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Intricate questioni di cuore: Harmony Destiny
Intricate questioni di cuore: Harmony Destiny
Intricate questioni di cuore: Harmony Destiny
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Intricate questioni di cuore: Harmony Destiny

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About this ebook

Lui è il padre di suo figlio e suo marito. Entrambe le affermazioni sono vere e false!
Jake Morgan è il padre del bimbo che Kate Bennet porta in grembo, ma lei è solo una madre in affitto, finché un'occasione inaspettata le permette di tenere il piccolo. Per farlo, però, ha bisogno di un marito e così Jake la sposa. Arrivano a dividere anche il letto, ma tutto finisce lì. Perlomeno finché accade l'inaspettato per la seconda volta: Kate si innamora del suo marito "di convenienza". Lui è premuroso, tenero, attraente e sarebbe così bello diventare davvero una famiglia!
LanguageItaliano
Release dateAug 12, 2019
ISBN9788830502499
Intricate questioni di cuore: Harmony Destiny

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    Intricate questioni di cuore - Emily McKay

    Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:

    Surrogate and Wife

    Silhouette Desire

    © 2006 Emily McKaskle

    Traduzione di Lucia Panelli

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2007 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3050-249-9

    1

    «Siamo in dolce attesa.»

    Kate Bennet si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo nell’udire le assurde parole della sorella. «Già, lo so.»

    Come madre in affitto per la sorella Beth e il cognato Stewart, Kate sapeva fin troppo bene che loro erano in dolce attesa. La mano scivolò sull’addome, dove un lieve rigonfiamento indicava la presenza del bambino. Da ormai tre mesi viveva con lo stomaco sottosopra, perseguitata da una nausea che stentava a diminuire. Prese la tazza di tè caldo alla menta, preparatole dalla sorella.

    Beth allungò il braccio lungo il tavolo e posò la mano sul polso di Kate. Quest’ultima si bloccò con la tazza a mezz’aria. «Che cosa c’è?»

    «Siamo in dolce attesa. Io e Stew.»

    Kate abbassò la tazza, cercando di dare un senso a quelle parole. «Tu e Stew?»

    «Sì.»

    «In dolce attesa?»

    La sorella annuì, il viso illuminato da un sorriso già materno. Gli occhi sprizzavano scintille di gioia.

    Lo stomaco di Kate si lanciò in una capovolta e la nausea tornò a farsi sentire. La donna si portò una mano all’addome. «Di un altro bambino? Oltre a quello che ho accettato di fare crescere dentro di me, per te?»

    «Sì.»

    «Ma tu e Stewart non potete avere figli. È impossibile. Giusto?»

    «Altamente improbabile. Ma non impossibile.»

    Le probabilità erano così remote che il medico aveva sconsigliato di utilizzare lo sperma di Stewart per la fecondazione. Così, Stewart aveva chiesto a Jake, il suo migliore amico, di prestarsi come donatore.

    La testa che ancora le girava, Kate disse: «Mi era sembrato di capire che le possibilità che tu rimanessi incinta fossero poco più dell’uno per cento».

    «Siamo stati molto fortunati.»

    «Da quanto tempo lo sai?»

    «Da una settimana. Il sospetto c’era già, ma non osavo sperare. Sai, il mio ciclo mestruale non è mai stato regolare e dopo tanti anni di tentativi... be’, avevo imparato a non illudermi, anche quando saltavo un mese. O quattro.»

    «Quattro? A che punto sei?»

    «Alla diciottesima settimana.»

    «Alla diciottesima? Ma sei un mese più avanti di me!» Il solo pensiero le provocò le vertigini e Kate crollò contro lo schienale della sedia. «Ma allora i sintomi che pensavo tu provassi per simpatia e che trovavo tanto affascinanti non erano affatto di simpatia. Erano veri.»

    Beth inclinò il capo e sorrise. «Non ci avevo pensato.» Prese la mano di Kate. «Senti, so che questa novità rende tutto più complicato, ma dopotutto, io e Stew desideriamo così tanto diventare genitori.»

    Kate si drizzò a sedere. «Volete ancora questo bambino, vero?»

    Beth le rivolse un altro sorriso beato. «Be’, io e Stew ne abbiamo parlato e siamo giunti alla conclusione che la decisione spetta soltanto a te e a Jake.»

    «A me e a Jake? Ma che cosa stai dicendo?»

    «Tecnicamente il bambino è vostro e...»

    «No. Non se ne parla proprio.» Certo, tecnicamente lei era la madre e il piccolo era biologicamente suo, ma... «Il bambino è vostro. Tuo e di Stew. È così che avevamo deciso.»

    Kate balzò in piedi e iniziò a misurare la stanza a grandi passi, gli occhi fissi sulla sorella. Considerate le circostanze, Beth non sembrava angosciata come avrebbe dovuto essere.

    Quest’ultima seguiva Kate con lo sguardo. «Ma certo, è così che abbiamo deciso. Ma le cose sono cambiate.»

    «Non potete rifiutarvi di tenere questo bambino. Non ve lo permetterò.» Kate si girò di scatto e inchiodò la sorella con il suo famoso sguardo severo. O per lo meno, ci provò. Un’improvvisa vertigine la obbligò ad aggrapparsi al bordo del tavolo, rovinandole l’effetto.

    Beth le fu subito accanto. «Siediti. Non dovresti agitarti in questo modo. Non fa bene al bambino.»

    «Sai che cosa non fa bene al bambino?» ribatté Kate in tono piccato. «Questa conversazione.» Ciononostante, si sedette.

    «Certo che io e Stew terremo il bambino. Se tu deciderai di non volerlo. Ma vogliano che tu ci faccia almeno un pensiero. Biologicamente è tuo figlio. E che tu voglia ammetterlo o no, avverti già un legame con lui.»

    Per un istante Kate non seppe che cosa replicare. Possibile che Beth non ci fosse arrivata? Possibile che non avesse capito che l’unico modo perché lei potesse affrontare una simile gravidanza era impedirsi di provare qualsiasi sentimento per quel bambino?

    «Io non...»

    «So che è così» la interruppe Beth, «perciò è inutile che tu perda tempo a discuterne con me. La questione è che ora stanno per arrivare due bambini. Io e Stew saremmo ben felici di tenerli entrambi, ma sappiamo di avere già chiesto molto a te e a Jake. Perciò se uno di voi...»

    «Jake? E lui che cosa c’entra?»

    Beth la fissò con sguardo esasperato. «Il bambino che hai in grembo è anche suo. Se uno dei due dovesse decidere di tenere il piccolo, io e Stew ci tireremmo da parte.»

    Sconvolta dall’assurdità della situazione, Kate si nascose il viso tra le mani e trattenne una risata. «Se uno di noi vuole tenere il bambino? Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo?» Sollevò il volto e puntò gli occhi sulla sorella.«Guardiamo in faccia la realtà. Io possiedo l’istinto materno di una graffetta e l’idea che possa tenere un figlio è assurda. Ma ancora più assurda è quella che Jake Morgan possa tenerlo. Non ce lo vedo proprio come padre.»

    «Jake non è così male» obiettò Beth.

    «Per carità, per quanto ne so, può essere il tipo più a posto di questo mondo. Ma stiamo parlando di un uomo che si precipita dentro edifici in fiamme, quando tutti gli altri scappano fuori.»

    «Se vogliamo mettere i puntini sulle i» ribatté Beth in tono seccato, «da quando è stato promosso responsabile della divisione indagini incendi, non si precipita più dentro edifici in fiamme. Solo in quelli dove il fuoco è ormai quasi spento.»

    «Sai che differenza.»

    Beth fissò la sorella con un sorrisetto sbarazzino. «Per lo meno suo figlio non giocherà con i fiammiferi.»

    «Ridi pure, ma quelli sono i geni che si ritroverà tuo figlio» sbottò Kate, incenerendo Beth con lo sguardo.

    Quest’ultima si limitò a sghignazzare divertita. «I geni di Jake non mi preoccupano. È bello, intelligente, affascinante e...»

    «Esattamente. È uno di quegli uomini insopportabili che pensano di potere avere tutto solo perché sono belli e affascinanti.» Sperando di non aver rivelato quanto trovasse Jake attraente, o quanto quel particolare la irritasse, Kate si affrettò ad aggiungere: «E comunque, che cosa c’entra la mia opinione su Jake?».

    «Non è da te giudicare e tagliare i panni addosso alla gente in questo modo.»

    Beth aveva ragione e con un sorriso sardonico, Kate disse: «Dopotutto, sono un giudice. Giudicare è il mio mestiere. E comunque, sono certa di avere ragione. Dopo tutti i divorzi che ho visto, sono diventata abilissima nel discernere il bene dal male. Ti prometto, che né io né Jake vorremo tenere questo bambino».

    «Non essere precipitosa. Prenditi un po’ di tempo per pensarci. Potresti anche cambiare idea.»

    «Sì e potrei anche trasformarmi in un maiale con le ali e prendere il volo. Non è impossibile, solo altamente improbabile.»

    Il giorno successivo, seduta davanti a una pila di documenti, in ufficio, Kate si ritrovò a pensare alla conversazione con Beth. Posò una mano sul ventre, dove la bambina cresceva dentro di lei.

    La sua bambina.

    Restò senza fiato per l’emozione e una volta tanto non cercò di scacciarla o dimenticarla. Che cosa sarebbe accaduto, se avesse acconsentito a tenere la bambina?

    Il cuore si riempì di gioia. Come se tenere la piccola fosse ciò che inconsciamente aveva sempre sperato, sebbene ogni singola cellula del suo essere le dicesse che una simile decisione sarebbe stata egoista e irresponsabile.

    Amava già quella bimba. E anche se era troppo presto per poterne conoscere il sesso, l’istinto le diceva che era una femmina. E sempre l’istinto l’aveva guidata in quel periodo, spingendola a comportarsi in modo irreprensibile per il bene della bambina. Così aveva trascorso gli ultimi tre mesi a seguire alla lettera non solo le istruzioni del medico, ma anche quelle di tutti i libri, dedicati alla gravidanza, sui quali era riuscita a mettere le mani. Accidenti, quella sarebbe stata la bambina più sana mai nata sulla terra. E se fosse dipeso da lei, avrebbe avuto soltanto il meglio.

    Inclusi i migliori genitori possibili. E al di là di ogni ragionevole dubbio, Kate sapeva che Beth sarebbe stata una madre migliore di lei.

    A un tratto, irritata con se stessa per essersi lasciata andare a riflettere sulla questione così a lungo, infilò i documenti che stava esaminando nella borsa da lavoro e si diresse verso la porta. La breve passeggiata fino alla macchina non l’aiutò a rilassarsi. E quando, raggiunto il parcheggio, trovò lui appoggiato alla sua Volvo, il suo umore divenne ancora più cupo.

    Non aveva mai capito che cosa fosse, ma c’era qualcosa in Jake Morgan che la innervosiva. Non era solo quel suo fascino di uomo sicuro di sé, una qualità di cui aveva imparato a diffidare ormai da anni. Forse era quello sguardo lento e sensuale che scivolava su una donna e sembrava spogliarla. O forse erano le semplici ondate di testosterone che quel tipo emanava. Jake era semplicemente troppo. Troppo maschio. Troppo affascinante. E insopportabilmente troppo pieno di sé.

    «Che cosa ci fai qui?» lo apostrofò Kate, avvicinandosi all’auto.

    L’uomo teneva le lunghe gambe incrociate all’altezza delle caviglie. Il tessuto slavato dei jeans era teso sulle cosce muscolose. L’unica difesa di Jake contro l’inusuale fredda serata di maggio era una camicia di flanella, indossata con le maniche arrotolate e i bottoni slacciati sopra la T-shirt.

    Tipico. Probabilmente si credeva troppo macho per avere bisogno di indossare un cappotto. O forse era perfettamente cosciente del proprio aspetto e non voleva rovinare l’effetto.

    Kate estrasse le chiavi dalla tasca del giaccone e premette il telecomando per fare scattare la serratura. Con una scrollata delle possenti spalle,

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