Segreto spagnolo: Harmony Bianca
By Laura Iding
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About this ebook
Miguel: Solo il cielo sa quante volte avrei voluto cercarla, in questi anni. Ma non mi sembrava mai il momento giusto e poi sapevo che qui in Spagna non sarebbe mai stata felice, proprio come mia madre... Rivedere Kat adesso, senza che me lo aspettassi, mi ha fatto capire che non l'ho mai dimenticata. E che quella notte di tanti anni fa ha avuto una conseguenza di cui ero all'oscuro. Questa notizia potrebbe cambiare completamente la mia vita.
Laura Iding
Tra le autrici piuù amate e lette dal pubblico italiano.
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Segreto spagnolo - Laura Iding
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Her Little Spanish Secret
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2012 Laura Iding
Traduzione di Claudia Cavallaro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-611-9
Prologo
Quattro anni e mezzo prima...
Kat non aveva mai visto tanto sangue, formava una pozzanghera sul pavimento e macchiava le pareti della sala operatoria. Il dottor Miguel Vasquez, insieme con altri due chirurghi, aveva fatto tutto il possibile per cercare di fermare l’emorragia, ma senza successo. La giovane paziente incinta e il figlio non ancora nato erano morti.
Dopo che il corpo della poveretta fu trasferito all’obitorio, Kat fu lasciata sola a riordinare mentre gli inservienti toglievano le macchie di sangue. Aspettò che finissero, poi si diresse allo spogliatoio del personale. Per fortuna era alla fine del turno, perché era esausta. Eppure, per quanto stanca fosse fisicamente, era anche tesa emotivamente, perché non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine raccapricciante di poco prima. Era da molto tempo che non capitava un caso simile.
Dopo essersi tolta la divisa chirurgica e aver indossato un paio di jeans sbiaditi e una maglia a maniche corte, trovò il dottor Vasquez seduto nella sala del personale con la testa fra le mani. Sembrava così sconvolto e abbattuto che lei si fermò... fu incapace di allontanarsi.
«La prego, non si torturi per quello che è successo» disse con voce bassa lasciandosi cadere sul divano accanto a lui, così vicini che le loro spalle si sfioravano. «Non ha alcuna colpa per la sua morte.»
Miguel alzò lentamente la testa e si voltò a guardarla con occhi carichi di angoscia. «Avrei dovuto chiamare prima il resto dell’équipe.»
«Li ha chiamati appena ha scoperto che l’addome era pieno di sangue e sono venuti quasi subito» lo corresse lei. «Nessuno sapeva che la donna era incinta, era troppo presto per capirlo.»
«Avrei dovuto farle una visita più accurata giù al reparto traumi» mormorò lui fra sé. «Allora lo avremmo saputo.»
«Pensa davvero che sarebbe andata diversamente? Anche se gli altri due chirurghi fossero stati convocati prima, non sarebbero comunque arrivati in tempo. Il dottor Baccus ha detto che stavano rianimando un paziente in terapia intensiva e noi dell’unità di ricerca operativa abbiamo fatto del nostro meglio.»
Lui la fissò per un lungo momento, poi sospirò. «Non posso impedirmi di pensare che avrei potuto agire diversamente. Non è certo possibile salvare tutti i pazienti, lo so, ma era così giovane. E incinta. Con lei, ho fallito.»
Lei gli appoggiò una mano sul braccio, cercando di rassicurarlo. «Se lei, che è uno dei migliori chirurghi del reparto, non è riuscito a salvare la donna né il bambino, allora era destino che andasse così.»
Lui accennò un sorriso e Kat fu contenta di essere riuscita a farlo stare un po’ meglio. Perché aveva detto la verità.
Tutti parlavano di quanto Miguel fosse bravo. Alla fine della sua borsa di ricerca, avrebbe potuto fermarsi negli Stati Uniti, ma aveva già chiarito che non era quella la sua intenzione.
Con riluttanza, lei ritirò la mano e si alzò in piedi. Ma aveva fatto soltanto due passi, quando lui la fermò.
«Katerina?»
Esitante, lei si girò, sorpresa e compiaciuta che ricordasse il suo nome. «Sì?»
«Hai programmi per stasera? In caso contrario, mi accompagneresti? Potremmo mangiare un boccone insieme.»
Kat non aveva fame, ma capì che non voleva restare solo, e all’improvviso nemmeno lei. Girava voce che Miguel non volesse relazioni, perché il suo soggiorno negli Stati Uniti era a termine, ma ignorò il campanello d’allarme in fondo alla mente. «Non ho programmi per stasera, e verrei volentieri a cena.»
«Muy bien.» Miguel si alzò e le tese la mano.
Lei la prese e sentì un formicolio lungo il braccio. Ma non si ritrasse. Restò invece al suo fianco e insieme lasciarono l’ospedale.
1
«Mettimi giù, mamma. Giù!»
«Fra poco, Tommy. Te lo prometto.» Katerina Richardson lottò contro un’ondata di stanchezza e rafforzò la stretta sul figlio. Non riuscì a immaginare tortura peggiore dell’essere bloccata in un viaggio di sedici ore con un bambino vivacissimo di quasi quattro anni. Preferì non pensare al volo di ritorno, che sarebbe stato ancora più lungo.
Se ne sarebbe preoccupata al momento. Adesso erano finalmente arrivati a Siviglia, in Spagna, e non vedeva l’ora di precipitarsi in ospedale a vedere come stava la sorellastra che era stata investita da un’auto. Le informazioni ricevute da Susan Horton, la coordinatrice del programma di studio per studenti stranieri, erano state decisamente vaghe.
«Non posso credere che quella stupida compagnia aerea abbia perso il mio bagaglio» gemette la sua migliore amica, Diana Baylor, mentre si avviavano verso la fila in attesa dei taxi. «In aprile, qui fa molto più caldo che nel Massachusetts. Sto già sudando... dubito di poter restare a lungo con gli stessi vestiti.»
Kat era dispiaciuta per l’amica, che l’aveva accompagnata soprattutto per farle un piacere, ma che cosa poteva farci? Il bagaglio di Diana era l’ultimo dei suoi pensieri. «Non preoccuparti, ti presterò qualcosa di mio e compreremo quello che ti serve.»
«Giù, mamma, giù!» insistette Tommy, dimenandosi sempre di più.
«Va bene, però mi tieni la mano» lo avvertì lei mettendolo a terra. Lo aveva lasciato girovagare mentre aspettavano di ritirare i bagagli, ma nemmeno quello aveva intaccato la sua energia. Per fortuna, in aereo aveva dormito un po’. «Resta vicino a me, Tommy.»
Il bambino la tirò verso la direzione opposta al terminale dei taxi. Grazie al cielo, la coda avanzava in fretta. Tanto il figlio era scuro, tanto lei era bionda e se avesse ricevuto cinque centesimi per ogni volta che le avevano chiesto se lo avesse adottato si sarebbe arricchita. Anche lì, attiravano sguardi incuriositi.
«No, Tommy. Da questa parte. Guarda, una macchina! Adesso facciamo un bel giro!»
Tommy salì sul taxi dopo Diana. Si stiparono tutti e tre sul sedile posteriore per il breve tragitto fino all’albergo. «Hotel Hesperia, per favore» disse al tassista.
«Hesperia? No comprendo Hesperia.» Scuotendo la testa, l’uomo si infilò nel traffico agitando la mano con impazienza. «No comprendo.»
Kat cercò di non cedere al panico e si mise a frugare nella borsa alla ricerca della conferma dell’albergo.
Gliela consegnò, perché potesse leggere il nome lui stesso. L’uomo guardò il foglio ed emise un suono di disgusto. «Es-peer-ria» disse, enfatizzando la pronuncia spagnola. «Hotel Esperia.»
Giustamente punita, lei ricordò tardivamente dai due anni di spagnolo fatti al liceo che la H era muta.
Stare in Spagna le aveva riportato alla mente il padre di Tommy, specialmente durante la sosta a Madrid. Si era brevemente trastullata con l’idea di cercarlo, ma poi si era resa conto di essere ridicola. Madrid era una città enorme e non avrebbe saputo da che parte cominciare, ammesso che lui ci fosse, cosa su cui aveva seri dubbi. Vi aveva compiuto i suoi studi, ma era probabile che si fosse trasferito altrove. «Sí. Hotel Hesperia, gracias.»
Il tassista borbottò in spagnolo qualcosa di incomprensibile e probabilmente poco lusinghiero. Kat lo ignorò.
«Vai già oggi in ospedale?» le chiese Diana sbadigliando. «Io mi farò un pisolino.»
«Dubito che Tommy dormirebbe» ricordò lei all’amica. «Comunque sì, mi recherò all’ospedale dopo che ci saremo registrate in albergo. Mi dispiace, ma dovrai tenermi tu Tommy per un po’.»
«Lo so» disse subito Diana. «Non mi dispiace affatto.» Kat sapeva che avendole pagato il viaggio e l’albergo, Diana avrebbe rispettato gli accordi.
«Accidenti, Kat, da’ un’occhiata all’architettura di quel palazzo. Non è incredibile?»
«Sì, incredibile.» Kat fece un sorriso forzato, perché Diana aveva ragione... il panorama era spettacolare. Tuttavia, l’eccitazione di essere in Europa per la prima volta nella sua vita non riusciva a farle dimenticare la ragione di quel viaggio. Le si strinse ancora di più lo stomaco all’idea di quello che avrebbe scoperto in ospedale. Susan Horton le aveva telefonato solo trentasei ore prima per informarla che la sorella minore, Juliet, era ferita gravemente alla testa e non era in condizioni di rientrare negli Stati Uniti per farsi curare.
Kat aveva organizzato immediatamente il viaggio. Lei e Juliet non erano particolarmente legate, e non solo per la differenza di età. Avevano padri diversi e, per qualche ragione, Juliet sembrava provare risentimento contro di lei. I rispettivi padri avevano abbandonato la loro madre e dopo la morte di questa per un cancro al pancreas, Kat aveva mantenuto la promessa che le aveva fatto di occuparsi di Juliet.
Dopo la morte della madre, la sorella aveva fatto cose un po’ pazze, ma per fortuna dopo il secondo anno di college si era un po’ calmata. A ventun anni aveva insistito per andare a studiare all’estero. Kat era stata costretta a fare un sacco di straordinari per pagare la retta del corso, però ce l’aveva fatta. A essere giusti, anche Juliet aveva contribuito in buona parte alle spese.
Ora Kat si sentiva in colpa per il sollievo provato il giorno in cui aveva messo la sorellina su un aereo per la Spagna.
Chissà come erano andate veramente le cose? Le era stato detto soltanto che Juliet era corsa in strada ed era stata investita da un’auto, ma non sapeva altro.
Non ci volle molto per raggiungere l’albergo, ma ebbe un altro battibecco con il tassista sul cambio fra dollaro ed euro. Appena ebbe sistemato Diana e Tommy nella camera, Kat chiese alla reception indicazioni per l’ospedale.
Riuscì a capire come andarci con la metropolitana, non molto diversa da quella a cui era abituata.
La clinica universitaria di Siviglia era più grande del previsto e le fece sperare che Juliet stesse ricevendo le cure migliori. Trovò la sorella nell’unità di terapia intensiva e si fermò di colpo vedendola collegata a un ventilatore. Le si chiuse ancora di più lo stomaco notando molti lividi scuri e piccole lacerazioni sulla sua pelle chiara.
«Mio Dio» sussurrò spostando lo sguardo dalla sorella al monitor cardiaco.
Un’infermiera, vestita di bianco dalla testa ai piedi e completa di cuffietta sui capelli scuri, entrò nella stanza alle sue spalle. Kat ricacciò le lacrime e si voltò verso l’infermiera. «Come sta? Le sue condizioni sono migliorate? Posso parlare con il medico?»
Per un momento, l’infermiera la guardò in modo assente, poi cominciò a parlare velocemente in spagnolo, e Kat non capì niente.
Le venne voglia di piangere. Cercò freneticamente nel piccolo dizionario che si era procurata nel tentativo di spiegare in spagnolo quello che voleva sapere.
«¿Dónde está el doctor? ¿Habla inglés?» riuscì a dire alla fine.
L’infermiera si girò e uscì dalla stanza.
Kat si lasciò cadere su una sedia di fianco al letto della sorella e le prese la mano. Forse la differenza di età, e le personalità completamente all’opposto, avevano impedito una vera intimità, ma Juliet era comunque sua sorella, era tutta la sua famiglia.
Doveva credere che si sarebbe salvata. Era giovane e forte, se la sarebbe cavata.
Appoggiò la testa sulla sponda del letto e chiuse gli occhi per