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In crociera con il dottore: Harmony Bianca
In crociera con il dottore: Harmony Bianca
In crociera con il dottore: Harmony Bianca
Ebook149 pages2 hours

In crociera con il dottore: Harmony Bianca

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About this ebook

Due cuori in tempesta. Un naufragio d'amore.

Quando il Principe Stefano di Asclepius scompare nel nulla dopo la loro notte d'amore, la dottoressa Kiki Fender capisce con certezza che lui non era l'uomo che le avrebbe potuto garantire il lieto fine. Anche se lei è l'unica donna che sia riuscita a superare le invalicabili barriere del suo cuore.

Adesso però sono solo due dottori che lavorano insieme a bordo di una nave da crociera. Proprio durante quei giorni carichi di magia, Stefano capisce che l'unico dovere che non ha rispettato è quello verso se stesso. Lui vuole che Kiki diventi la sua principessa e desidera dimostrarle di essere ancora il suo Principe, nonostante tutto.
LanguageItaliano
Release dateFeb 11, 2019
ISBN9788858993613
In crociera con il dottore: Harmony Bianca
Author

Fiona McArthur

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    In crociera con il dottore - Fiona McArthur

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Prince Who Charmed Her

    Harlequin Mills & Boon Medical Romance

    © 2013 Fiona McArthur

    Traduzione di Nicoletta Ingravalle

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-361-3

    1

    La dottoressa Kiki Fender guardò oltre la distesa blu del Mediterraneo alle casette affacciate sulle coste dell’Italia, come una schiera di pastelli, e respirò a pieni polmoni l’aria di quella splendida giornata.

    Non l’aveva mai fatto da quando aveva messo piede sulla nave, ma ascoltando le esclamazioni di meraviglia dei passeggeri appena imbarcati, le venne più facile.

    Le prime ore di navigazione lungo le coste italiane erano le sue preferite. Ma il dovere chiamava, e lei si avviò verso l’ospedale, scostandosi i capelli dal viso. Quattro mesi su una nave le avevano ridato uno scopo, e ne era grata. Le si spense il sorriso quando si ricordò che mancavano solo cinque giorni a quella data che voleva tanto lasciarsi alle spalle, e poi tutto sarebbe diventato più semplice.

    Nel livello inferiore, Stefano Philippous Augusto Mykonides, principe di Asclepius, cercò di non pensare al peggio mentre faceva assumere alla moglie di suo fratello, priva di sensi, la posizione laterale di sicurezza. Con infinito sollievo, notò che le labbra stavano piano piano riprendendo colore, mentre le si liberavano le vie respiratorie.

    Aveva sperato che per una settimana Theros riuscisse a stare fuori dai guai, almeno durante la vacanza che avevano organizzato per il compleanno della moglie, ma sembrava di no. Il figlio maggiore del principe Paolo di Asclepius, un piccolo ma ricco principato nel Mar Mediterraneo, sospirò, sapendo che sarebbe stata colpa sua se suo fratello avesse commesso qualche altra stupidaggine.

    Quando guardò Theros, lo vide impotente come sempre, il bel viso segnato dall’angoscia. «Chiama l’ospedale di bordo. Di’ che è un’emergenza» disse Stefano.

    Theros mosse le labbra in silenzio, come un bambino, guardando sua moglie riprendere quel colorito bluastro, con un misto di spavento e incredulità.

    Stefano abbassò la voce e ordinò, deciso: «Adesso! Di’ loro che è una reazione al lattice. Di portare dell’adrenalina.» Pronunciò quelle parole lentamente e con chiarezza.

    Theros batté gli occhi e incespicò, mentre Stefano iniziò a spogliare Marla dell’aderente tutina di gomma, imprecando in silenzio quando il respiro della donna si fece più fioco, ma sollevato che Theros avesse almeno avuto il buon senso di chiamarlo in tempo. Doveva toglierle quella roba di dosso prima che smettesse del tutto di respirare. Non era facile, e probabilmente quello era parte del divertimento. Quanto avrebbe desiderato uno scalpello...

    Dieci porte più in là, la dottoressa Kiki Fender si stava avviando a passo di marcia lungo il corridoio, ripassando tra sé e sé quello che sapeva a proposito delle allergie al lattice. In realtà, lei avrebbe dovuto occuparsi dell’equipaggio e non dei passeggeri, e sperava che il suo superiore l’avrebbe raggiunta presto, nel caso la situazione si fosse rivelata più complicata del previsto.

    Sarebbe stato terribile perdere un paziente proprio il giorno della partenza, e di sangue reale, per di più. Sfortuna aveva voluto che Will fosse già occupato con un paziente all’arrivo della chiamata, e quindi sarebbe toccato a lei occuparsene fino al suo arrivo. Non si era neanche preoccupata di pensare a come la paziente fosse venuta a contatto con del lattice.

    Aveva gettato i classici guanti sterili presenti nel kit d’emergenza e ne aveva presi un paio senza lattice, pensando che avrebbero dovuto usare guanti di quel tipo in tutto il reparto medico, con le allergie che si facevano sempre più numerose. Prese qualche fiala di adrenalina in più e la EpiPen, che ne velocizzava molto la somministrazione in quel tipo di emergenze.

    Pregò che le vie aeree della paziente non si chiudessero definitivamente prima dell’arrivo del suo superiore e del resto dell’attrezzatura necessaria.

    Quando aprì la porta guardò a malapena quell’uomo dall’aria preoccupata con indosso una brillante biancheria intima nera, concentrandosi sulla donna stesa a terra. Un secondo uomo era chino su di lei, intento a cercare di estrarle le gambe da un’aderentissima tutina di lattice.

    C’era qualcosa di stranamente familiare in lui, ma la donna era già priva di conoscenza e la sua pelle era macchiata da una pallida eruzione cutanea.

    Kiki si rivolse all’uomo accovacciato a terra, di cui riusciva a vedere solo i capelli scuri. «Respira?»

    «A fatica.»

    Lo guardò in viso e fu come essere investita da una secchiata d’acqua gelida.

    Cosa diavolo ci faceva Stefano di Asclepius sulla sua nave? Non ci pensare, genio, si rimproverò, e iniettò in fretta l’adrenalina nella gamba della donna. Percorse il corpo della paziente con lo sguardo, in attesa di quel movimento quasi impercettibile del petto che le avrebbe confermato che il farmaco stava facendo effetto. La maggior parte delle volte la ripresa da questo tipo di shock era drammatica, perché l’adrenalina fermava la risposta allergica del corpo come una specie di tappo.

    Ma una piccolissima parte di lei ancora stava pensando che lo Stefano che conosceva non avrebbe mai avuto bisogno di un menage à trois con una bambolina ricoperta di lattice per tenersi occupato.

    Sentì arrivare il suo superiore con l’infermiera e con la barella d’emergenza, e Stefano si chinò verso di lei.

    «Ovviamente mi aspetto che tu mantenga la massima discrezione in proposito.»

    Riusciva a percepire il sangue che gli pulsava nelle vene, e questo la metteva ancora più a disagio. I loro occhi si incontrarono e lei tentò, con scarso successo, di non mostrare il disgusto che sentiva dentro. Tipico. Quella donna stava lottando per la sua vita, ma tutto quello che importava era mantenere il buon nome della famiglia Mykonides.

    Lei avrebbe potuto raccontare un bel po’ di cose che non avrebbero certo fatto onore a quel nome. «Certamente. Vostra altezza.»

    Stefano si girò e sfilò dalla tuta il piede di Marla. Era in uno stato di totale confusione, quasi come sua cognata prima della somministrazione dell’antistaminico. Kiki Fender era , e vederla in quel modo... come fosse la salvatrice della famiglia, dinamica, sicura di sé e delle sue capacità, come lui sapeva sarebbe stata. Ma non erano quelle le cose che lui ricordava di più. Né la donna che lo guardava con disprezzo chiamandolo vostra altezza.

    Prima che potesse pensare a cosa dire, Marla emise un rantolo e si mosse, e lui trasse un sospiro di sollievo, mentre Kiki si chinò su di lei e le sussurrò all’orecchio:

    «Va tutto bene. Stia tranquilla.» Lo guardò e gli chiese in silenzio il nome della donna.

    «Marla» disse lui piano, quando anche l’altra gamba riuscì a essere liberata dalla morsa della tuta di gomma. Lui la nascose sotto una poltrona all’ingresso del personale medico.

    Kiki lo vide e roteò gli occhi, poi si rivolse alla sua paziente. «Le inserirò un altro ago nel braccio, una cannula per la precisione, e lo fermerò lì. È solo una precauzione, sta migliorando sempre di più.»

    Riuscì a inserire la cannula con facilità, il che era sempre un sollievo.

    «Come ho detto, è solo una precauzione» disse alla donna, ancora interdetta. «Nel caso abbia bisogno di altri farmaci o fluidi intravenosi.» Ma Kiki notò che la risposta al farmaco era buona, vista la dose iniziale, e sembrava che la crisi fosse finita.

    Sentì che i suoi colleghi stavano posizionando la barella accanto a lei, e Stefano si alzò.

    «Per favore, prendi il mio asciugamano» disse, e lo porse a Kiki per farle coprire la paziente.

    Lei annuì riconoscente, non solo per i gemiti di Marla che le fecero capire che si stava riprendendo, ma anche perché, dopo che Stefano si fu allontanato da loro, potevano avere più aria, più distanza. Era strano, così com’era strano che lei non fosse assolutamente in vena di ridere.

    Aveva sempre avuto una sorta di reazione respiratoria quando era con lui, come una forma personale di anafilassi, ma credeva di essere guarita dopo tutto quello che aveva passato. Ma ci avrebbe pensato dopo, quando sarebbe stata da sola.

    «Ciao Will» disse Kiki al medico più anziano, mentre si accovacciava accanto a lei. «Questa è Marla. Ha avuto una forte reazione al lattice. Abbiamo rimosso la fonte di stress» disse, lanciando un’occhiata ironica a Stefano prima di rivolgersi nuovamente al suo capo.

    Il dottor Wilhelm Hobson si chinò sulla donna e le prese il polso per sentire i battiti. «Le hai somministrato dell’adrenalina?»

    «Due minuti fa» disse Kiki, finendo di applicare la cannula intravenosa al braccio di Marla.

    Lei emise un gemito e aprì gli occhi, all’apparenza più cosciente di prima. «Dove sono?»

    «Va tutto bene, Marla. È nella sua cabina. Chiuda gli occhi e riposi. Si sentirà presto meglio.» Kiki mise la sua mano su quella di Marla, in segno di comprensione. Lei e Wilhelm osservarono i lividi sul braccio della paziente, che sembravano scomparire davanti ai loro occhi. «Una risposta positiva, come puoi vedere.»

    Will annuì, poi segnò i battiti, la dose e l’ora sulla cartellina mentre Kiki prendeva lo sfigmomanometro dall’infermiera e ne avvolgeva il manicotto attorno al braccio di Marla, per poterne misurare la pressione. Come pensava, era molto bassa.

    «È in stato di shock.» L’infermiera annuì e applicò gli elettrodi alla pelle della paziente, e il suono dei suoi battiti invase la stanza. Iniziarono a preparare un catetere intravenoso per far salire la pressione nei vasi sanguigni di Marla attraverso la somministrazione di bolo extra fluido.

    Una volta sicuro che la paziente si fosse stabilizzata, Will si alzò e si rivolse ai due uomini presenti. Sarà divertente, pensò Kiki, e anche se non distolse gli occhi dalla sua paziente, era tutta orecchi. Non vedeva l’ora di sentire che spiegazione avrebbero dato.

    «Chi è responsabile di questa donna?» Il tono di Wilhelm era serissimo. Anche se lui era sempre serio.

    Stefano aveva osservato con sollievo Marla svegliarsi e ora si concentrò nuovamente sulle persone presenti nella stanza. Kiki, accovacciata accanto a Marla, lo ignorò, come era giusto facesse. Lui guardò il medico, un uomo tarchiato dai capelli biondi, un forte accento sudafricano e un’aria di comando. Una nave di quella portata aveva bisogno di un medico competente, uno che sapesse essere discreto.

    Poi rivolse lo sguardo a Theros. Suo fratello era rimasto immobile, contorcendosi le mani, improvvisamente conscio di quanto potesse apparire strano

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