l'amante di suo padre, ma la madre del figlio illegittimo di Franco.

    Venne invaso dalla rabbia. Era proprio da suo padre, corrompere e rovinare l'unica cosa pura che avesse mai avuto.

    Ispezionò la busta e un foglio piegato a metà cadde sulla scrivania. Era la fotocopia del certificato di nascita di un certo Ethan Sinclair, presumibilmente il bambino nelle fotografie.

    Cercò immediatamente il nome della madre.

    Annah Sinclair.

    Il ricordo della sua voce melodiosa gli invase la mente.

    «Annah con la h» gli aveva detto, sorridendo sopra al bordo della tazza.

    Lui non aveva capito cosa intendesse. «Hannah?»

    Lei aveva riso scuotendo la testa e poi gli aveva fatto lo spelling.

    Luca accantonò quel ricordo e si concentrò sul documento. Il nome del padre era indicato come sconosciuto. La data di nascita del bambino era il trentuno ottobre dell'anno...

    Si immobilizzò.

    «Signor Cavallari?»

    Guardò Victor senza vederlo. Era troppo impegnato a calcolare il numero di settimane e mesi che intercorrevano tra la metà di febbraio e la fine di ottobre.

    Victor parlò di nuovo, ma l'improvviso rombo del sangue nelle sue vene coprì le parole del vecchio maggiordomo.

    Non aveva capito niente.

    Quel bambino non era il suo fratellastro. Era suo figlio.

    «Oh, non pensarci neanche» borbottò Annah, posando le cesoie e allungandosi verso il rocchetto di nastro argentato che stava rotolando sul piano di lavoro.

    Prima che riuscisse ad afferrarlo, però, il nastro scomparve oltre il limitare del bancone. Annah sbuffò, sentì il cilindro di plastica colpire il pavimento e immaginò il costoso nastro di organza che si srotolava per terra. Fantastico.

    Fece una smorfia al mazzo di tulipani viola che teneva in mano. «Mi dispiace, ragazzi. Temo dovrete aspettare ancora per un po'.» Posò i fiori e si chinò.

    Niente nastro e niente rocchetto in vista.

    Soffiandosi via una ciocca di capelli dal viso, si avviò carponi sotto il suo spazio di lavoro. Per favore, fa' che non entri nessuno, in questo momento.

    Amava i clienti ma, ora che Chloe, sua amica e proprietaria insieme a lei del piccolo negozio di fiori, era a Londra in visita a un'amica malata, Annah aveva paura di non riuscire a gestire tutto da sola.

    Infilò la mano tra due scatoloni colmi di nastri colorati e avvolse le dita intorno al rocchetto proprio mentre la campanella appesa sopra la porta del negozio suonava.

    Dannazione.

    Gettò un'occhiata da sotto il bancone, sperando di vedere la divisa del fattorino.

    No, non potevano essere le gambe di Brian. Di solito lui non indossava pantaloni su misura e scarpe di pelle dall'aspetto costoso.

    Il nuovo arrivato non era del posto, dunque. Gli uomini di Hollyfield, un paesino nel sud del Devon rurale, di solito indossavano stivali di gomma o da lavoro, non il tipo di scarpe che non sarebbero sopravvissute mezzo minuto in un campo fangoso o a qualche fiocco di neve.

    «Sarò subito da lei» urlò arretrando.

    «Non ho fretta» rispose una bassa voce maschile. Una voce dal forte accento.

    Annah si irrigidì per un secondo e, nella fretta di alzarsi, calcolò male la distanza dal piano del tavolo. La sua testa si scontrò con il solido legno con un tonfo sordo. Il dolore l'accecò. Si prese la testa tra le mani e cadde in ginocchio con un sonoro:

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